Ultime

Polisportiva Mediolanum, un sogno infranto
Non è un Paese per polisportivi.

Fughe e volate sulle sabbie di Dunkerque
Ogni sfida sportiva, qui, è atto di memoria.

La tedesca
Un gioco che racconta un mondo (perduto).

Dio salvi il lunedì di Wimbledon
Quando la tradizione è anche spettacolo.

El Mundial Total
Fino ad ora abbiamo solo scherzato.

Per amore del tennis
Intervista a Stefano Meloccaro, una vita sui campi (in)seguendo le palline gialle.

La tedesca
Un gioco che racconta un mondo (perduto).

Dal Lione all’aquila
Analogie e differenze tra la gestione Textor e quella di Lotito.

Je suis Comolli
Il diritto al godimento e altri argomenti a partire dalla Juventus di oggi.

Il trattamento del silenzio
Quale destino per i Friedkin con Gasperini?

La volontà di impotenza
L'Inter di Inzaghi al tramonto delle narrazioni sul percorso.

Possono ucciderci, ma non cancellarci dal mondo
La storia di Nadine, la tragedia (anche sportiva) della Palestina.

Polisportiva Mediolanum, un sogno infranto
Non è un Paese per polisportivi.

Fughe e volate sulle sabbie di Dunkerque
Ogni sfida sportiva, qui, è atto di memoria.

La pallavolo a Cuneo è il riscatto sportivo del Piemonte
Una regione che torna a sognare.

Fuoco a Babilonia
L'epopea delle Indie occidentali e del cricket caraibico.

A Imola emerge il più forte
Un circuito che incorona i Piloti.

L’epopea della Coppa America
Storia della competizione sportiva più antica del mondo.

Dio salvi il lunedì di Wimbledon
Quando la tradizione è anche spettacolo.

El Mundial Total
Fino ad ora abbiamo solo scherzato.

Si scrive Jürgen Klopp, si legge paraculo
La denuncia al Mondiale è sacrosanta, ma ipocrita.

Gufi eccellenti
Chi si metterà sul trespolo per Inter-PSG? E su quale lato?

La caduta degli dèi
Milan-Monza è la partita più malinconica dell’anno.

Il fallimento totale del Milan Futuro
Un disastro sportivo specchio di una dirigenza confusa.

Per amore del tennis
Intervista a Stefano Meloccaro, una vita sui campi (in)seguendo le palline gialle.

Ha vinto il calcio moderno
Intervista a Lorenzo Contucci, l'avvocato dei tifosi.

Possono ucciderci, ma non cancellarci dal mondo
La storia di Nadine, la tragedia (anche sportiva) della Palestina.

Levate quella c**** di bandiera
Cosa è accaduto a Lazio v Torino? Intervista a Marco Anselmi.

Abitudine bianconera
Cosa significa tifare lo Spezia.

Certe battaglie vanno combattute insieme
Intervista a Federico Pesavento di Federtifosi.
Sinner non fa rumore

Nell’Italietta dei faraglioni, quella in cui l’identità nazionale è una riduzione italo-americana, coi baffi impregnati di sugo e carbocreme, Sinner provoca. L’italiano medio non lo sente ‘suo’, non si sente ‘lui’, e tanto meglio per farne un arcitaliano. Jannik non rappresenta l’italiano medio e proprio per questo ne incarna la quintessenza. Tirolese, germanofono, cresciuto tra Sesto e San Candido, lontano da cliché e fisime meridionali, troppo rigoroso per chi cerca il talento istrionico. Sono tutte clausole vuote. La sua lingua madre non è l’italiano così come non è il tedesco, di cui parla una variante che ha lo stesso rapporto del barese con il toscano.
La sua compostezza glaciale in campo urta chi confonde l’essere italiano con l’operetta. Ma se l’italiano medio non si sente rappresentato da Sinner, è perché preferisce identificarsi in caricature, ignorando i tratti più profondamente nazionali che lui incarna: la mamma superstiziosa che sussurra preghiere dietro ogni match point, il padre lavoratore silenzioso che ha forgiato con l’esempio una dedizione quasi contadina. Siamo schiavi delle immagini chiassose, come Marinetti ci bollava "incatenati alla pasta come galeotti condannati a vita". L’Italia che applaude solo l’urlatore di turno resta prigioniera di queste catene. Anche nella settimana in cui si ritira dal gioco del diavolo quel guascone italianissimo di Fogna.
È italiano anche Sinner, è tanto italiano.
Non è freddo, è timido, non è nordico per noi, ma terrone per i mitteleuropei. Siamo l’unico paese d’Europa assurdamente convinto di essere etnicamente diverso. Ma non è così. L’Alto Adige (sic!) è cattolico, agricolo, sospeso nel tempo. E se San Candido è italiana soltanto per meccaniche da trattati di pace, se dalla Val Pusteria portavano al kaiser la sua acqua di fonte preferita, noi non riusciamo a capire che le Tre Cime sono lontane da Roma quanto lo sono da Vienna.
Quindi anche se artificialmente, perché non può essere italiano? Il calore smentisce ogni stereotipo: nei rifugi le porte restano aperte, un piatto di suppe si offre senza forma, e le mani callose stringono le tue con forza sincera, le gote rosse delle cameriere con quei sorrisi tanto imbarazzati. Le feste di paese sono ancora scandite dal rintocco delle campane e la solidarietà alpina si misura in legna lasciata alla porta dei vicini d’inverno.
La montagna può abbracciare più del mare, con un affetto che non ha bisogno di proclami. È una cultura che fonde fatica e fede, dove l’eleganza sta nel fare senza dire. La gente del Tirolo conosce l’arte del silenzio: sanno che la neve cade senza far rumore e che il raccolto arriva solo dopo mesi di attesa paziente. È quella stessa pazienza che ritrovi nel tennis di Sinner, dove ogni punto è costruito come un muro a secco sulle terrazze della valle, ogni scambio un sentiero scavato tra rocce e alberi.
Siglinde, dopo l’attacco di panico allo Chatrier, ha lasciato il Centrale a metà prima partita per una passeggiata snervante, la tipica mamma italiana. Petto gonfio di sentimenti e scaramanzia. Papà Hanspeter, cuoco nel rifugio Talschlusshütte, non ha fatto il pellegrinaggio a Parigi perché doveva lavorare. Lavoro prima, famiglia dopo, senza interferenze con il successo del figlio. Sul campo la stessa cifra: niente esultanze plateali, niente riti di gruppo.
Un gioco misurato, un’eleganza letargica, un gesto simbolico.
Carlitos, che si vuole emotivo, caliente, figlio andaluso. Al contrario quanto di più freddo e calcolatore il tennis contemporaneo possa offrire: spocchioso nella sua devozione assoluta alla vittoria, programmatico, ogni gesto pensato come un algoritmo. Anche quando sorride, sembra misurare l’ampiezza dell’angolo con la stessa precisione con cui calcola quei maledetti drop eseguiti con il goniometro. I pugni chiusi, i vamos urlati, quelle mani portate all’orecchio del viso tozzo, sono prove di sceneggiatura più che manifestazioni genuine. La sua è liturgia della performance, culto dell’efficienza che si veste di folklore iberico solo per piacere al pubblico e alle telecamere. È il sole di Murcia senza raggi, una corrida senza sangue.
La bellezza di questa redazione tiene fede al suo nome: Contrasti
Sinner, al contrario, conquista per l’assenza di tutto questo, senza calcoli ossessivi, solo una disciplina che sembra istintiva, naturale, figlia della montagna e del lavoro. Un uomo che non recita, che non costruisce narrative e che è tanto più emotivo di come ce lo stiamo raccontando. Chi cerca nel tennis l’urlo, la teatralità, l’effetto bel paese, resta spiazzato. Ma è proprio l’italiano medio - che non parla dialetti urlati, che lavora, che prega, che soffre e spera - che trova in Sinner il suo riflesso.
Non un cliché da cartolina, ma una fisionomia domestica, l’anima di milioni di italiani veri.
Eppure, gli altri, gli italioti continuano a non riconoscersi, impegnati a scimmiottare aristoborghesie (piccolissime) da circoli. La convinzione che il tennis sia emanazione di benessere, i primi detrattori sono i centro-meridionali, neo borbonici, che hanno usato la racchetta come dichiarazione di redditi e bene posizionale per la famiglia parvenu. Così come questa massa informe che ha scoperto il tennis l’altro ieri e vi vuole tradurre i principi del tifo, della passione, della religione di popolo che è il pallone.
Il trionfo all’All England va oltre: è la certificazione che l’Italia profonda - quella fatta di silenzi, mani in pasta, preghiere sussurrate, orari precisi, coraggio ordinario - può dominare il palcoscenico mondiale senza diventare mascotte. E quando, con il trofeo in mano, ha ringraziato i genitori e l’Italia intera aggiungendo "questa è la nostra vittoria, non solo la mia", ha alzato la coppa come un manifesto: la vera italianità non si urla, si lavora e prega.
Foto copertina dal profilo X di Wimbledon