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Editoriali

Andrea Antonioli
10 Marzo 2025

Troppo facile crocifiggere Thiago Motta

Troppo facile crocifiggere Thiago Motta
Purtroppo, la stagione della Juventus (che dal difficoltosa è sprofondata nel fallimentare) a molti continua a non insegnare nulla. Ancora, sempre e inesorabilmente con questa pornografia degli allenatori, il linguaggio adolescenziale di chi vorrebbe ridurre il calcio ad un’ideologia metapolitica in cui si scontrano concezioni e visioni del mondo. Una mania del controllo tutta contemporanea, alimentata dall'abito social che porta tanto alla polarizzazione delle posizioni quanto alla libera espressione di ciascuno, che si sente in diritto e forse in dovere di esprimere la propria opinione.Chi un minimo ha frequentato il mondo del calcio e l’ha vissuto dall’interno, ma anche chi ha provato a studiarlo senza paraocchi, capisce che le cose sono ben più articolate di così: l'allenatore non è il demirugo che plasma la squadra a propria immagine e somiglianza bensì una figura che opera in un ambiente, in un contesto, il quale varia di volta per tante variabili. Il calcio non è tanto per intenderci quello degli Adani e dei Trevisani, personaggi che, insieme al proliferare di pagine e improvvisati influencer nel pallone, hanno causato dei danni inenarrabili all'interpretazione di questo sport. Basti pensare al clima da opposte fazioni in armi che era stato creato, ed alimentato, nella gestione Allegri: No-Max e Sì-Max, e tutto il resto passava in secondo piano, anzi scompariva direttamente. Per non parlare del modo in cui era stato accolto Thiago Motta, moderno profeta giunto a Torino per togliere alla Juventus tutti i peccati del mondo e superare una volta per tutte l'oscurantismo della gestione precedente. Follie ideologiche che con una seria analisi specifica non c'entravano assolutamente nulla, e che sollevavano solo sabbia intorbidendo le acque del dibattito. Personalmente siamo stati i primi a difendere per anni l’operato di Allegri, incassando non solo critiche ma campagne quasi diffamatorie, insulti e ridicolizzazioni. E siamo stati i primi ad essere critici non su Thiago Motta allenatore, attenzione, ma sulle aspettative messianiche del nuovo corso mottiano; a spiegare come la Juventus non avesse ingaggiato un profeta ma un allenatore con ancora tutto da dimostrare, che per di più avrebbe dovuto gestire un ambiente molto complicato in un momento storico del club inesplorato. Eppure, noi che oggi potremmo raccogliere i frutti di quanto scritto in anni, affermiamo che è troppo facile prendersela solo con Motta. Certamente il tecnico italo-brasiliano ha commesso gravi errori, soprattutto di gestione: a partire da una terapia shock per rifondare la Juventus ma che non ha avuto la credibilità, la forza e nemmeno la visione per inaugurare un qualcosa di nuovo (non c'è un progresso, purtroppo, nel cammino bianconero). Una rivoluzione rimasta a metà, nel guado, che da rivoluzione si è presto trasformata in riformismo – non poteva essere altrimenti a Torino – e che anziché dare nuove certezze, dopo aver picconato ciò che restava delle vecchie, ha contribuito a destabilizzare ulteriormente l'ambiente. Oggi giustamente sul banco degli imputati finisce Motta, perché come hanno osservato in molti la Juventus non è il Bologna e la gestione (tecnica, tattica, caratteriale) deve essere più solida, differente. Ma non può l'allenatore essere indicato come unico capro espiatorio di un'analisi che è tenuta ad essere più profonda, e quindi a rilleggere anche il passato. Sul banco degli imputati, ancora prima di Motta, va messo il mercato di Giuntoli – perché le rifondazioni non si fanno solo con le idee, ma soprattutto con gli uomini e i mezzi. E ancor prima di Giuntoli, tra gli imputati va messa la dirigenza, più confusa e aleatoria che mai. Una dirigenza che manca di visione, che non ha la minima idea di cosa debba essere la Juventus dei prossimi anni; e che, quando questa idea ce l'ha avuto, presto l'ha ritrattata vedendo i risultati immediati deludenti – basti vedere i progetti tecnici abortiti Sarri e Pirlo, sulla scia dei quali oggi potrebbe mettersi Motta. Rivoluzioni e restaurazioni che si alternano, mentre il club pare aver perso ormai irrimediabilmente il proprio carattere, il proprio radicamento, la propria essenza. Nella sua seconda gestione Allegri, pur consapevole che la squadra avesse concluso un ciclo e andasse ormai ricostruita, ha peccato inizialmente in questo: nel voler mettere su un instant team per vincere subito (da Di Maria a Pogba). L'ha fatto in parte perché alla Juventus non c'è tempo, in parte perché a Torino si deve sempre competere per vincere, in parte perché voleva lui stesso rifarsi di un clima d'odio che era stato montato nei suoi confronti. Fu un errore tant'è che poi Allegri aggiustò il tiro e fece anche un gran lavoro, aspetto che non riuscì ad emergere perché ormai la narrazone, e quindi l'analisi, erano irrimediabilmente corrotte e compromesse, in una radicale ignoranza del momento storico (critico) del club.Ma anche qui c'è un punto. La troppa ideologia ci porta ogni volta a pensare che le rifondazioni debbano essere radicali: via tutto il vecchio e dentro il nuovo, via il vecchio stile e dentro una nuova filosofia. Eppure, non sempre è tutto da buttare, anzi. Il club bianconero, in un simile passaggio storico, nel quale il calcio sta diventando sempre più liquido e globale, aveva due strade: la prima, restare fedele (innovandolo) al proprio DNA; la seconda, diventare qualcosa di diverso e più in linea con gli immediati mutamenti del pallone. Capirete che il tutto si declina in gestioni e scelte tecniche assai differenti, in profili che incarnino determinate caratteristiche, dai giocatori all'allenatore al direttore sportivo. Il punto allora è: qual è l'idea della Juventus? Che cosa vuole essere la Juventus? E chi ci dice cosa voglia essere la Juventus? In Germania i dirigenti del Bayern tante volte hanno affrontato questo tema, illustrando alla stampa la propria filosofia e le scelte compiute (a volte magari sbagliate, ci mancherebbe altro). Altri club neanche lo fanno ma hanno direzioni ben precise, dal Real Madrid al Manchester City. La Juventus, un po' come capita al Milan seppur in forma decisamente differente, cosa vuole essere oggi? E domani? Chi ci spiega qual è il progetto Motta-Giuntoli, così anche da poterne valutare tempi e risultati? Al di là del ping pong Allegri-Sarri-Allegri-Motta, che già di per sé denota grande incertezza, è naturale che senza questa visione il club si trovi ad affrontare equivoci che poi si ripercuotono anche sulla costruzione della rosa e sulle prestazioni in campo. Il prezzo che ha pagato quest'estate la Juventus per la sua (mezza) rifondazione è stato altissimo, di oltre 200 milioni. Un processo, a proposito di paragoni, abbastanza simile a quello che ha vissuto la Roma post-Mourinho: 100 e rotti milioni affidati a Ghisolfi-De Rossi, con il risultato che poi è dovuto venire il vecchio Ranieri ad aggiustare tutto. Anche lì, il club voleva votarsi a un'identità più moderna ma con tante contraddizioni, le stesse che oggi vive la Juventus. Siamo sicuri che mettendo a disposizione un budget di 100 milioni a Mourinho e 200 ad Allegri, allenatori speculatori, obsoleti, superati dal calcio nuovo, ebbene siamo sicuri che le squadre non si troverebbero in uno stato decisamente migliore? Questo però è già un altro discorso. Il punto è che, soprattutto se ci sono certe cifre, qualcuno deve delle risposte. Quanto costa, in termini di risorse e tempo, il nuovo corso? Ma ancora prima, c'è un nuovo corso? E dove deve portare la Juventus? Ad ora vediamo solo costi e pochi benefici. Vediamo una rosa gestita male e costruita assai peggio dal direttore sportivo, che comunque lo avrà fatto insieme al tecnico. 200 e più milioni dilapidati per calciatori enigmatici, per poi dover correre ai ripari a gennaio pagando a peso d'oro una punta in prestito (circa 500 mila euro a partita), il tutto dopo aver ceduto Kean a una, al momento, diretta concorrente per l'Europa – per non parlare della cessione di un talento puro come Huijsen, che già vale il terzo o quadruplo di otto mesi fa, per poi prelevare alle stesse cifre dalla Premier la riserva del Newcastle Kelly. In un'azienda, si finirebbe sotto accusa per molto meno. Ma qui chi è, e cosa fa, l'azienda? 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15 Marzo 2025

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12 Marzo 2025

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12 Febbraio 2025

Giacomo Bulgarelli, bandiera eterna

Diego Mariottini
25 Gennaio 2025

Evonne Goolagong, la rivincita degli ultimi

Ciro Cuccurullo
04 Dicembre 2024

Helmuth Duckadam, consegnato alla leggenda

Luca Pulsoni
16 Ottobre 2024

Casey Stoner contro il mondo moderno

Alessandro Imperiali
25 Settembre 2024

Giorgio Vaccaro, lo Sport come religione

Diego Mariottini
24 Settembre 2024

Marco Tardelli, una storia italiana

Simone Mastorino
15 Settembre 2024

Paolo Vanoli, nessun compromesso

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La scintilla del fermento giovanile a Lecce
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25 Marzo 2025

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In Francia la politica sta colpendo i singoli gruppi ultras
Tifo
La Redazione
23 Marzo 2025

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Il tifo organizzato di Nantes, Saint-Étienne, Strasburgo e Paris FC rischia di scomparire.
Perché in Argentina i tifosi sono scesi in piazza al fianco dei pensionati?
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La Redazione
15 Marzo 2025

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Una questione sociale, quindi calcistica.

Cultura

Alessandro Ruta
27 Marzo 2025

Il calcio di Fantozzi è molto semplice

Il calcio di Fantozzi è molto semplice
Cinquant'anni fa, 27 marzo 1975, usciva nelle sale cinematografiche il primo "Fantozzi". Ne sarebbero seguiti altri otto, di film sul ragioniere più famoso d'Italia, una maschera che è uno spaccato perfetto delle condizioni umane, lavorative e non, in famiglia e nella vita di tutti i giorni (soprattutto di noi italiani, ma forse non solo). Inutile sottolineare l'importanza del personaggio inventato da Paolo Villaggio, summa di tutte le disgrazie del mondo, nella cultura pop italiana. A noi interessa rivivere il rapporto di Fantozzi rag. Ugo con il calcio, lo sport più mostruosamente popolare in Italia che nella saga ricopre un ruolo fondamentale. E lo facciamo con le scene più epiche riguardanti il pallone all'interno dei vari film. Scapoli e ammogliati Tutti noi abbiamo visto San Pietro sulla traversa della porta quando si è in debito d'ossigeno. Tutti noi abbiamo avuto un compagno di squadra che come Calboni (maglia rossonera, Milan, Foggia o Lucchese? quanti bellissimi meme con il geometra come protagonista) si bulla dopo aver fatto un gol anche stupido: "Ué, ho fatto gol, ué ho fatto gol!". Puccettone, puccettino, Fantozzi che in quella stessa partita liscia la palla che gli appoggiano per una punizione a due e fa un volo tremendo. Un volo diventato anche quello meme, copertine di videogiochi inesistenti ma che sarebbero bellissimi. "Portiere!", quando il rag. Ugo tenta un improbabile retropassaggio di testa che invece finisce in rete, allo stesso modo del suo rinvio agghiacciante. Retropassaggio di testa, ma perché il portiere non la prende con le mani? Nel 1975 qualsiasi retropassaggio in realtà poteva essere preso con le mani, la melina insopportabile comunque sempre meglio di certe perdite di tempo odierne. Filini e la radio in bocca "Scusi, chi ha fatto palo?". Più che una domanda, uno stile di vita. "E orientamela", la radio, dice Fantozzi a Mariangela e Pina mentre vola con la sua Bianchina in una Roma desertificata dalla partita di calcio tra Inghilterra e Italia, ne "Il secondo tragico Fantozzi". "Sono 150 anni che non assisto a uno spettacolo simile", ringhia Nando Martellini esaltato dalla prova gagliarda (e inesistente, vale ricordarlo) degli azzurri. Fino a quando un "Palo!", fa sobbalzare il rag. Ugo alla guida, la frenata, il vetro rotto per acchiappare un'informazione e un pugno in faccia come risposta. "Colpito da McKinley", prosegue intanto la radiocronaca. Obiettivo della serata, un film cecoslovacco con i sottotitoli in tedesco. "Calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle per la quale andava pazzo, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, rutto libero". Una situazione quasi intima, da godersi mentre sua figlia Mariangela gli vorrebbe far vedere il vestito nuovo, probabilmente per la prima comunione. Ancora più spettacolare però è la perquisizione prima della proiezione di quella che poi sarà la replica della "Corazzata Potemkin". Perché tutti, il popolino degli impiegati, ha cercato un modo di vedere o di ascoltare la partita alla faccia di Guidobaldomaria Riccardelli e della maledetta pellicola. "Incinta di nove pollici", e alla signorina Silvani viene requisito un televisorino; e Filini, che sta per farla franca, è costretto ad aprire la bocca, dove una radiolina sta gracchiando. Nessuno in realtà guarderà davvero il film, perché tutti bene o male avranno notizie su Italia-Inghilterra, 20-0 con "gol di Zoff di testa su calcio d'angolo", ed è bello crederci. "Kempes, parato!" Passano quattro anni e un nuovo film, "Fantozzi contro tutti", quello della Coppa Cobram di ciclismo. Il ragioniere è più incazzoso, il tono del film è cambiato, la Pina stessa è cambiata (da Liù Bosisio a Milena Vukotic, stellare a proposito l'inizio in cui Fantozzi finge di non conoscerla), ma c'è un'altra partita di calcio protagonista: Argentina-Italia. L'ennesima rivincita, peraltro. Anche qua il preparativo è simile a quello di Italia-Inghilterra, (poltrona, tavolinetto, vestaglione, birrone gelato, rutto libero) con un pregresso diverso. La Pina gli ha portato gli spaghetti "al dente", come da richiesta del ragioniere, e quando Kempes sbaglia un rigore se li becca in faccia dopo inevitabile gesto dell'ombrello di Fantozzi verso l'attaccante argentino: "To' Kempes, parato!", irresistibile istinto del tifoso della nazionale che parla al televisore ("Bettega", "Causio coi suoi numeri", "Benetti che è una belva"). https://www.youtube.com/watch?v=6qLjrBahmL8 Piccolo problema, la Pina ha una notizia importante da dargli. "No, non dirmi il risultato della partita!", teme Fantozzi, visto che la trasmissione è in differita. No, sua moglie si è innamorata di un altro uomo, gliel'ha gridato addirittura in faccia al marito, ma Fantozzi era talmente preso dal calcio che le ha risposto malamente: "Ecco, ora l'hai detto e vai, che c'è la partita". L'ha vista pettinata, ha sentito il suo profumo, deve ancora sospettare, visti i quintali di pane presenti in casa, che è Cecco, il figlio del fornaio interpretato da Diego Abatantuono. Finita? Macché. Al 21' del secondo tempo "Fantozzi finalmente realizzò", minaccia gesti estremi finendo con l'inforchettarsi da solo. E non sapremo mai com'è terminata Argentina-Italia. "That win the best". "Superfantozzi", una summa teologica quasi del fantozzismo nel corso dei secoli. Nostra scena preferita, la gara di canottaggio con Fantozzi che si perderà nelle fogne romane fino a terminare nell'oceano, ripescato dal Titanic. Arrivato ai giorni nostri il ragioniere è sempre un grande appassionato di calcio, dopo essere stato crociato, aiutato e poi turlupinato da Robin Hood, rivoluzionario francese, umiliato dalla storia, ecco l'opportunità di una bella e tranquilla partita da vedere allo stadio: Italia-Scozia. Naturalmente assieme a Filini. Villaggio nella gag della polenta durante le riprese a Courmayeur I due vogliono socializzare, "Ecco i nostri leali avversari", e Fantozzi si affaccia dal suo bus per salutare gli scozzesi al grido di "Win the best!". Mal gliene incoglie, perché per due volte si becca un colpo di chiave inglese in testa. E no, non sono problemi di fiducia. Quelli sono hooligan, che trasformano il loro autobus in una specie di vascello pirata pronto per la battaglia, come in effetti succede. E allo stadio, l'Olimpico di Roma, la gaffe è dietro l'angolo, con l'inno nazionale italiano suonato con la cornamusa in mezzo agli scozzesi. Ci vuole il telegiornale per sbattere il mostro in prima pagina (c'è Enrico Mentana a condurlo!), proprio Fantozzi, umiliato dalla Pina che lo sta vedendo sul piccolo schermo: "Mi fai schifo". Il mercoledì di coppa Malinconico, "Fantozzi in Paradiso", non solo perché il ragioniere muore. Qualche scena rimane impressa, comunque, in un quadro generale opaco e triste. Tra queste, la sera dell'anniversario di matrimonio con la moglie, in cui la Pina e il resto della famiglia (Mariangela, la nipote Ughina) gli hanno preparato una grande festa, con torta e palloncini. "Buon compleanno!", gli gridano mentre torna a casa. Ma l'obiettivo del ragioniere, arrivato con la solita Bianchina e il solito cappello, ormai in pensione non è festeggiare, c'è qualcosa di più importante che lo porta a sventrare tutti i festeggiamenti: "Il mercoledì di coppa!". Telecomando e poltrona, via tutti i palloncini e sotto con quella che appare essere Milan-Göteborg, la celebre partita del poker di Van Basten con incluso gol in rovesciata. "Silenzio assoluto, per 90 minuti non voglio sentir volare una mosca". Niente frittatona o rutto libero, piuttosto un salutare "Timballo di tortellini". E quando la Pina gli ricorda che è il giorno dell'anniversario di matrimonio la reazione del ragioniere ormai in pensione è umana, troppo umana: "Ma proprio oggi, che c'è il mercoledì di coppa? Il mitico mercoledì di coppa, l'unica gioia della mia vita". La trattativa prosegue, niente audio ma rimane il video. Cena di fronte al televisore, Van Basten segna il primo gol, gesto dell'ombrello, Ughina nel frattempo chiede di venire a vivere con i nonni perché la sua famiglia sta per essere sfrattata, Fantozzi accetta alla cieca, basta che si levino tutti dalle scatole. Rimette l'audio, il Milan segna altri gol, "fa la ola da solo" fino a concludere in versione hooligan sfasciando la casa. Come tanti anni prima, a situazione tranquillizzata, realizza. Lo hanno fregato, un'altra volta. Nel frattempo però ha passato una bella serata guardando la Champions League.