Torniamo nell'ex DDR, subito prima che la Roma diventasse grande.
Jena, Germania Est, 1° ottobre 1980. Otto di sera. La Roma è appena scesa in campo contro i padroni di casa del Carl Zeiss. Primo turno della Coppa delle Coppe, il risultato della partita d’andata parla a favore degli ospiti. Due settimane prima, all’Olimpico la squadra capitolina ha vinto con un 3-0 che di norma lascia poco scampo. Nel retour-match di 40 anni fa avviene l’incredibile. L’opinione pubblica italiana rivede all’improvviso il giudizio sulla “nuova Roma”, guidata dal presidente Dino Viola, da Nils Liedholm in panchina e da Falcao in campo. Toccherà a società e giocatori reagire sul campo e far capire che la nuova Roma sarà anche una Roma nuova. Non certo una banale parentesi, come qualcuno deve pensare la sera di quel 1° ottobre.
Prime piogge autunnali, primi freddi di un autunno appena iniziato. È stata un’estate calcistica importante. E non solo perché nel 1980 vengono riaperte le frontiere per i giocatori stranieri. C’è anche un altro motivo che in una parte della Capitale ispira quel senso di novità al quale non si è abituati. A maggio la squadra ha vinto la Coppa Italia e in virtù del titolo la Roma potrà partecipare alla Coppa delle Coppe. La ribalta europea può a sua volta convincere un calciatore straniero importante a indossare la maglia giallorossa. Per mesi si parla di Zico, alla fine arriva dal Brasile un certo Paulo Roberto Falcao. Si sa poco di lui.
È abituato a giocare con la maglia numero 5 ma a quanto si dice non è uno stopper. Ha un proprio modo di intendere il calcio e interpreta un ruolo ancora poco esplorato nel calcio italiano, quello del regista arretrato. Non tutti comprendono subito l’importanza di Falcao, ed è tutto sommato comprensibile. L’apporto iniziale del nuovo arrivato è di sostanza, il tempo dell’estetica applicata alla concretezza verrà. Ai perplessi della sala stampa Nils Liedholm risponde in maniera serafica, educata ma molto ferma:
“Lui di certo giocherà, gli altri forse”.
Da poco più di un anno l’A.S. Roma ha un nuovo presidente, si chiama Dino Viola. Classe 1915, nativo della Lunigiana, ormai romano d’adozione. Si dice che sia un uomo potente, si dice anche che abbia potere perché è persona vicina a Giulio Andreotti. Se ne dicono tante, una cosa è certa. Solo per pensare di fare concorrenza alla Juventus e alla famiglia Agnelli ci vogliono coraggio, entrature, capacità manageriali e un po’ di cinismo quando serve. Al bando la rassegnazione, le cose devono cambiare. Altrimenti, tanto vale vivacchiare nel tratto medio-basso della classifica come la Roma ha fatto negli anni passati.
Si vengono a creare un incontro di personalità forti e un gioco virtuoso di matrioske: il presidente ha fiducia (e grande stima, non solo professionale) nell’allenatore, l’allenatore osserva l’ex centrocampista dell’Internacional Porto Alegre e vede in prospettiva. Oltre a un centrocampista elegante e completo intuisce di aver trovato un leader dai modi gentili ma inflessibile, un tessitore di gioco capace di impostare, rifinire e finalizzare l’azione. Ma soprattutto Liedholm vede in Falcao colui che cambierà la mentalità di una squadra. Mai più forti con i deboli e deboli con i forti. Forti sempre, anche quando si perde. C’è un tempo per tutto e questo è tempo per il salto di qualità.
La rosa è valida ma sia pure con Tancredi, Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo e Bruno Conti, negli anni passati si viaggiava sul lato destro della classifica. Falcao è il primo a dire chiaro che si può, anzi si deve, andare al nord non solo per strappare un punto. I compagni lo guardano perplessi, sembra quasi fantascienza, poi si schierano con lui. In fondo sanno che Viola e Liedholm la pensano alla stessa maniera e che è arrivato il momento di sovvertire le gerarchie della Serie A. La Roma inizia bene la stagione 1980-81. Senza strafare, senza incontrare avversarie temibili ma dando sempre una sensazione di pieno controllo della partita.
Vince 0-1 a Como, poi 1-0 in casa con il Brescia. Alla terza giornata è pareggio a Bologna. Nel frattempo, è iniziata la Coppa delle Coppe, gli avversari sono i tedeschi orientali del Carl Zeiss Jena. La sera del 17 settembre le due squadre scendono in Campo all’Olimpico. Dopo mezzora la Roma è in vantaggio per 2-0. Gioco spumeggiante, ogni interprete sa ciò che deve fare e lo fa con convinzione. Pruzzo e Ancelotti sono gli autori dei gol. Anche gli scettici si arrendono: tutto parte dai piedi di Falcao, è lui a dare sicurezza alla difesa e a rifinire per le punte. Poi a 20 minuti dalla fine il numero 5 si prende licenza di goleador, perfezionando con lode una prestazione già da 10.
La sera del 1° ottobre 1980, giusto il tempo del riscaldamento e poi Liedholm parla ai ragazzi: gestire il vantaggio senza mai chiudersi in difesa e senza rinunciare a fare quel gol che renderebbe la partita una passeggiata oltrecortina.
Belle e giuste parole, si tratta solo di metterle in pratica. Se in Italia è autunno, in quella parte di Germania è già quasi inverno. Temperatura bassa, clima ostile sugli spalti. Fin qui, tutto normale. Sono semmai i giocatori del Carl Zeiss a non sembrare poi così normali. Se all’andata avevano subìto ritmo e velocità altrui, in casa sembrano trasformati. Sono rapidissimi, arrivano sempre per primi sul pallone, hanno le idee chiare su come cingere d’assedio la Roma. Che sembra la copia conforme di chi gioca un catenaccio visto e rivisto. Tant’è che i giallorossi non riescono quasi mai a superare il cerchio di centrocampo.
Le conseguenze del non-gioco sono quasi inevitabili. Il primo tempo termina sul 2-0 per il Carl Zeiss Jenae poteva anche andare peggio. Dov’è Falcao, dov’è la capacità di dettare i tempi del gioco e di mettere l’attacco in condizione di concludere? Ma soprattutto, dov’è la Roma? Sembra smarrita la capacità di gestire la partita con possesso palla, corsa e quell’occupazione degli spazi tanto cara al tecnico svedese. Il 4-5-1 con il quale la squadra disputa il primo tempo si dimostra fallimentare, Bruno Conti e Amenta sulle rispettive fasce non passano quasi mai e in mezzo al campo Ancelotti, Di Bartolomei e il play-maker brasiliano non sono né di lotta né di governo.
Sono senz’altro buoni giocatori i tedeschi dell’Est, ma non sembrano certo fini dicitori del pallone. In compenso hanno grinta, trottano e galoppano senza sosta. E a forza di correre più della Roma, anche il tasso tecnico fruisce di un placebo naturale. Scarnecchia, subentrato a Conti a inizio ripresa viene espulso e in superiorità numerica il Carl Zeiss ha un’arma supplementare per proporre l’assalto decisivo. A metà ripresa il tecnico tedesco manda in scena una punta in più. Si chiama Andreas Bielau, attaccante non velocissimo ma possente e molto adatto alle mischie in area. Con lui in campo, il destino si compie e quella che all’inizio doveva essere una formalità si trasforma in un incubo che 40 anni dopo ancora è impresso nella memoria di tanti. Doppietta di Bielau, risultato finale 4-0 per la squadra di Jena.
In due minuti, riassunto il tracollo giallorosso
Anni dopo Nils Liedholm racconterà di aver visto a fine partita giocatori tedeschi con la bava colorata davanti alla bocca. Addirittura riferirà di aver osservato un accompagnatore guidare un giocatore del Carl Zeiss per il braccio: il calciatore in questione sembrava talmente annebbiato da non riconoscere il tunnel che immette negli spogliatoi dell’Ernst-Abbe-Sportfeld di Jena. Nel 1980 non erano previsti controlli antidoping nei primi turni di Coppa delle Coppe, motivo per cui il risultato sarà inappellabile. La Roma viene eliminata al primo turno. Una serata infausta che scatena dubbi e polemiche: forse la squadra è stata sopravvalutata, forse non è cambiato granché. È il momento di guardarsi negli occhi e di decidere insieme cosa fare da grandi.
Serve una risposta immediata, bisogna far capire che in campionato anche la Roma potrà dire la sua. Una risposta arriva. La domenica successiva la squadra batte il Torino anche senza Pruzzo (infortunato nella sera della disfatta), il 26 ottobre i giallorossi espugnano S. Siro. 2-4 all’Inter e guadagnano il primo posto solitario in classifica. La sfida alla Juventus di Trapattoni è lanciata e durerà fino all’ultima giornata. Il secondo posto finale e la conquista della seconda Coppa Italia consecutiva lancerà un messaggio chiaro a tutta l’Italia calcistica, specie a quella che si sente superiore “per statuto”.
La Roma è appena diventata una realtà del campionato, Falcao è riuscito in un solo anno a modificare la forma mentis dei compagni. Da quel momento la formazione giallorossa non sarà più una piccola comprimaria ma una forza stabile al vertice. Malgrado l’amarezza per un finale che vede ancora una volta la Juventus campione d’Italia, le prime soddisfazioni sono arrivate e il meglio deve ancora venire. Mai più la “Rometta” del passato prossimo ma una squadra da vertice in Italia, capace in poche stagioni di vincere lo Scudetto e affermarsi tra le grandi d’Europa (perdendo in finale di Coppa dei Campioni dal Liverpool). Tutto cominciò quell’anno, per certi aspetti proprio dopo una pessima serata nell’ex Germania Est.