Intervista ad Antonio Cunazza, mente e motore di un grande progetto editoriale.
Il progetto editoriale di “Archistadia” nasce nel febbraio del 2015, dalla volontà e dalla passione di un Übermensch (Antonio Cunazza) che in poco più di tre anni ha già analizzato 160 stadi. Lo Stadio, come luogo sociale, politico, storico, ma principalmente come gioiello architettonico. Il nostro Antonio è infatti laureato in Storia dell’Architettura e Restauro, ma la sua capacità visiva non si ferma al mero “dato”, scavando piuttosto (spesso e volentieri) nel dettaglio delle storie che consumano ogni singola struttura. Lo abbiamo intervistato, introducendolo in Contrasti e aprendo con lui, a tempo indeterminato, una collaborazione che crediamo possa essere fruttuosa.
A quale evento, o circostanza, possiamo legare l’inizio della Sua passione per gli stadi? E come nasce il progetto del sito web “Archistadia”?
Ricordo di essere sempre stato attratto da questo argomento e da questi luoghi, non c’è stato un momento scatenante. Fin da bambino li ho associati all’emozione delle trasferte europee (spesso misteriose, quando la tv trasmetteva giusto un paio di partite alla settimana), alle città da scoprire e alla straordinaria diversità del modo di vivere il calcio negli altri paesi. Già allora li vedevo come luoghi affascinanti e simbolici.
“Archistadia” è certamente una conseguenza di questa passione, ma è soprattutto il prodotto della mia esperienza attuale, maturata con gli anni ad Architettura e gli studi continui sul tema. Oggi sono uno storico e uno studioso dell’architettura sportiva, e Archistadia è un portale di approfondimento – l’unico attualmente in Italia – dove racconto gli stadi non solo con foto e statistiche accattivanti (ormai reperibili ovunque, sul web), ma come luoghi trasversali, che hanno forti significati architettonici, sociali, storici e, ovviamente, sportivi.
Si sente spesso parlare dell’arretratezza dei nostri impianti. Non crede, però, che sia proprio questo particolare “disordine” architettonico (es. San Paolo di Napoli, Olimpico di Roma, San Nicola di Bari) ad aver agevolato il calore e la passione della nostra gente?
In parte credo sia vero, ma sono convinto dipenda molto dalla cultura italiana del tifo, che è chiaramente affine a quella sudamericana. Fino agli anni 90 il nostro modo di seguire il calcio si è sposato perfettamente con gli stadi in “stile olimpico” – grandi ovali quasi privi di copertura, catini veri e propri che facevano da cassa di risonanza alla passione dei tifosi. In un docu-film della BBC che raccontava i Mondiali di Usa 94, l’Italia era presentata come “il paese del calcio”. E quel tipo di stadi sono stati un volano perfetto per alimentare quella passione.
Ci dia una classifica dei Suoi tre stadi preferiti, provando a motivarci il perché.
Non farò una graduatoria specifica perché ognuno ha significati diversi. Mi limiterò a elencarli in ordine alfabetico:
Stadio Meazza, Milano – ricordo tuttora l’emozione e l’incredulità nell’entrarci per la prima volta, quando avevo otto anni. E non solo, è un grande esempio di architettura sportiva italiana.
Monumental, Buenos Aires – sono molti gli stadi sudamericani che apprezzo, perché vivono di calcio in un modo molto peculiare e speciale. Tra tutti scelgo lo stadio del River Plate come esemplificativo di questo concetto.
Wembley, Londra – andare al vecchio stadio di Wembley era uno dei miei sogni da bambino che sono riuscito a realizzare. Allo stesso tempo, il nuovo impianto è la giusta eredità contemporanea per così tanta storia e significato sportivo.
Lo stadio è molto più di una semplice struttura adibita a ospitare uno spettacolo. È vita, è comunità, è odio, è rabbia, è tristezza, è gioia immensa. È il gol sotto la curva. Il dato, però, parla chiaro e forte: la Serie A è il quarto tra i cinque maggiori campionati europei per la media dell’affluenza negli stadi (peggio di noi solo la Francia). Si parla spesso di strutture poco avanzate, di problema “pay tv”, di violenza ultras. Qual è la Sua opinione in merito?
In Italia abbiamo vissuto di rendita molto a lungo e non siamo ancora in grado di cambiare l’approccio nel pensare e immaginare “cosa devono essere gli stadi” contemporanei. Nel tifoso medio italiano mi sembra ci sia un crescente disinteresse verso il calcio: c’è meno voglia di essere tifosi “partecipanti”, di essere presenti tutte le settimane e vivere la passione per la propria squadra giorno per giorno. Allo stesso tempo i club fanno poco per coinvolgere i loro tifosi e lo stato degli stadi italiani è il risultato di tutte queste componenti. Mancanza di servizi, di manutenzione, di ammodernamenti fatti per venire incontro alle esigenze dei tifosi.
E attenzione alla Francia, che ha basse affluenze forzate dalla presenza di poche grandi squadre in Ligue 1 e da stadi mediamente piccoli. Ma negli ultimi trentanni i francesi hanno rinnovato i loro impianti per ben due volte, e attualmente sono il miglior esempio europeo di pianificazione e investimenti strutturali sportivi a lungo termine. Lo stadio può essere un luogo centrale nella vita della città e deve essere un luogo inclusivo e identitario per i tifosi. Bisogna fare questo importante salto di mentalità.
Crede che con l’arrivo di un campione come Cristiano Ronaldo nel nostro campionato, l’Italia possa tornare agli albori di un tempo, quando era da noi che si giocava “il campionato più bello del mondo”? Crede che questo possa dar nuova linfa all’affluenza negli stadi?
A livello tecnico potrebbe esserci un rinnovato interesse da parte di altri calciatori dall’estero, nel voler provare l’avventura in una squadra italiana – ma non so, allo stato attuale, quante società possano permettersi certi acquisti.
Sul piano degli stadi e dell’affluenza, certamente più campioni in campo potranno attirare più tifosi sugli spalti. Sarà da vedere se, di conseguenza, le società decideranno per ulteriori aumenti nel prezzo dei biglietti, che potrebbero giocare un effetto contrario. A prescindere dalle tv, vedere la partita dal vivo resta un’esperienza unica e impossibile da replicare – la cosa fondamentale è coinvolgere i tifosi e gli appassionati e far sì che tornino a vivere lo stadio come luogo di aggregazione.