Forse sì, in un tempo molto lontano.
Spulciando la pagina Wikipedia italiana di Tobias Stieler, potrete leggere alla sezione “premi” della colonna biografica sulla destra la seguente dicitura: dodicesimo uomo onorario del Real Madrid. L’evidente ironia della cosa, dovuta all’ultimo arbitraggio di Atalanta-Real Madrid, nasconde in realtà una questione molto seria: gli arbitri hanno mai giocato a pallone?
La risposta, ovviamente, è affermativa. Tutti gli arbitri, prima di iniziare ad arbitrare per il paese o la città natale, hanno avuto un pallone tra i piedi almeno una volta nella propria vita. Ma leggendo i curricula dei più celebri arbitri internazionali, la cosa si fa più interessante. Prendiamo ad esempio Daniele Orsato: eletto miglior arbitro dall’IFFHS nel 2020, il direttore di gara italiano ha iniziato ad arbitrare a 17 anni. Nella migliore delle ipotesi, ha giocato a calcio fino a 14, o 15 anni, perché per diventare arbitri ci vuole qualcosa in più di una innata dote con la palla tra i piedi: è richiesta infatti una preparazione ad hoc (qui consultabile).
Detto altrimenti, l’esperienza calcistica di un arbitro è limitata ad una certa fase – non necessariamente quella più importante e formativa – della propria adolescenza. A giudicare dall’arbitraggio di Stieler, della propria infanzia.
Da qui la riflessione di Gian Piero Gasperini, che condividiamo e sottoscriviamo: «C’è la tentazione di eliminare ogni genere di contrasto, che invece fa parte del gioco. Ma questo è il suicidio del calcio. Basta con questi arbitri che non hanno mai giocato a pallone e rovinano le partite».
Certo, il Gasp ha parlato a caldo di un ottavo di andata di Champions perso al minuto 85′ contro il Real Madrid, ma non è l’unico – né sarà l’ultimo – a dire certe cose. L’arbitro Stieler ha espulso Freuler per un normale contrasto di gioco. Il punto non è tanto la regola o la sua applicazione, quanto il fatto in sé: quello dello svizzero era un semplice contrasto, elemento fondamentale di questo sport (il nome della nostra Rivista ne è facile rimando) che gli arbitri, per salvaguardare i giocatori o chissà cosa, stanno rimuovendo dalla sua essenza.
Idem per i tanti rossi che vediamo in Italia ogni domenica. Quanti cartellini rossi sono rossi col fermo immagine e non lo sono a velocità normale? Se si accetta di vedere un calcio iper spettacolarizzato e iper velocizzato, si deve accettare il contrasto di gioco, persino l’intervento al limite, o avremo sempre più simulatori (con gli stadi vuoti, poi…) e difensori timorosi nell’intervenire con decisione sul pallone (o nel tentativo di prenderlo, quantomeno). Anche perché, quando lo fanno, rischiano anni di galera.
Il calcio sta diventando un gioco pericolosamente pacifico. Una partita di scacchi in tutti i sensi del termine: non solo tatticamente, ma anche a livello di contrasti e contatti di gioco. Basta un gomito leggermente più alto per espellere, una mano leggermente più larga per dare rigore, una minima trattenuta per ammonire, e un piede più alto del solito per mandare un giocatore sotto la doccia. L’episodio di Remo Freuler è solo l’ultimo in ordine di tempo.
Il Var in questo non aiuta di certo, perché al di là del fuorigioco (situazione vicina all’oggettività assoluta) tende ad amplificare le situazioni di gioco col fermo immagine. In questo senso, gli arbitri dovrebbero favorire un gioco più maschio e meno frammentato: il già citato Orsato ne è un esempio, con la sua direzione “all’inglese”. Ma egli è ormai vicino al ritiro, e all’orizzonte si vedono più macchine che uomini.