Basta con gli hashtag e le cassanate.
La “resurrezione” della Juventus, come la chiama oggi il Corriere dello Sport, ancor prima che nei risultati si vede nell’atteggiamento, nella testa e nelle gambe; e ovviamente nel gioco. Ed è registrata da un dato su tutti: la Juve è di gran lunga la miglior difesa italiana (con 7 gol subiti, seconda la Lazio a 11) e la seconda miglior difesa nei primi cinque maggiori campionati europei (primo il Barcellona con 5 reti, a cui Xavi sta provando a dare un assetto nuovo).
Ma la ripresa bianconera, sugellata dalla sesta vittoria consecutiva in Serie A (12 gol fatti e 0 subiti nelle ultime sei), è anche la “rivincita di Max”, come scrive Tuttosport, facendo mea culpa sugli attacchi eccessivi – nei contenuti ma soprattutto nei toni – riservati al tecnico. Allegri non è oggi un mago della panchina come non era ieri un allenatore mediocre, il quale doveva i suoi risultati esclusivamente alla fortuna e alle contingenze storiche; un vecchio attrezzo arrugginito, superato e travolto dal progresso calcistico, incapace di dare un’anima e un gioco ad una squadra, questo almeno si diceva (e a gran voce). E allora smettiamola con la narrazione manichea, bianca o nera, letteralmente. Dopo la partita il tecnico ha detto ai microfoni
«io sono abituato a parlare poco, non mi piace dare spiegazioni. Nel calcio un giorno dici una cosa e il giorno dopo succede il contrario: su quest’aspetto qui il calcio è molto semplice, vanno vinte le partite».
Ha ragione da vendere, Allegri. Il punto non è il giudizio sulla Juventus e sul suo allenatore, ma il modo in cui si è formato ed espresso questo giudizio. Max ha commesso quest’anno degli errori così come ha fatto la dirigenza, lo staff, i giocatori, ma nel caso di Allegri questi errori hanno acquisito troppo presto la forma una condanna inappellabile e di una colpa quasi ontologica, metafisica: del peccato originale di non saper e poter più allenare nel football nerdistico del XXI secolo.
Il calcio allora è una cosa semplice, ma anche no. E gli stessi che criticano questo assunto e coltivano la logica della complessità sono i primi che ricorrono alle argomentazioni più semplificate, superficiali e ottuse che si sentano in giro. L’ennesima dimostrazione di quanto il calcio non possa essere ridotto ad hashtag, cassanate, campagne social e provocazioni continue, e di quanto il Bar Sport sia nobile nei caffè e nelle osterie della penisola, decisamente meno se tradotto nei piccoli e grandi schermi della narrazione sportiva.