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Thiago Motta non era l’uomo della provvidenza
Ci eravamo ripromessi, nel nostro piccolo, di aspettare almeno un girone per tirare un bilancio sulla nuova Juventus di Thiago Motta, o semplicemente per delle considerazioni più approfondite. Innanzitutto per non cadere in due grosse trappole, una di metodo e una di merito. Di metodo, per non prestarci al peggiore e più insopportabile vizio dell’attuale racconto sportivo, l’essere sempre racconto dell’indomani, tra esaltazioni e depressioni, paradiso e inferno, top player e scarti da buttare. Un racconto immediato, contraddittorio, usa e getta per una società da buttare, il quale asseconda una deriva ormai dilagante nell’opinione pubblica: quella di non avere memoria, di essere volatile, irrazionale, istantanea - e di avere organi di rappresentanza (stampa, politica etc.), che, tra capriole concettuali e riposizionamenti, inseguono il pubblico anziché farlo ragionare, sempre pronti a cavalcare la cresta dell’onda (social) e dei trend topic.
A livello di merito invece, volevamo sottrarci a quella polarizzazione isterica che ha contraddistinto il tema. Come avevamo scritto l’anno scorso: «noi stessi, che se ci concedete eravamo stati i primi a formare il ‘personaggio’ Allegri – quel livornese anarco-conservatore, ingegnoso e anti-dogmatico, ultimo rappresentante (in campo e fuori) della tradizione italica di allenatori gestori – ebbene noi in primis ci eravamo pentiti di aver alimentato quella (finta) dicotomia tra risultatisti e giochisti, tra progressisti e reazionari nel pallone, tra propositivi e reattivi. Un dualismo tanto fallace quanto, alla 'lunga', nauseante».
All’epoca non potevamo immaginare le conseguenze che un simile approccio avrebbe potuto causare, ma ormai da tempo siamo esausti dei patetici dissing social-mediatici, di una dialettica da opposte fazioni in armi, «del cortomusismo e del catenaccio-shaming, dell'allegrismo e dell'antiallegrismo; di una discussione diventata metafora di qualcos'altro che andava ben oltre il calcio. Un 'dibattito' psicotico da sì Vax o no Vax, sì Max o no Max». Il problema è che, purtroppo, da qui bisogna partire per approfondire il fenomeno Motta, un fenomeno non analizzabile senza il peso devastante delle sue premesse.Come ha scritto il ‘buon’ Pierluigi Battista, giornalista e juventino di lungo corso, si deve iniziare da qui per fare un po’ di chiarezza, dalla carica messianica di cui era stato investito Motta – e che ora non fa altro che aumentare la delusione generale: «Quella è la scena primaria. È stata una violenta separazione con Allegri ed è passata l’idea che con Thiago Motta si arrivasse a una nuova alba. Tutto questo ha diviso il popolo juventino (…) Questa atmosfera di ripudio, di anno zero, di terra bruciata del passato, la damnatio memoriae di Allegri, è una cosa che non ha nessun aggancio con quello che accade realmente. Il punto è che non c’è niente di peggio di una trionfale rivoluzione che non conferma le aspettative».
Tante contraddizioni odierne derivano dal fatto che Thiago Motta, già prima che si sedesse sulla panchina della Juventus, è stato usato in maniera assolutamente strumentale, e in un clima saturato di ideologia, per segnare il distacco con ciò che c’era prima. Per mesi, a sentire le dissertazioni sulle reti televisive, a leggere gli editoriali sulla carta stampata, a dare credito alle dirette calcistiche online e al vomitus cotidianus dei social network, sembrava che il calcio italiano avesse un moderno profeta, pronto a redimerlo da tutti i suoi peccati e a trasformare quella Vecchia Signora della Juventus in una giovane e attraente modella: Thiago Motta, in questo senso, era il liberatore della Juventus dall’oscurantismo di Allegri.
«Il problema sta nelle aspettative che sono state create, anche da voi», come ha detto Ciro Ferrara al Corriere della Sera.
Una sbornia collettiva di media e giornali, affogati in un brodo di giuggiole ancor prima che Thiago fosse stato in grado di dimostrare qualcosa, laddove ogni critica all’uomo della provvidenza in panchina era considerata un peccato di lesa maestà, e qualsiasi sua mossa – anche le più improbabili – veniva scambiata per una geniale trovata avanguardista. Avesse anche schierato Vlahovic al centro della difesa, in un momento di follia, in tanti avrebbero rimarcato l’ingegno prodigioso del tecnico italo-brasiliano, riuscito finalmente a sfruttare nel migliore dei modi la struttura fisica del talento serbo.
Chiariamo però fin da subito, per evitare fraintendimenti: chi scrive pensa che Thiago sia un ottimo allenatore, con tutte le carte in regola per diventare un grandissimo allenatore. Di più, potrebbe un domani rappresentare la sintesi in panchina tra due approcci spesso conflittuali: quello dei gestori dello spogliatoio (e Thiago ha il carattere e lo ‘standing’ adatto), e quello dei tattici molto preparati ma un po’ troppo ossessivi, carenti a livello umano. Eppure, il punto è proprio questo: stiamo parlando di un’ipotesi, di una prospettiva. Che Thiago Motta sia un grande tecnico è ad oggi solo un’interpretazione, più o meno condivisibile, che si muove nel campo delle teorie; che invece, non per alimentare la polarizzazione ma per capirci, Massimiliano Allegri sia un grande allenatore, beh questo, che piaccia o meno, è un fatto. Per citare Gigi Buffon: . . .
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