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Editoriali

Michele Larosa
29 Novembre 2023

Il calcio esploderà

Il calcio esploderà
Chi da bambino non ha mai sognato di sedersi davanti alla televisione e guardare calcio all'infinito? Partite tutti i giorni, a tutte le ore, in un loop continuo. Ma il sogno infantile si è presto trasformato in incubo distopico, e il nostro torpore è risvegliato solo di tanto in tanto dalla pausa nazionali. Detto altrimenti: il calcio è diventato bulimico, i tifosi lo sanno ma non sono in grado di opporvi la giusta resistenza, mentre tra gli addetti ai lavori le voci del dissenso aumentano giorno dopo giorno. Maurizio Sarri, uno dei soldati più fedeli alla linea, ha ribadito a Repubblica qualche giorno fa: “Ormai si ci allena solo al video. Quante partite un calciatore dovrebbe fare in un anno? Al massimo 50. Ne parlo da cinque anni, eppure mi accusano di cercare alibi e basta. In questi giorni in Spagna sta venendo giù il mondo per l’infortunio di Gavi, lo chiamano UEFA Virus". Sarri ha messo a nudo le contraddizioni del sistema calcistico. Dai calendari troppo fitti alle competizioni superflue, che poi non sono che la causa dei calendari. Sfidiamo chiunque ad andare fuori da un qualunque stadio europeo a chiedere il vincitore dell'ultima Nations League o - domanda per cuori forti - a farsi spiegare il funzionamento della stessa competizione. Solo l'ultima novità dell'UEFA (insieme alla Conference League, nata due anni fa) che ha deciso così di mungere ulteriormente una mucca ormai senza latte. C'è addirittura chi ha proposto di giocare il Mondiale (dal 2026 a 48 squadre) ogni due anni. Senza capire che il fascino di queste competizioni sta proprio nella loro sporadicità. Un gioco al massacro in cui l'unico a perdere è lo spettacolo, fra giocatori stanchi e campioni infortunati. In un calcio sempre più equino, dove la prestanza fisica la fa da padrone, il riposo e l'allenamento dovrebbero essere fondamentali. Invece ci ritroviamo nel clou della stagione calciatori esausti fisicamente e mentalmente, sfiniti dalle partite e dalla trasferte bibliche. È forse un caso se le ultime finali di Champions sono risultate piuttosto fiacche? Quale sarà la deriva del calcio con questi ritmi? Quanto potranno reggere i muscoli degli over-30 del futuro? Oppure sarà un calcio sempre più a velocità turbo? Una perpetua lavatrice, con un continuo ricambio di protagonisti: spunta un campione, lo si spreme per qualche anno e poi avanti il prossimo. La responsabilità, ovvio, è in primis di UEFA e FIFA, ma come disse Ceferin tempo fa: “Nessuno rinuncia a niente”. Sono complici i calciatori, i dirigenti, gli allenatori, che con i diritti tv ci mangiano. Siamo complici noi, bulimici di calcio, noi che abbiamo esaltato Pedri come un eroe dopo le 73 partite senza accorgerci dell'altro lato della medaglia. Ma nel mare di accettazione si leva qualche coro di dissenso. A chi in uno slancio populista accusa i giocatori di essere strapagati per giocare Van Dijk risponde: “Sono disposto a guadagnare meno per la mia salute“. Mentre dalle panchine oltre Sarri si sono più volte espressi sul tema Mourinho, Ancelotti, Guardiola e soprattutto Klopp, che forse fra i primi ha sollevato la questione oltre 4 anni fa: "Ci troviamo nella situazione per cui nessuno può immaginare di vivere senza calcio, eppure non è mai accaduto. Si gioca in continuazione, ma per garantire prestazioni adeguate bisogna concedere pause reali e ridurre i ritmi attuali". Un problema che peraltro non riguarda solo il calcio, già nel 2018 il tennista Alexander Zverev aveva dichiarato: “Giochiamo undici mesi l'anno ed è ridicolo”. Mentre il tema è attualissimo anche nel mondo del motorsport, dove il team principal della Red Bull Christian Horner ha recentemente dichiarato: “Allo stato attuale il calendario della Formula 1 è brutale e insostenibile“. Il modello ovviamente è l'NBA delle 90 e più partite a stagione, in una visione del mondo che interpreta lo sport come una macchina in incessante movimento (= the show MUST go on). Ma è così che si perde l'interesse, e nel mare magno di stimoli e cose da fare lo sport rischia di occupare un posto subalterno. Si è perso ed esempio il valore della Nazionale. Prima vedere gli azzurri era un evento, ora capita anche troppe volte. Il risultato? Dell'Italia non frega più niente a nessuno, tifosi e giocatori. E se anche i giornalisti, presunti guardiani dello sport e dello spettacolo, si girano dall'altra parte tirando ognuno acqua al proprio mulino vuol dire che forse il problema è strutturale. Il Guardian qualche giorno fa ha indagato su questa nuova “era dell'eccesso” nello sport, con tornei sempre più grandi e partite sempre più lunghe. L'editorialista Sean Ingle ha interrogato esperti, commentatori ed economisti chiedendogli: “Is big always better?”. Ne sono uscite fuori delle prospettive allarmanti: “Lo sport dovrebbe essere imprevedibilità e pericolo. Ma le recenti qualificazioni per Euro 2024 in Germania hanno avuto ben poco di tutto ciò. E anche se la Coppa del mondo di cricket maschile ha regalato alcune sorprese straordinarie, la sua fase a gironi prolungata ha drasticamente abbassato il valore di tali vittorie”. L'esperto di marketing Beall poi afferma: "Tutti gli sport devono essere consapevoli della sovrasaturazione: la Ryder Cup, le Olimpiadi e il Lions Rugby devono il loro status proprio all'eccezionalità dell'evento che attira un notevole interesse da parte dei fan nei momenti chiave”. E l'articolo chiude poi con un profetico: “Allevate la gallina dalle uova d'oro, ma così rischiate di ucciderla!”. Intanto il caso Gavi sembra aver smosso qualcosa. La FIFPro, il sindacato mondiale dei calciatori, ha detto: “Nella scorsa stagione Vinicius ha giocato nove competizioni e Pedri, a 20 anni, ha giocato più di 12.000 minuti, il 25 per cento in più di Xavi alla stessa età. I giocatori devono avere un riposo obbligatorio minimo fuori stagione di 28 giorni e all’interno della stagione di 14 giorni. D’altra parte, i calciatori devono avere almeno un giorno libero alla settimana. E, in terzo luogo, nel calcio devono essere introdotte linee guida per limitare il numero di partite consecutive”. Ora intanto ci aspetta un altro turno di coppe europee, poi avanti tutta fino a marzo, compresi i weekend prima di Natale e Capodanno, dopo “pausa” Nazionali e via fino a maggio, infine chi in Germania per l'Europeo, chi negli USA per la Copa America. Nel mezzo la Coppa d'Africa, la Coppa d'Asia e le varie coppe nazionali ed internazionali. Ma alla fine di tutto questo cosa rimarrà? Tante, tantissime partite, ma quante da ricordare? Prima degli sportivi, si stancheranno gli appassionati. Sta già accadendo.

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A Marsiglia è in atto una guerra civile
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Proviamo a ricostruire una settimana a dir poco intricata per l'OM.
Settori popolari, prezzi impopolari
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Matteo Paniccia
27 Agosto 2023

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Tra pay tv e aumenti, il tifoso non ha più scampo.
Il CPS contro la libertà d’espressione dei tifosi inglesi
Tifo
Gianluca Palamidessi
13 Agosto 2023

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Alla distopia non c'è mai fine.

Cultura

Massimiliano Vino
11 Ottobre 2023

Emanuele Severino, dalla tecnica alla scherma

Emanuele Severino, dalla tecnica alla scherma
In principio fu la spada. Come scrisse il leggendario maestro di spada Niwa Jurozaemon Tadaaki nel XVII secolo: «La Via della spada non ha come unico fine la sconfitta dell’avversario. È l’arte di affrontare la trasformazione e chiarire la questione della vita e della morte». Da queste parole si evince l’alto valore simbolico e metafisico dell’arte della spada presso la cultura giapponese. D’altra parte, alla riflessione sulla vita e sulla morte, sugli Eterni, sull’Essere e sul non-Essere si è rivolto lungo la sua intera storia anche - ovviamente - il pensiero occidentale. Da Parmenide, che aprì la strada alla ricerca ontologica, fino ad Heidegger per arrivare all’ultimo dei parmenidei, Emanuele Severino scomparso nel 2020. Autentico gigante della filosofia italiana e non solo, Severino ha inteso il pensiero filosofico e la Verità come chiavi di lettura imprescindibili per la comprensione dell’intero svolgimento storico umano, dal disvelamento dell’Essere e del Divenire, fino al tentato dominio su quest’ultimo. Il vortice dell’illusione e dell’incedere del progresso tecno-scientifico, si avviluppa da secoli su sé stesso e si fa tentativo, estremo, di superare l’angoscia del niente e della morte. Di dominare il Divenire e di farlo proprio, stavolta mediante la tecnica, laddove dio o la tradizione hanno fallito. La logica che predomina è quella della ricerca millenaria di un rimedio. Avrebbe detto Battiato, di una cura. Lo sport, che ha assunto le dimensioni di un rito collettivo planetario, rappresenta allora per Severino una delle dimensioni di tale rimedio, come dichiarato in una intervista per 'Il Giorno': «La logica del rimedio è una logica che esiste sin dall’inizio, ed è un concetto sul quale ho lavorato parecchio. Rispetto alla routine lavorativa, la partecipazione a una partita allo stadio o a un concerto rock, ha un carattere più spirituale, più elevato e più umano. E la maggiore umanità sta nel fatto che l’uomo, atterrito di fronte alla vita, è alla ricerca di qualche rimedio». Riecheggiano nelle sue parole i pensieri di Leopardi, dei quali Severino si è ampiamente occupato, offrendo forse la più esaustiva interpretazione di uno dei più ignorati sistemi filosofici dell’Occidente. La logica della cura è logica della poesia. La poesia intesa come arte, che si traduce nelle sue manifestazioni contemporanee: nel cinema, nella musica e nello sport. Lo sport diviene una forma di fantasia e non un inganno, con rituali paragonabili alla sola religione. E quale sport avrebbe potuto rappresentare maggiormente il carattere di Emanuele Severino, se non la scherma? «Non sono un vero tifoso, ma qualche partita della nazionale la vedo con interesse. Lo sport in genere non mi è così estraneo come può sembrare: mio padre, generale dei bersaglieri, era maestro di scherma, e mi insegnò a tirare». Torna dunque la simbologia della spada. Lontani migliaia di chilometri e qualche secolo dal Bushido e dalla via della spada giapponesi. Vicini, altresì, ad una connessione mistica e spirituale del corpo degli schermidori e dei maestri di spada nel mondo, in una danza continua tra la vita e la morte (o tra la vittoria e la sconfitta). Severino ne parla in toni anche ironici su 'Il Foglio': «Fu l’unico sport in cui seppi fare qualcosa, fino a qualche tempo fa avrei potuto sbudellare qualcuno». Sport tendenzialmente individuale, in cui si è soli contro il proprio avversario, la scherma esprime lo spirito di una lotta elegante ma spietata contro la morte e contro il nichilismo. La spada è un ritorno del pensiero al servizio dell’uomo. Quasi una metafora della verità contro l’errore fondamentale della filosofia occidentale. Significa assumere piena consapevolezza del proprio corpo e dei propri movimenti, fondendoli con la propria mente. Emblema potentissimo del senso stesso dell’essere vivi e dell’essere uomini. Oggi però la verità è altra dal rito collettivo, dal gesto della spada e da qualsiasi pura espressione artistica, poetica o sportiva umane. La verità si è fatta volontà di dominio, anche nel mondo sportivo. Si è fatta previsione, tecnica al servizio della lotta impari ed ingenua dell’uomo contro l’imprevedibile e contro il divenire. È divenuta pura distruzione di tradizioni e di immutabili – laddove gli stessi hanno costituito per secoli altrettanti sistemi umani contro l’angoscia del divenire – in un tentativo di controllo di quell’imprevedibile che non può essere distaccato dal senso stesso dello sport: «La storia dell’Occidente, come storia della forma estrema della volontà di potenza, è la vicenda dell’evocazione e della distruzione degli immutabili». E non è un caso, forse, che laddove lo sport si avvicina al suo tramonto nel senso in cui lo abbiamo sempre inteso – ovvero come fenomeno sociale, culturale, identitario, come fantasia e poesia, per assumere invece la dimensione dello spettacolo e dei fatti (di campo) – questo si consegni inesorabilmente alla tecnologia e alla scienza in cerca disperata di un appiglio: «Ovunque, la tecnica sta diventando la forma più radicale di salvezza, che oggi ha soppiantato qualsiasi altra forma di rimedio contro la morte». Un colpo di spada, al contrario, diviene ben altro dall’evoluzione tecnica dello sport. Al termine del duello, si ritorna consapevoli e al proprio posto. Si lascia quella vita, racchiusa nel tempo e nella pedana. L’istante che assesta o che schiva un colpo è imprevedibile, ed è l’unico esistente. Verità essenziale nel pensiero, e nella vita, dell’ultimo dei parmenidei.

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