Altri Sport
04 Ottobre 2020

Alexis Argüello, l'eroe fragile del Nicaragua

Rivoluzione, tradimento e autodistruzione di uno tra i migliori pugili di sempre.

Nella canzone Robespierre del gruppo reggiano Offlaga Disco Pax c’è un passaggio che cita, parlando dei ricordi di quegli anni un po’ cazzari a cavallo del 1980, “I sandinisti al potere in Nicaragua”. È proprio questo piccolo Stato del Centroamerica ad essere la cornice turbolenta nella quale si incastona questa storia. Una storia di sport e di politica. La storia di un pugile da Hall of Fame e della sua vita tribolata. La storia di un uomo sopraffatto dal peso del suo ruolo. La storia di un’esistenza tragica, instabile, profondamente plasmata dal contesto storico in cui è stata giocoforza risucchiata. La storia di Alexis Argüello, “El flaco explosivo”, campione mondiale in tre diverse categorie di peso.

 

 

 


PRIMO ROUND – ASCESA


 

Riavvolgere il nastro della vita di Argüello è impossibile senza inserirla nel tempo e nel luogo che le competono. Alexis nasce nel 1952 a Managua, capitale del Nicaragua. Questa landa nel cuore dell’America Centrale, ex colonia spagnola e messicana, diventa indipendente nel 1838 ma ben presto finisce nel mirino imperialista degli USA che la occupano militarmente per più di 20 anni, dal 1912 al 1933. L’invasione del Nicaragua rientra infatti all’interno della cosiddetta “Guerra della banana”, ovvero quell’insieme di manovre militari in America Latina volte a garantire il dominio statunitense su tutta la regione.

 

 

Così, quando un gruppo di guerriglieri capeggiati da Augusto César Sandino costringe alla ritirata i Marines, la rappresaglia a stelle e strisce non si fa attendere. Sandino – che darà il nome all’omonimo movimento politico – viene assassinato a tradimento e il golpe successivamente orchestrato porta al comando la famiglia Somoza, nel più classico esempio di dittatura militare e oppressiva filostatunitense tanto in voga nell’America Latina del ventesimo secolo.

 

Augusto César Sandino, leader della resistenza nicaraguense contro l’esercito d’occupazione degli Stati Uniti.

 

 

Alexis cresce in pieno regime somozista, ed è un ragazzo esile, non ha i guantoni cuciti addosso. Come raccontato in una splendida biografia a puntate di ESPN, le sue qualità pugilistiche vengono riconosciute tardi, senza permettergli di avere alcun tipo di formazione tecnica: ad accorgersi del suo talento è il cognato Eduardo Mojica, che gli propone il primo incontro all’età di 16 anni contro il panamense Amaya. Lo perde, ricevendo comunque 100 cordobas, ma impara una lezione fondamentale:

 

«Quella sconfitta mi ricordò che i soldi non sono tutto nella vita, l’orgoglio è più importante»

 

Nonostante l’esordio infelice, Argüello sa di poter arrivare in alto. Negli anni affina la tecnica e migliora la pulizia dei colpi, mantenendo quell’aggressività che gli vale il soprannome di “Flaco Explosivo”. Il suo jab sinistro diventa praticamente ingiocabile, e dopo un primo assalto al titolo mondiale fallito contro il panamense Marcel, il 23 novembre del 1974 stende il messicano Olivares in 13 riprese e si consacra campione mondiale dei pesi piuma: è il primo nicaraguense della storia a riuscirci.

 

Alexis Argüello
Il micidiale punch mancino di Alexis Argüello

 

 

Il suo talento conosce l’apoteosi negli anni successivi, dove difende con successo il titolo per ben cinque volte. Nel 1978 sale di categoria di peso, ma il leitmotiv non cambia: il 28 gennaio sconfigge in 13 riprese il portoricano Escalera e viene incoronato campione dei superpiuma. La sua galoppata verso la gloria sembra inarrestabile: dentro al ring è un predatore perfetto. Ma è fuori, dove è costretto a gestire il suo ruolo da personaggio sportivo nazionale, che si consuma la sua tragedia.

 

 

 


 GONG – L’ESILIO


 

Dopo quasi 45 anni di dittatura somozista, i sandinisti cominciano a sentire l’odore del sangue di un regime agonizzante, che anche gli stessi Stati Uniti hanno smesso di appoggiare. In cerca di qualsiasi appiglio per riacquistare prestigio, Anastasio Somoza vede in Argüello la sua gallina dalle uova d’oro. Il pugile più forte al mondo come volto della propaganda: l’ideale per dare ossigeno alla propria leadership.

 

 

Attraverso la mediazione di Eduardo Román, amico e consigliere di Alexis, Somoza riesce a manipolare il campione, strumentalizzando la sua popolarità: sono tante le belle parole spese da entrambi in quegli anni, insieme a foto di eventi pubblici che li ritraggono insieme, sorridenti. In cambio, Somoza finanzia gli incontri di Argüello, a cominciare dal suo primo assalto al titolo contro Marcel. Un do ut des che sembra stare bene a entrambi, nonostante paia chiaro come Alexis non abbia l’esatta percezione del suo ruolo fuori dal ring. In fondo, come dirà lo stesso Román, era solo «un muchacho ingenuo».

 

Anastasio Somoza, dittatore del Nicaragua dal 1967 al 1979. È stato assassinato ad Asunción, in Paraguay, il 17 settembre 1980, dove viveva esule. (Photo by Central Press/Getty Images)

 

 

Ma non c’è propaganda che tenga di fronte all’avanzare dei sandinisti. Somoza inizia a traballare e dubita di tutti: anche Argüello e Román finiscono per perdere la protezione di cui godevano. I tempi sono maturi per la rivoluzione, e Argüello, che si è sempre definito “un hombre del pueblo” (un uomo del popolo), decide di esporsi pubblicamente. L’8 luglio del 1979, cinque mesi prima del trionfo sandinista, Argüello sale sul ring del Madison Square Garden di New York con la bandiera del Fronte Sandinista, per un match contro il messicano Limòn.

 

 

La scelta, però, non sembra essere sufficiente per togliere l’etichetta di controrivoluzionario che i sandinisti gli hanno già appioppato. Così, una delle prime decisioni del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN) una volta al potere è proprio quella di punire il pugile, che viene esiliato con l’esproprio di tutti i suoi beni. È un duro colpo per Alexis, che è nel prime della carriera e acclamato eroe in Nicaragua. Si sente tradito dai sandinisti, e fin da subito le sirene statunitensi cominciano a tentarlo.

 

 

 


AL TAPPETO – PAURA E DELIRIO A MIAMI


 

Gli Stati Uniti, in piena Guerra Fredda e con Fidel Castro in pompa magna, si leccano i baffi quando Argüello comunica la decisione di trasferirsi a Miami: il fenomenale pugile che trova asilo negli USA come emblema del fallimento dei sistemi socialisti. E lo stesso Argüello finisce dentro la giostra senza neanche accorgersene: diviene presto il simbolo dell’anticomunismo in America Centrale, idolatrato dagli esuli cubani che riempivano le strade di Miami in quegli anni. Arriva persino ad affiliarsi per alcuni anni al gruppo di controrivoluzionari chiamato “La Contra” e a relazionarsi con membri della CIA. Dalla bandiera sandinista esposta al Madison Square Garden sembra passato un secolo.

 

 

Ancora una volta, l’impressione è che Argüello non abbia la piena percezione del suo ruolo fuori dal quadrilatero. Dentro è un’altra storia, e nemmeno l’esilio riduce l’aura di imbattibilità che emana. Nel 1981 sale ai pesi leggeri e batte l’inglese Watt a casa sua, portando a tre le categorie di peso in cui è campione del mondo: è il sesto pugile della storia a riuscirci. Difenderà il titolo altre quattro volte, fino al 1982. Miami lo tratta come una celebrità, ospitandolo persino un suo divertente cameo in Miami Vice, serie culto della città negli anni ’70, dove interpreta un trafficante. Rallentare non è un’opzione: il passo successivo è diventare campione del mondo della categoria di peso successiva, quella dei superleggeri. Ma è proprio quando vedi il mondo dalla cima che inizia la discesa.

 

Argüello Stallone
Alexis Argüello dal jab mancino al jet-set americano

 

 

Il 12 novembre 1982 Argüello sfida il campione del mondo in carica Aaron Pryor con il vento in poppa. A sorpresa, l’americano lo manda KO in 14 riprese, al termine di un incontro con tante chiavi di volta, tra cui una bottiglietta sospetta che avrebbe rinvigorito Pryor proprio nel momento della sua massima flessione. La sconfitta è devastante per il nicaraguense, che non si riprenderà mai più realmente. Il 9 settembre del 1983 va in scena la rivincita: Alexis viene di nuovo sopraffatto, questa volta in dieci riprese. È la pietra tombale della carriera professionistica del “Flaco Explosivo”.

 

 

Argüello è distrutto, non riesce ad accettare il suo declino. Il sogno si è frantumato su di lui con violenza inaudita. La Miami degli anni ’80 – non proprio la Siberia – lo inghiotte senza risputarlo: iniziano a essere sempre più frequenti le nottate a ritmo di whisky e cocaina. I primi segni della depressione iniziano a manifestarsi. Non ha più la forza di combattere: la lontananza dal ring lo logora, e la situazione precipita velocemente. Cambia mogli e spende soldi con la stessa velocità con cui una volta sferrava diretti, e il suo stile di vita diventa insostenibile economicamente. Ma nel mezzo della bufera, ecco il faro: caduto il governo sandinista, nel 1990 gli viene concesso di tornare a casa.

 

 

 


KNOCK OUT


 

In terra natia Alexis riassapora l’amore della sua gente, e tenta di affrontare le proprie dipendenze, lontano dalle luci mefistofeliche di South Beach. A diventare sempre più arido però, è il suo conto in banca. Alexis ha debiti enormi negli Stati Uniti, che lo costringeranno a tornare sul ring altre due volte: la sconfitta del 1995 contro Walker è il suo ultimo match. Chiuderà con 82 vittorie – di cui 64 per K.O. – su 90 incontri: la rivista Associated Press lo classifica al primo posto tra i pesi superpiuma del ventesimo secolo.

 

 

Gli anni scorrono sulla pelle di Argüello, e i suoi problemi di depressione non sembrano mai affievolirsi del tutto, nonostante i numerosi centri di recupero frequentati. In uno di questi però conosce Francisco Lopez, militante sandinista, che lo mette in contatto con il neoeletto Presidente Daniel Ortega. Come il figliol prodigo, Alexis ha un riavvicinamento spontaneo alla politica. Ortega gli chiede perdono per la scelta di punirlo nel 1979 in quanto simbolo antirivoluzionario, e Argüello riabbraccia l’ideologia del partito. Diventa attivista, fino a farsi eleggere  – non senza polemiche – sindaco della capitale Managua, nel 2008; nello stesso anno è portabandiera alle Olimpiadi di Pechino. L’inaspettato ritorno alla vita politica pare dargli nuova linfa, ma i demoni che albergano nel suo cuore sono ancora pulsanti. Pronti ad incendiare la sua vita, per l’ultima volta.

 

Alexis Argüello, con sullo sfondo la bandiera del Nicaragua

 

 

La tragedia si consuma il primo luglio del 2009. A 57 anni, Alexis Argüello si spara un colpo di rivoltella in testa di fronte alla quinta moglie, Karla Rizo. Le dinamiche degli eventi di quella sera non sono ancora state completamente chiarite: anche se il suicidio è quasi certo, non è stata fatta completa chiarezza su quanto accaduto. Nel momento in cui la risalita dagli inferi sembrava possibile, la malattia gli sferra il montante più duro di tutti.

 

 

Ma cosa resta del “Flaco Explosivo”? Al di là della sua straordinarietà all’interno del quadrilatero, Alexis Argüello ha rappresentato meglio di chiunque la fragilità del personaggio sportivo. La discrepanza dei codici comunicativi tra lui e la politica, la manipolazione continua della sua straordinarietà, le tentazioni di una vita frenetica sono stati letali per un uomo emotivamente debole e ingenuo. Mentre Muhammad Ali era un pugile anche fuori dal ring, Alexis Argüello non ebbe mai la forza di rispondere a dovere agli schiaffi del mondo. E forse è proprio questo che lo rende un eroe romantico.

 


Immagine di copertina @Rivista Contrasti


 

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