Esporre la propria fede, ma solo sul grande schermo.
Trentun maggio 1953, si gioca l’ultima di campionato e Roma pregusta l’estate. La brezza calda del litorale di Ostia arriva fino in centro, incagliandosi stantia tra i sanpietrini e le Vespe che ingolfano le strade del centro. I tavolini dei bar di Via del Corso, bardati con eleganti tovaglie rosse e coronati da segnaposto in finta lacca dorata, si popolano di decaduti nobili piacioni ed abbienti turisti americani.
La poca aria si infila attraverso le maglie delle polo in tessuto Jacquard o Gabardin dai colletti dal taglio cubano, appiccicando i mediterranei rosari d’oro agli altrettanto mediterranei peli corvini del petto degli avventori. Il sole dell’incipiente mezzogiorno mette a dura prova la tenuta del trucco delle eleganti signore americane che si proteggono dagli sguardi rapaci dei vitelloni locali dietro montature scure ed affusolate.
Il 31 Maggio 1953, però, c’è un’altra Roma in fermento, tanto verace quanto affascinata dall’America.
È la Roma popolare, quella della classe operaia, delle baracche che si perdono senza soluzione di continuità con gli estesi campi che delimitano la città che fu da quella che verrà. La Roma dove abita il personaggio interpretato da Vittorio Gassman nell’episodio ‘Che Vitaccia!’ de I Mostri, o ancora il Nando Mericoni di Alberto Sordi, cultore del baseball sulla carta, sfegatato romanista nella realtà dei fatti.
È la Roma dei primi condomini che svettano come cattedrali nel deserto tra terreni brulli. Quella Roma che tanto affascina il Pasolini scrittore, quanto Cinecittà. È proprio come il personaggio del baraccato della pellicola di Dino Risi che immagino il tifoso romanista montare in sella alla bici sgangherata e pedalare fino in centro il pomeriggio del 31 Maggio, data storica per i giallorossi, la prima all’Olimpico.
Se le reti inviolate di Roma-Spal chiudono la stagione giallorossa senza emozioni sul tabellino, sugli spalti del nuovo impianto non è difficile immaginarsi la calca estatica in stile Un Giorno in Pretura. La celebre scena tra il romanista Nando Mericoni ed il laziale pretore Lo Russo (Peppino De Filippo) viene infatti girata la stagione successiva in occasione della stracittadina, contribuendo a sancire il successo nazionalpopolare di Sordi e a stabilirne per sempre il ruolo di icona romanista.
Peppino De Filippo e Alberto Sordi allo stadio per il derby. Estratto dal film “Un giorno in pretura” di Steno (1953)
È proprio nel 1954 che, in occasione della stesura del volume celebrativo La Roma dal Testaccio all’Olimpico, Sordi viene intervistato assieme ad altri esponenti pop della romanità, tra cui il cantante Claudio Villa, riguardo la sua fede giallorossa. Alla domanda del giornalista Nando Castellucci sul parere dell’attore riguardo il neoacquisto Alcide Ghiggia, Sordi a mo’ del suo ‘merigano’ Nando Mericoni risponde: “Chi? Ghiggia del Kansas City… è un fenomeno, guai a chi me lo tocca.”
La risposta macchiettistica di Sordi cela tutta la natura del suo rapporto conflittuale con la Roma. Da un lato l’amore per il calcio ed i giallorossi, dall’altra una fede che spesso è sembrata eccessivamente ostentata e costruita per rafforzare la solidità popolare del personaggio. Nonostante i molti riferimenti calcistici tanto nei film interpretati che in quelli diretti – fatta eccezione per un Roma-Lazio 3-0 della stagione 1957/58 quando l’attore viene ritratto in tribuna, al fianco della dirigenza giallorossa, con un impeccabile abito grigio ed occhiali da sole con montatura dorata nello stile dei più eleganti attori o jazzisti modernisti americani – Sordi all’Olimpico non lo si è mai visto con assidua frequenza. Anzi, è lo stesso Sordi ad ammetterlo nel 2001, dichiarando alla Gazzetta dello Sport come lui preferisca seguire la gara in televisione o in radio perché allo stadio “si vede poco o niente.”
Certo sono tempi in cui i VIP, specie se già anagraficamente maturi, non sono avvezzi a mischiarsi con i tifosi nelle curve come accade oggi, si pensi al tifo sfegatato di Valerio Mastrandrea o anche agli aneddoti sulla militanza giallorossa del giovane Verdone, ma resta il fatto che Sordi si mostra restio anche alla tribuna. Ad ogni modo, si deve tenere in conto che quest’avversità allo stadio rientra nella più ampia reticenza di Sordi a lasciarsi andare alla vita mondana e ad apparire sulle pagine dei rotocalchi. Pochi sono gli ospiti che entrano nella sua villa-mausoleo, dove le sorelle sostituiscono la moglie mai avuta né voluta.
Privata è la fede religiosa di Sordi, così come si può pensare che sia quella romanista. Va infatti riconosciuto come spesso i tifosi più accessi e radicali guardino con sospetto a chi, a differenza loro, non segue le gare allo stadio.
Lungi dal mettere in dubbio la fede calcistica dell’attore, l’impressione è però che la figura di Sordi ne è spesso uscita più vicina a quella di una mascotte o maschera popolare che a quella di un tifoso. O meglio, il Sordi tifoso-attore interpreta lo spirito campanilistico e verace del popolano, che per forza di cose si differenzia dal Sordi elegante borghese e tifoso nella vita privata. Ciò che certo non si può negare è l’amore di Sordi per il gioco del pallone, utilizzato per diverse gag e coronato da Il Presidente del Borgorosso Football Club (1970). Il personaggio di Benito Fornaciari è forse quello più rappresentativo del Sordi tifoso borghese, distante dagli insulti da bar sport ma genuinamente appassionato al calcio.
Ispirato, a quanto fatto intendere dall’attore stesso, dalla sfortunata e sciagurata avventura alla presidenza della Lazio, tra il 1962 ed il 1963, dell’amico di famiglia Ernesto Brivio, il Sordi interprete del presidente-imprenditore Benito, costretto ad indebitarsi perché trascinato dalla passione per lo sport, è anche quello maggiormente anticipatore di un modo moderno di fare calcio, fatto di doping, mazzette e calciomercato. Sicuramente un calcio che sposa la visione dell’attore secondo cui la partita si gusta meglio in poltrona che allo stadio.
Sordi motivatore, nei panni del Presidentissimo Benito Fornaciari
Diversi sono invece i personaggi che, in linea con lo spirito popolare dello sport, mettono la Roma e lo stadio al centro della loro vita. Ne è un esempio il personaggio di Alberto Mariani ne Il Marito di Nanni Loy (1957) che fa un dramma domestico dell’impossibilità di andare allo stadio per il derby a causa di un concerto domestico di violoncello organizzato dalla moglie. È della stessa pellicola un altro dei celebri leitmotiv calcistici di Sordi, quello del laziale burino, in quanto cultura popolare vuole che i sostenitori biancocelesti provengano dalle campagne che circondano la capitale. A sminuire la romanità dei laziali ci pensa Sordi, che dal balcone di casa bagna con una gomma da giardinaggio una carovana di tifosi rivali apostrofandoli con un
“anvedi sti sfollati profughi, a zozzi laziali.”
Il motivo ritorna in un altro film a sfondo coniugale, Le Coppie (1970), nell’episodio ‘La Camera’. Vestendosi elegante per non essere rimbalzato dagli hotel della Costa Smeralda, il popolano Giacinto Colonna viene consigliato dalla moglie Erminia – una proto Sora Lella interpretata da Rossana Di Lorenzo – di indossare “il vestito celeste, con la camicia bianca, e co’ ‘a cravatta da’ Lazio.” Questa, forse una delle frecciate più raffinate scoccate da Sordi nei confronti dei cugini biancocelesti, mette in luce la capacità dell’attore, scapolo per scelta, di cogliere il fondamentale ruolo salvifico del calcio, vero e proprio salvagente del maschio italico, nella vita coniugale.
È lungo questa stessa chiave di lettura che si sviluppa un altro degli sketch più iconici e sottili di Sordi sul mondo del pallone. In Finché C’è Guerra C’è Speranza (1974) – film di incredibile attualità che dimostra le ingiustamente spesso criticate doti di Sordi come regista – il trafficante d’armi Pietro Chiocca semina il concorrente in affari in un aeroporto della Guinea-Bissau facendolo mettere in quarantena grazie al tesserino della A.S. Roma spacciato come Association Sanitaire Roma.
Aldilà delle battute campanilistiche e delle critiche di parte dei tifosi sulla scarsa militanza dell’attore, alla faccia di Nanni Moretti, Sordi rimane uno degli attori italiani che meglio ha saputo cogliere l’importanza della fede calcistica nella quotidianità degli italiani – dai baraccati della periferia alla piccola borghesia cittadina – rimanendo, come recitava uno striscione della Curva Sud in occasione del quindicesimo anniversario dalla scomparsa, “l’unico e vero americano a Roma.”
In copertina: Alberto Sordi insieme ad Agostino Di Bartolomei (foto www.asromaultras.org)
Oggi il Bar dello Sport si trasferisce nella Capitale, e il tema all'ordine del giorno non può che essere il derby appena giocato. La Roma lo ha vinto due volte: la prima in campo, la seconda sugli spalti.