In un calcio di automi, lo stupore è considerato da stupidi.
È bastata una doppia giravolta su se stesso per scatenare l’ira dei calciofili automi e schiavi della tecnica (=tattica industriale), figli e figliastri di quel Ten Haag che lo ha spedito negli spogliatoi per aver osato tanto. Il gesto di Antony contro lo Sheriff Tiraspol in Europa League di ieri sera è un manifesto della bellezza nascosta nelle piccole cose, ma soprattutto in quelle inutili, se è vero – come è vero – che parafrasando Nuccio Ordine le cose inutili sono estremamente utili. Per chi ha visto in diretta la giocata di Antony, del tutto fine a se stessa, il sentimento si è collocato a metà tra lo stupore e la meraviglia. Per chi l’ha vista dopo, analizzandola e sezionandola come fosse un oggetto da smontare o un corpo umano (ormai senz’anima) da aprire per uno studio scientifico, la sensazione è stata quella della nausea. La differenza tra i due modi di vedere la giocata è tutta qui.
L’allenatore olandese quelle parole le ha dette nel post-partita, a freddo, senz’anima appunto ma col solo motore della ragione – che come diceva Kant è cieca senza il sentimento; Lutero l’avrebbe semplicemente definita una puttana. Porgete per un momento la vostra attenzione a una parolina abusata ma poco conosciuta nella sua etimologia: stupore, appunto. L’abbiamo persa del tutto, noi uomini bruti, la capacità di stupirci. Soprattutto in un gioco (quello del calcio duepuntozero-ventidue) che ha scelto di elevare gli allenatori e i moduli, lo studio e il pre-partita, a discapito dei giocatori e delle giocate, dell’intuito e della partita, dove avvengono cose incredibili e assurde tipo questa.
È quantomeno curioso che un critico del razionalismo moderno come Vico abbia dato dello stupore questa definizione: « razze d’uomini empj, e senza civiltà, quali dovettero un tempo essere quelle di Cam e Giafet, non poterono essere che bestioni tutti stupore e ferocia », intendendo cioè con stupore non la meraviglia, e quindi lo slancio più audace della ragione, ma un senso d’ottusità e stordimento – con un significato che è vicinissimo a quello dello stupore psicologico in ambito medico: « stato di depressione del sensorio caratterizzato da un marcato obnubilamento della coscienza », si legge dalla Treccani. E così d’altra parte Scholes (che delusione) ha definito il gesto tecnico di Antony.
In effetti stupore è parola etimologicamente legata a stupido – dal lat. stupire. Bisognerebbe tornare allora al padre della lingua italiana, il buon Dante, per rendersi conto che la giocata di Antony, nel suo essere stupida, è stupefacente: « oppresso di stupore, a la mia guida Mi volsi » (Paradiso, Canto XXII). Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e così le giocate nel calcio, sua traduzione espressiva sul rettangolo verde. In un calcio che – come abbiamo più volte ribadito – tende ad uniformarsi sempre di più sotto il profilo della proposta tattica, in un panorama desolante dove nessuno (iperbole) calcia più da fuori area o in generale tenta la giocata, anche una cazzata come la ruleta su se stesso di Antony ci riporta alla mente le giocate dei campioni che ci hanno fatto innamorare di questo sport: dal primo CR7 in maglia Man. Utd a Neymar Junior, passando per Ronaldinho – che senso aveva il no-look? assolutamente nessuno, grazie Dinho! – o Higuita.
Chi ha le lenti d’ingrandimento sul calcio liquido non lo avrà notato, ma il calcio è innanzitutto questo: lo stupore e la meraviglia. Soprattutto delle giocate che non portano a un bel niente, come quella di Antony. Lui, comunque, si è difeso alla grande anche senza di noi:
“Noi brasiliani siamo conosciuti per la nostra arte. Non smetterò mai di fare ciò che mi ha portato dove sono”.
Antony