Belgrado è di nuovo il mondo
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Lorenzo Serafinelli
14 Febbraio 2025

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Le proteste contro il governo serbo stanno esplodendo nel tifo e nello sport nazionali.

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Editoriali

Gianluca Palamidessi
06 Febbraio 2025

Il calcio al tramonto delle gerarchie

Il calcio al tramonto delle gerarchie
Dal coronafootball ad oggi – sono già passati cinque anni – abbiamo assistito a una radicalizzazione di due fenomeni, già presenti da tempo immemore nello sport americano (nel basket soprattutto, ma anche nella NFL): 1) l’espropriazione del gioco dalla sua matrice popolare e 2) la tecnicizzazione dello stesso da parte degli addetti ai lavori. I due fenomeni, strettamente connessi, nascono dalla seguente valutazione (soprattutto da parte dei media): il calcio senza tifosi magari è molto triste e spento, ma può funzionare. Di più: funziona ancora meglio, perché espande i suoi orizzonti economici, i profitti derivanti dalla sua vendibilità, ben oltre i limiti della “cultura popolare”. Infatti, il tifoso che va a vedere la propria squadra di calcio ci sarà sempre. Ma quello che vede il calcio in quanto sport e in quanto oggetto di studio, analisi, indagine statistica, questo lo si deve costruire. Quanto appena detto ha chiaramente delle ripercussioni enormi sul calcio giocato. L’errore è quello di credere che il football espropriato dalla sua matrice popolare (i.e. dal suo legame con i tifosi, soprattutto) continui ad essere lo stesso sport praticato da più di centocinquant’anni. Non è così, naturalmente. Un calciatore che scende in campo senza pubblico sugli spalti, o con un pubblico assopito (come accade in Premier, ad esempio), ragiona da impiegato. Se il suo compito è unicamente quello di fare bene il calciatore – non di essere calciatore, che è diverso –, egli ragionerà sempre più sulla propria carriera, il proprio profitto, la propria immagine. Chiaramente la trasformazione da (uomini) calciatori a professionisti del calcio è più complessa di così, e affonda le sue radici nel calcio moderno come fenomeno che si può datare dalla sentenza Bosman (1995) in poi. Senza dubbio però il coronafootball, proprio come accaduto nella società, ha accelerato alcuni processi già in atto. Tra gli altri, quello dell’imprevedibilità delle competizioni. Un dato che dall’esterno potrebbe risultare positivo, persino auspicabile, in quanto è proprio il fattore sorpresa a fare di questo sport il nostro prediletto. Ma c’è imprevedibilità e imprevedibilità. Un conto è l’imprevedibilità dei mondiali, ad esempio, o delle competizioni internazionali per club, dove la formula dell’eliminazione diretta aumenta di molto le chances per le piccole di avere fortuna nel corso del torneo. Un altro è assistere all’assoluta imprevedibilità della singola partita, e quindi della competizione nazionale anche – alla lunga. “Tutto è possibile”, in questo calcio. Ma non perché il livello si sia alzato, al contrario. La compressione dei calendari ha creato squadre-da-batteria e calciatori-automi, che di fatto si allenano giocando, come denunciato da molti allenatori negli ultimi anni. Per lo stesso tifoso, godersi una vittoria è diventato impossibile, perché nel giro di 48h si può passare dall’esaltazione più totale alla depressione più cupa. Cosa crea, tutto questo? Un calcio imprevedibile, certo. Ma non in un senso positivo, tutt’altro. Ogni partita vive di mille partite al suo interno, i cinque cambi, il VAR, sono tutte innovazioni del diavolo per allungare i tempi di una gara che raggiunge in media i 100 minuti complessivi (di cui tra l’altro, quasi sempre, il tempo effettivo è poco più della metà). La vacca non ha più latte, ma ogni anno esce fuori un’altra competizione. Ancora calcio, di nuovo calcio, tutti i giorni tutto il giorno. Il sistema è in burnout totale, ma non ci si può fermare. Siamo a bordo di una trottola impazzita. CONTINUA A LEGGERE

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Andrea Renzi
08 Febbraio 2025

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La protesta sul divieto trasferte prosegue senza sosta.
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Tifo
La Redazione
02 Febbraio 2025

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Dove è finita la goliardia delle curve?
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Imma Borrelli
26 Gennaio 2025

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Racconto di una serata indimenticabile.

Cultura

Lorenzo Serafinelli
14 Febbraio 2025

Belgrado è di nuovo il mondo

Belgrado è di nuovo il mondo
Kada brod tone uvek prvi pale miševi, recita un vecchio detto serbo. Quando la nave affonda i topi sono sempre i primi a cadere. Il governo in Serbia, a guida SNS (Srpska Napredna Stranka, partito progressista serbo), è una nave alla deriva ormai da novembre, nel silenzio quasi generale dei media nostrani ed europei. Penne e voci hanno taciuto, e talvolta tacciono ancora, per due ragioni: mancanza di interessi e puro disinteresse. Partiamo dalla seconda. Il catalizzatore delle proteste studentesche, che attualmente bloccano il paese, è la morte di 15 persone innocenti causata dal crollo di una pensilina in ristrutturazione alla stazione ferroviaria di Novi Sad, avvenuta lo scorso 1° novembre. Quando nei giorni successivi gli studenti della Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado scendono in piazza per chiedere giustizia, vengono aggrediti da persone, non del tutto identificate, vicine al governo. Scatta l’immediata reazione dei ragazzi, che occupano la facoltà e ottengono il sostegno dei loro colleghi e della società civile. La loro richiesta iniziale è rendere pubblica la documentazione riguardante i lavori di ristrutturazione della stazione, affinché vengano individuati i responsabili della tragedia. Si spiega così il disinteresse di chi dovrebbe fare informazione, verso una protesta che può essere facilmente derubricata a mera questione di politica interna. Puro disinteresse che si fonde con una mancanza di interessi nel coprire giornalisticamente la vicenda nel momento in cui si allarga col passare dei mesi; d’altronde in Serbia, con buona pace di chi proverà a strumentalizzarla, non sta andando in scena una “rivoluzione colorata”. Le posizioni politiche di chi è sceso in piazza al fianco degli studenti spaziano dal pacifismo al nazionalismo, non c’è alcuna bandiera dell’Unione Europea, tutti chiedono maggiore trasparenza dietro la bandiera nazionale, senza abiurare i valori della tradizione cristiano-ortodossa. Ma abbandoniamo questa (in)necessaria digressione di natura politica, tornando a temi che si confanno a una rivista sportiva e culturale. Ammesso che in Serbia sia possibile scindere la dimensione sportiva da quella politica, almeno fino a quando ci saranno campetti da basket improvvisati in mezzo alla strada per giocare 2 contro 2, durante le proteste più massicce mai registrate dal 1996 ad oggi. E allora ecco che molti, in giro per il mondo, si accorgono di quanto sta accadendo solo quando le telecamere dell’Eurolega, durante il derbi di Belgrado andato in scena lo scorso venerdì 31 gennaio, inquadrano Novak Djokovic che indossa la felpa con la scritta “Students are Champions”. Presa di posizione che è sintomo di un qualcosa che sta cambiando, considerando la sua fede; Nole è tifoso della Stella Rossa. Se lo slogan delle manifestazioni studentesche recita Beograd je opet svet (Belgrado è di nuovo il mondo), all’interno di quel mondo ci sono altri due universi. Jedno brdo dva univerzuma, per citare un altro detto; ovvero Una collina, una delle tante su cui è sorta la città bianca, e due universi, Partizan e Crvena Zvezda. Il derbi è eterno per una ragione, la rivalità di certo non esula da questioni politiche, anzi semmai le amplifica e le nutre. Due venerdì fa, durante la stracittadina, nella Južna Tribina (Curva Sud) dell’arena . . . CONTINUA A LEGGERE