Nelle sfuriate di Max c'è il sunto di due stagioni difficilissime.
Parla come un profeta non riconosciuto in patria Max Allegri, giunto all’ottavo anno da allenatore della Juventus – e alla quinta Coppa Italia vinta della sua carriera, nessuno come lui nella storia del nostro calcio. Nelle sue parole, prima ancora che nelle sue azioni, ci sono insieme orgoglio, tenacia ma anche un velo di imperitura tristezza. Come la rugiada che si posa sull’erba alle prime luci del mattino, le rughe sul volto di Allegri sono sì dolci ma nascondono una notte più umida delle altre. La sua Juventus vince, ma lui come ne esce?
Qui sono possibili due interpretazioni, relativamente al caos che ha coinvolto l’allenatore bianconero dalla fine del match ai festeggiamenti e anche dopo, nei corridoi dell’Olimpico: la prima lo accusa senza appello, la seconda non solo lo comprende ma persino lo esalta.
Noi ci poniamo nel mezzo, seguendo proprio la massima allegriana dell’equilibrio. Non possiamo esaltare, allora, l’aggressione quasi fisica e senza dubbio verbale («direttore di merda, smettila di fare le marchette alla società, so dove venirti a prendere») che Allegri avrebbe arrecato al direttore di Tuttosport Guido Vaciago, ma neanche mandarlo al boia senza provare a capire le ragioni dello scazzo.
Allegri negli ultimi due anni si è trovato a combattere battaglie che andavano al di là – e al di sopra – delle sue mansioni. Dallo scandalo sulle plusvalenze, che ne ha macchiato una stagione positiva in campionato escludendo la Vecchia Signora dalle coppe europee, alle notti brave di Nedved, dall’addio di Agnelli alla ludopatia di Fagioli. Queste cose non possono essere dimenticate, e hanno senz’altro influito sulla serenità di Allegri. Se non hanno inficiato quella dei suoi ragazzi, è senza dubbio per meriti suoi: Allegri, sorta di scudo umorale delle pressioni esterne, se ne è fatto carico fino ad esplodere nel burnout di ieri sera.
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In quello sfogo a Vaciago, però, c’era anche altro. Allegri è dipinto come un dinosauro da quando è tornato ad allenare la Juventus. Eppure, ieri sera l’ha incartata (di nuovo) a quel Gasperini di cui da anni si parla – e a ragione, certo – come di un visionario, ma un visionario senza titoli fino ad ora (e questa non è più l’Atalanta dei Caldara e dei Gagliardini, prodotti della primavera, ma dei Koopmeiners e dei Lookman, degli Scamacca e degli El Bilal Touré, tutti giocatori costati parecchi milioni di euro).
Rispetto al nuovo (Thiago Motta) che avanza, l’antico testamento allegriano è carta straccia. Glielo ripetono in continuazione, che ormai è meglio si faccia da parte. Lo farà, come sappiamo, dietro la pressione non proprio cordiale di Giuntoli, del quale questa mattina sul Napolista Massimiliano Gallo ha dipinto il “metodo”: «ieri Ancelotti a Napoli, oggi Allegri alla Juventus. Dietro l’esonero di un grande allenatore, c’è spesso Cristiano Giuntoli.
Col suo metodo di lavoro che negli anni non è cambiato. Tramare nell’ombra. Fare terra bruciata. Avviare contatti col nuovo tecnico che subentrerà».
Da qui il nervosismo di Max, che durante i festeggiamenti ha intravisto il ds e l’ha cacciato con sguardo e parole («tu no, tu no!»), per poi essere abbracciato con un calore mai visto prima dai due leader massimi della Juventus: Rabiot e Danilo. Non hanno fiatato, i due sopracitati, dopo la sfuriata di Allegri a Giuntoli, ma hanno sorriso andando incontro al loro allenatore.
Una scena simile era capitata qualche istante prima quando, a pochi secondi dal triplice fischio di Maresca (che anche ieri si è dimostrato arbitro scadente), Allegri si era tolto un altro po’ pure le mutande. Espulso, mentre usciva dal campo e cercava con lo sguardo da folle il designatore degli arbitri ed ex direttore di gara Rocchi, Cambiaso – sfocato nell’obiettivo della videocamera alle sue spalle – lo ha applaudito sorridendo a trentadue denti. Una scena per molti insignificante, ma emblematica. Senza giacca né cravatta, quasi senza mutande, solo contro tutti. Il re è nudo, certo, ma evviva il Re.