Ritratti
29 Giugno 2023

Aleksandr Bublik, condannato al tennis

Il campo come ufficio e come palcoscenico.

Fai un lavoro che ami e non lavorerai nemmeno un giorno nella vita. Quante volte abbiamo sentito questa frase? E quante volte invece ci siamo ritrovati incastrati in un lavoro odioso, necessario per mantenerci ma che non ci garantiva piaceri e soddisfazioni? Eppure nessuno, tendenzialmente, assocerebbe quel senso di noia e oppressione provocato dal lavoro ad una star dello sport. Almeno prima di conoscere Aleksandr Bublik.

Aleksandr Bublik, Gatčina, 17 giugno 1997, tennista russo naturalizzato kazako, questa domenica ha vinto l’Open di Halle, uno dei tornei di tennis su erba più prestigiosi dopo Wimbledon, a lungo terra di dominio di Roger Federer. Con la vittoria del suo secondo torneo Bublik ha consolidato al suo posizione fra i migliori 30 al mondo, ma la verità è che a lui, tutto questo, non interessa molto.

“Mi lamento di quanto possa essere stupido questo sport, è uno sport di merda.

Aleksandr Bublik

Il meglio di Aleksandr Bublik ad Halle

Il tennista kazako è infatti un unicum per il rapporto, a dir poco conflittuale, che lo lega al suo sport. Bublik non si è innamorato del tennis da bambino, Bublik è stato condannato al tennis. «Mio padre mi ha dato una racchetta quando avevo due anni, e non mi ha neanche chiesto se mi piacesse», ha dichiarato. Un amore non corrisposto quello del tennis verso Bublik, che nel corso degli anni ha sviluppato il suo enorme talento con indolenza, diventando un professionista sicuramente più per dovere che per piacere.

La stagione sulla terra? Devo guadagnare soldi anche se non mi piace la superficie.

Bublik porta con sé una visione inedita dello sport, una visione quasi impiegatizia. Il tennis è solamente un lavoro, e del resto come dice lui stesso: «A nessuno piace andare al lavoro». Un venditore porta a porta di spettacolo. «Se vinco, va bene. Se perdo va bene lo stesso». Il campo il suo ufficio, la racchetta la sua penna, il tabellone la sua stampante e l’unico obiettivo di portare a termine la giornata, per poi ricominciare la mattina seguente. Tuttavia, non è il ‘solito’ rifiuto di tanti sportivi dettato dalle pressioni, dalla fatica, dalla volontà di evasione.

Semplicemente a Bublik interessa relativamente quello che si trova a fare. Il sentimento è prossimo allo zero, come si evince anche dalla scelta nel 2016 di abbandonare la nazionalità russa per abbracciare quella dei vicini kazaki, in cambio di soldi e assistenza. Eppure lui è sempre sorridente, di un sorriso innocente e contagioso. Per questo quando dice, sempre con quel sorriso, di odiare il tennis e praticarlo solo per soldi, sappiamo certo che nelle sue parole c’è un fondo di verità ma sappiamo anche che Bublik un po’ esagera – come poi lui stesso confessa, smentendosi.

Se Bublik non odia interamente il tennis, però, è solo perché lo ha (ri)trasformato in un gioco. E quell’ufficio, ovvero il campo, lo ha reso un palcoscenico. Un approccio che lo pone in netta antitesi rispetto agli sportivi di successo, maniaci e ossessivi: l’anti-Djokovic e Nadal, l’anti-Jordan, la negazione della Mamba Mentality. Celebre è la frase che rivolse a Sinner dopo essere stato battuto: “You are not human” (ma, anche qui, sempre col sorriso). Bublik, straordinariamente umano in una galassia di alieni.

Mi piace giocare sull’erba perché non devo correre molto.


ROULETTE KAZAKA


A nessuno piace lavorare ma bisognerà pur farlo, per questo è necessario addolcire la pillola. Bublik durante le partite persegue allora un solo, egoistico obiettivo: il suo divertimento. «Posso battere chiunque o perdere contro chiunque. Non mi interessa, sono qui per divertirmi, giocare, vivere la mia vita». Sasha non cerca lo spettacolo appositamente, ma questo diventa una diretta conseguenza del suo modo di giocare. Un’eterna roulette russa, sempre sul filo del nastro, poco importa che la palla passi o sbatta per poi tornare indietro.

Una simile attitudine, unita al raffinatissimo talento di Bublik, rende il suo uno dei tennis più belli del circuito. Il repertorio è completo e fatto di un servizio potente, un polso sensibile unito ad un braccio fulmineo e in generale una grande sensibilità tennistica, che esercita nei modi più vari: dalle palle giocate in controbalzo all’ottima abilità sotto rete.

196 centimetri, tra l’altro, spostati per il campo con una leggerezza tecnica, atletica, esistenziale che rende ancora più affascinante questo tennista con l’altezza di un cestista e l’innocenza di un bambino. L’incuranza verso il risultato finale porta il kazako ad osare come nessuno avrebbe il coraggio di fare, e quindi volèe, passanti in tweener, servizi dal basso o colpi surreali come l’ormai noto smash con il manico della racchetta.

15 minuti di Aleksandr Bublik

Una leggerezza che stride in un mondo sportivo che si prende troppo sul serio, con atleti chiusi nelle proprie campane di vetro ormai quasi isolate dagli spalti gremiti. Si sprecano sui social minuti e minuti di video che raccolgono i punti più assurdi del tennista sovietico. La sue tendenza alla giocata spettacolare è testimoniata poi dai suoi stessi colleghi, che spesso assistono basiti e divertiti alle sue follie. Casper Ruud dopo averlo battuto nel 2022 a Miami gli disse sorridendo: «Hai avuto 2/3 hotshots, finirai su TennisTV come sempre».

Tutto questo dà vita ad un tennis splendidamente incostante, che gli ha di fatto impedito di vincere a 26 anni più di due tornei. Emblema ne è il servizio: famoso il match agli US Open 2019 in cui il tabellino, a fine partita, recitò 48 ace e 26 doppi falli. Sregolatezza fissata poi alla perfezione dall’ultimo game di Halle. Prima di vincere con un ace di seconda, infatti, qualche brivido era corso sulla schiena dei tifosi di Bublik a causa di ben tre doppi falli.

Sul servizio a volte lancio la palla e non so cosa fare e decido di colpirla forte.


L’ANARCHICO DEL TENNIS


Molti nel corso di questi anni hanno paragonato Bublik a Kyrgios, entrambi accomunati da uno stile di gioco spettacolare e da un rapporto difficile con il tennis. Ma fra i due c’è una profonda differenza. L’australiano è rimasto infatti schiacciato sotto il peso delle enormi aspettative, dall’ambizione che in Bublik invece manca quasi totalmente. C’è chi ad esempio, dopo questa vittoria, auspica finalmente un decollo della carriera di Sasha. Ma pensare ciò significa non aver ancora imparato a conoscer il tennista kazako.

Bublik gioca perchè deve farlo, punto e basta. Guastarsi la vita per inseguire la vittoria a tutti i costi non è fra le sue priorità. Tracciare gli schemi della tipica carriera per l’anarchico del tennis è inutile. La vittoria è finalmente arrivata, come un ace di seconda, ma chissà quanto ci vorrà per mettere a segno un altro, splendido, punto.

Di solito i ragazzi che sono tra i primi cinque hanno forse 20 titoli in carriera e hanno giocato forse 500 tornei. Quindi perdono quasi ogni settimana. E prendere la vita così seriamente, penso sia la strada sbagliata per me.

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