Critica
11 Dicembre 2022

La colpa degli argentini? Essere bianchi!

La domanda è: quando, il Washington Post, parlerà dello stesso problema per la Croazia?

Secondo lo slogan di The Washington Post “democracy dies in darkness”. Sarebbe stato più appropriato parlare di “foolishness”. Ci riferiamo, induttivamente, all’articolo uscito sul suddetto giornale lo scorso 8 dicembre 2022 – un giorno che, nel tradizionale ricordo dell’Immacolata Concezione, scatena sub contrario tutte le più inutili e deleterie battaglie sul femminismo, i diritti lgbtq+, il logofallocentrismo occidentale e la white supremacy. Appunto, di quest’ultimo aspetto ha parlato e scritto Erika Denise Edwards, autrice del libro “Hiding in Plain Sight: Black Women, the Law and the Making of a White Argentine Republic”, nell’articolo Why doesn’t Argentina have more Black players in the World Cup?

Il classismo, semmai, è proprio in Argentina dello sport più insospettabile: il rugby.


Innanzitutto, un appunto linguistico: quel black scritto con la maiuscola è un po’ come il Dio cristiano scritto in minuscolo dai più stolti (e quindi celebri) filosofi. Passando all’articolo, l’autrice prima si preoccupa di sfatare tutti i miti relativi alla “whiteness” del popolo argentino, poi propone la propria interpretazione storica, basata – in leggera contraddizione con quanto scritto fino a quel momento – su una chiave di lettura “europeista”: «l’Argentina ha abolito la schiavitù nel 1853 in gran parte del Paese, e nel 1861 a Buenos Aires. Messa alle spalle la propria storia legata alla schiavitù, i leader argentini si focalizzarono sulla modernizzazione del Paese, guardando all’Europa come modello di civilizzazione e progresso». Da qui, prosegue la Edwards, la scelta di «rimpiazzare [displace] la sua popolazione nera – sia fisicamente che culturalmente».

Nel 2010, come riportato nell’articolo, il governo argentino ha pubblicato un censimento in linea coi progetti di metà Ottocento: con 149.493 persone di colore, il Paese ha appena l’1% di neri sul totale degli argentini. Una minoranza spaventosa se confrontata con quella del Brasile, scrive sempre la Edwards. Insomma, scegliendo di accogliere più europei (italiani, ad esempio, come si vede bene dall’origine di molti dei calciatori argentini oggi) che africani (la predominanza maggiore è quella capoverdiana, come accade per il Portogallo), l’Argentina avrebbe seguito la folle volontà del suo leader massimo (almeno nella seconda metà dell’Ottocento) Sarmiento, ex-presidente:

«Da qui a vent’anni», aveva dichiarato negli anni ’60 dell’Ottocento, «sarà necessario viaggiare in Brasile per vedere persone di colore».


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Eccolo, or dunque, il peccato originale di una nazione insieme martire e colpevole, non solo per questioni di natura razziale (come testimoniano i diversi j’accuse di queste ore, da quelli di Marchisio e Bertolucci a quelli di Pepe e Bruno Fernandes, che hanno accusato gli arbitri di favorire Messi e l’Argentina). Qui però si raggiungono vette straordinarie, perché l’operazione della Edwards è duplicemente subdola: l’autrice vuole infatti da un lato sottolineare un problema (l’assenza di neri dalla rosa dell’albiceleste; per la Croazia non scriviamo nulla?), dall’altro prova – faticosamente – a risolverlo demitizzando il falso mito e concludendo, anzi, che «diversi giocatori nell’Argentina potrebbero essere descritti come morocho» [indio, sullo stile di Maradona.

L’autrice sottolinea come questa categoria «strategically identify as White if they could “pass” or to settle into more ambiguous racial and ethnic categories»]».

Ciò significa, chiaramente, che la storia dell’Argentina bianca è, appunto, una storiella da demitizzare – vale a dire: Acuna vi sembra bianco? È chiaramente morocho, su; diciamolo chiaramente però, dillo David dillo! Tutto questo, pur nella banalizzazione estrema di un processo storico complicatissimo – un po’ come dire che Gesù in realtà era nero perché palestinese –, fa sorridere parecchio, quantomeno per le tempistiche dell’inchiesta. L’erba del vicino è sempre più mostruosa e meritevole di analisi, svisceramenti, macchie storiche da espiare sulla pelle dei bianchi logofallocentrici.

Siamo francamente stanchi di questa narrazione bipolare – nel senso letterale del termine – e scacchistica: non esiste bianco o nero, e di certo agli argentini non frega nulla della white supremacy nel proprio paese. Questi, tutti, indio morocho neri bianchi, pensano a vincere una Coppa del Mondo che manca da quando l’ultimo tutt’altro-che-bianco (sarà contenta la Edwards, ora) Maradona, con gesto davvero rivoluzionario (la mano di Dio sotto il naso rosso e colonizzatore degli inglesi), sancì la vittoria al di là del bene e del male, ma anche delle categorie utilizzate dalla Edwards, fintamente liberale e al contrario profondamente ottusa e discriminatoria.

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