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Troppo facile crocifiggere Thiago Motta

Purtroppo, la stagione della Juventus (che dal difficoltosa è sprofondata nel fallimentare) a molti continua a non insegnare nulla. Ancora, sempre e inesorabilmente con questa pornografia degli allenatori, il linguaggio adolescenziale di chi vorrebbe ridurre il calcio ad un’ideologia metapolitica in cui si scontrano concezioni e visioni del mondo. Una mania del controllo tutta contemporanea, alimentata dall'abito social che porta tanto alla polarizzazione delle posizioni quanto alla libera espressione di ciascuno, che si sente in diritto e forse in dovere di esprimere la propria opinione.Chi un minimo ha frequentato il mondo del calcio e l’ha vissuto dall’interno, ma anche chi ha provato a studiarlo senza paraocchi, capisce che le cose sono ben più articolate di così: l'allenatore non è il demirugo che plasma la squadra a propria immagine e somiglianza bensì una figura che opera in un ambiente, in un contesto, il quale varia di volta per tante variabili. Il calcio non è tanto per intenderci quello degli Adani e dei Trevisani, personaggi che, insieme al proliferare di pagine e improvvisati influencer nel pallone, hanno causato dei danni inenarrabili all'interpretazione di questo sport.
Basti pensare al clima da opposte fazioni in armi che era stato creato, ed alimentato, nella gestione Allegri: No-Max e Sì-Max, e tutto il resto passava in secondo piano, anzi scompariva direttamente. Per non parlare del modo in cui era stato accolto Thiago Motta, moderno profeta giunto a Torino per togliere alla Juventus tutti i peccati del mondo e superare una volta per tutte l'oscurantismo della gestione precedente. Follie ideologiche che con una seria analisi specifica non c'entravano assolutamente nulla, e che sollevavano solo sabbia intorbidendo le acque del dibattito.
Personalmente siamo stati i primi a difendere per anni l’operato di Allegri, incassando non solo critiche ma campagne quasi diffamatorie, insulti e ridicolizzazioni. E siamo stati i primi ad essere critici non su Thiago Motta allenatore, attenzione, ma sulle aspettative messianiche del nuovo corso mottiano; a spiegare come la Juventus non avesse ingaggiato un profeta ma un allenatore con ancora tutto da dimostrare, che per di più avrebbe dovuto gestire un ambiente molto complicato in un momento storico del club inesplorato.
Eppure, noi che oggi potremmo raccogliere i frutti di quanto scritto in anni, affermiamo che è troppo facile prendersela solo con Motta.
Certamente il tecnico italo-brasiliano ha commesso gravi errori, soprattutto di gestione: a partire da una terapia shock per rifondare la Juventus ma che non ha avuto la credibilità, la forza e nemmeno la visione per inaugurare un qualcosa di nuovo (non c'è un progresso, purtroppo, nel cammino bianconero). Una rivoluzione rimasta a metà, nel guado, che da rivoluzione si è presto trasformata in riformismo – non poteva essere altrimenti a Torino – e che anziché dare nuove certezze, dopo aver picconato ciò che restava delle vecchie, ha contribuito a destabilizzare ulteriormente l'ambiente.
Oggi giustamente sul banco degli imputati finisce Motta, perché come hanno osservato in molti la Juventus non è il Bologna e la gestione (tecnica, tattica, caratteriale) deve essere più solida, differente. Ma non può l'allenatore essere indicato come unico capro espiatorio di un'analisi che è tenuta ad essere più profonda, e quindi a rilleggere anche il passato. Sul banco degli imputati, ancora prima di Motta, va messo il mercato di Giuntoli – perché le rifondazioni non si fanno solo con le idee, ma soprattutto con gli uomini e i mezzi. E ancor prima di Giuntoli, tra gli imputati va messa la dirigenza, più confusa e aleatoria che mai.
Una dirigenza che manca di visione, che non ha la minima idea di cosa debba essere la Juventus dei prossimi anni; e che, quando questa idea ce l'ha avuto, presto l'ha ritrattata vedendo i risultati immediati deludenti – basti vedere i progetti tecnici abortiti Sarri e Pirlo, sulla scia dei quali oggi potrebbe mettersi Motta. Rivoluzioni e restaurazioni che si alternano, mentre il club pare aver perso ormai irrimediabilmente il proprio carattere, il proprio radicamento, la propria essenza.
Nella sua seconda gestione Allegri, pur consapevole che la squadra avesse concluso un ciclo e andasse ormai ricostruita, ha peccato inizialmente in questo: nel voler mettere su un instant team per vincere subito (da Di Maria a Pogba). L'ha fatto in parte perché alla Juventus non c'è tempo, in parte perché a Torino si deve sempre competere per vincere, in parte perché voleva lui stesso rifarsi di un clima d'odio che era stato montato nei suoi confronti. Fu un errore tant'è che poi Allegri aggiustò il tiro e fece anche un gran lavoro, aspetto che non riuscì ad emergere perché ormai la narrazone, e quindi l'analisi, erano irrimediabilmente corrotte e compromesse, in una radicale ignoranza del momento storico (critico) del club.Ma anche qui c'è un punto. La troppa ideologia ci porta ogni volta a pensare che le rifondazioni debbano essere radicali: via tutto il vecchio e dentro il nuovo, via il vecchio stile e dentro una nuova filosofia. Eppure, non sempre è tutto da buttare, anzi. Il club bianconero, in un simile passaggio storico, nel quale il calcio sta diventando sempre più liquido e globale, aveva due strade: la prima, restare fedele (innovandolo) al proprio DNA; la seconda, diventare qualcosa di diverso e più in linea con gli immediati mutamenti del pallone.
Capirete che il tutto si declina in gestioni e scelte tecniche assai differenti, in profili che incarnino determinate caratteristiche, dai giocatori all'allenatore al direttore sportivo. Il punto allora è: qual è l'idea della Juventus? Che cosa vuole essere la Juventus? E chi ci dice cosa voglia essere la Juventus? In Germania i dirigenti del Bayern tante volte hanno affrontato questo tema, illustrando alla stampa la propria filosofia e le scelte compiute (a volte magari sbagliate, ci mancherebbe altro). Altri club neanche lo fanno ma hanno direzioni ben precise, dal Real Madrid al Manchester City.
La Juventus, un po' come capita al Milan seppur in forma decisamente differente, cosa vuole essere oggi? E domani? Chi ci spiega qual è il progetto Motta-Giuntoli, così anche da poterne valutare tempi e risultati? Al di là del ping pong Allegri-Sarri-Allegri-Motta, che già di per sé denota grande incertezza, è naturale che senza questa visione il club si trovi ad affrontare equivoci che poi si ripercuotono anche sulla costruzione della rosa e sulle prestazioni in campo.
Il prezzo che ha pagato quest'estate la Juventus per la sua (mezza) rifondazione è stato altissimo, di oltre 200 milioni.
Un processo, a proposito di paragoni, abbastanza simile a quello che ha vissuto la Roma post-Mourinho: 100 e rotti milioni affidati a Ghisolfi-De Rossi, con il risultato che poi è dovuto venire il vecchio Ranieri ad aggiustare tutto. Anche lì, il club voleva votarsi a un'identità più moderna ma con tante contraddizioni, le stesse che oggi vive la Juventus. Siamo sicuri che mettendo a disposizione un budget di 100 milioni a Mourinho e 200 ad Allegri, allenatori speculatori, obsoleti, superati dal calcio nuovo, ebbene siamo sicuri che le squadre non si troverebbero in uno stato decisamente migliore?
Questo però è già un altro discorso. Il punto è che, soprattutto se ci sono certe cifre, qualcuno deve delle risposte. Quanto costa, in termini di risorse e tempo, il nuovo corso? Ma ancora prima, c'è un nuovo corso? E dove deve portare la Juventus? Ad ora vediamo solo costi e pochi benefici. Vediamo una rosa gestita male e costruita assai peggio dal direttore sportivo, che comunque lo avrà fatto insieme al tecnico.
200 e più milioni dilapidati per calciatori enigmatici, per poi dover correre ai ripari a gennaio pagando a peso d'oro una punta in prestito (circa 500 mila euro a partita), il tutto dopo aver ceduto Kean a una, al momento, diretta concorrente per l'Europa – per non parlare della cessione di un talento puro come Huijsen, che già vale il terzo o quadruplo di otto mesi fa, per poi prelevare alle stesse cifre dalla Premier la riserva del Newcastle Kelly. In un'azienda, si finirebbe sotto accusa per molto meno. Ma qui chi è, e cosa fa, l'azienda?
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