Negli istanti che precedono il calcio di punizione, il pubblico del Cardiff City Stadium trattiene il respiro in una fiduciosa attesa di qualcosa di straordinario. Intorno al 25° di Galles-Austria, l’attore protagonista è pronto a riprendersi il centro della scena, con la fascia di capitano al braccio, proprio nel teatro di casa, l’unico ancora in grado di amarlo incondizionatamente e di stimolarlo a recitare la sua parte. Un copione che comprende i quattro passi prima di mandare il pallone all’incrocio dei pali di una porta presidiata dall’austriaco Lindner, suo malgrado uno spettatore, non pagante, del capolavoro.
Oltre a sembrargli il tutto una pièce drammatica, la traiettoria del tiro ricorda all’inviato del Guardian, Barney Ronay, “something of the golf shot”, proprio uno dei nodi del contendere dell’ultima fase del soggiorno madrileno di Gareth Bale. Un antefatto, la permanenza in Spagna diventata esilio dorato, che esalta ancora di più la prestazione del fuoriclasse gallese nella serata del playoff mondiale, con la chiara sensazione che “in that moment Bale really was at home, doing home things”.
“La prima cosa a cui pensa è il Galles, poi il golf e poi il Real Madrid”.
Predrag Mijatovic
D’altronde il gusto provato da Gareth, nel vestire la maglia dei Dragoni, è stato ribadito a più riprese ed è lo stesso di una partita al parco con gli amici, quindi un qualcosa al di fuori degli impegni contrattuali. Una dedizione, quella per il Galles, che fa da contraltare a quella considerata nulla per il Real Madrid dall’estate 2019, segnata dal mancato trasferimento al Jiangsu Suning (il club poi sciolto nel febbraio 2021). Un divorzio non consumato, dovuto al cambio di rotta in extremis della Casa Blanca, che rende insanabile una frattura già aperta. Infatti, come nota Sid Lowe, corrispondente del Guardian a Madrid, nel novembre di quell’anno, la rottura è dovuta a “una sbornia da tutto ciò che era accaduto prima”, acuita da una sfumata separazione avallata pubblicamente da Zidane con uno “speriamo che se ne vada presto”.
GARETH BALE, IL GOLFISTA
Ecco allora che, nel frattempo, il diradarsi delle presenze del gallese scatena la stampa della capitale iberica, anche in virtù di un faraonico stipendio percepito (circa 18 milioni di euro netti fino al 30 giugno 2022), ora considerato scandaloso per il fu quattro volte campione d’Europa. Qui la passione per il golf di Gareth diventa un oggetto privilegiato delle critiche e costituisce una lente d’ingrandimento per comprendere il personaggio, a seconda che lo si veda come il passatempo di un “parassita” (l’appellativo proposto da Manuel Juliá su Marca) oppure come una forma di vita oltre le luci della ribalta, propedeutica a una nuova stagione forse alle porte, quella del ritiro, fase quanto mai delicata per gli sportivi di successo.
“Il golf è un hobby come un altro. Non c’è niente di sbagliato nel fare un giro. […] Mi mantiene più calmo fuori dal campo e mi dà del tempo lontano dal calcio, il che è bello”.
Una polemica montante, quella contro il gallese, a cui rispondere con battute ironiche lanciate dal ritiro della Nazionale, dopo lo strappo luogo quasi esclusivo in cui ascoltare la vivavoce di Bale. Contrariamente alla sua abituale riservatezza, Gareth cavalca il dibattito in corso e si dichiara felice di essere chiamato Il golfista, soprannome rivelato dal compagno di squadra Courtois, e lo sottolinea dopo essere stato immortalato in una performance sul green, durante un impegno del Real in un torneo pre stagionale.
Un’inedita verve istrionica successivamente stimolata dalla prima pagina che As gli dedica, dal titolo “Triple bogey”, sfruttando la metafora golfistica (+3 sul par) in riferimento a tre problemi da lui causati, a cui Bale risponde precisando di non aver mai registrato quel pessimo punteggio in vita sua e che al limite si potrebbe cambiarlo in albatross (-3 sul par). Se l’insofferenza di Madrid cresce sempre di più, con l’aggiunta, tra le accuse, della sua scarsa padronanza della lingua spagnola, l’affetto di Cardiff non viene scalfito, anzi ne risulta rafforzato.
Fino ad arrivare all’iconica bandiera “Wales. Golf. Madrid. In that order”, portata in campo dagli spalti e sfoggiata nel clima euforico di una serata che qualifica il Galles al secondo Europeo (consecutivo) della sua storia. Parole, queste, presenti anche nel coro che fa il verso a quanto detto dall’ex merengue Mijatovic e sposate da Gareth non per sbeffeggiare il club, ma per deridere chiunque graviti intorno a quell’ambiente e partecipi al chiacchiericcio su di lui.
“C’è anche un senso di sfida ora, una sfida lanciata. Può essere uno scherzo, ma sembra anche intenzionale, un punto sottolineato, un ruolo giocato, una pressione che aumenta. Come se Bale stesse forzando il problema. E quella bandiera, quei festeggiamenti, non appaiono isolati”.
Sid Lowe, The Guardian, 20 novembre 2019
GARETH BALE, DA STELLA A LEGGENDA
Un rapporto con critiche e pressioni, quello di Gareth, già sperimentato nel periodo da lui considerato come il più difficile della carriera, ovvero il primo anno agli ordini di Harry Redknapp al Tottenham. Qui, oltre a vedersi preferito Assou-Ekotto nel ruolo di terzino sinistro, ritenuto più affidabile in difesa, il giovane Bale deve fare i conti con una sorta di maledizione, che vede gli Spurs mai vincenti in una partita di Premier League con lui in campo per due stagioni. Incantesimo interrotto con l’inizio di un’ascesa propiziata dal vecchio Harry che, dopo aver vestito i panni del duro nel tempo dell’apprendistato, fa avanzare il gallese sulla linea di centrocampo liberandolo da obblighi più strettamente difensivi.
Recuperata un’autostima precocemente perduta e conquistata la fiducia di Redknapp, Bale entra di prepotenza nel gotha calcistico degli anni Dieci, palesandosi sul palcoscenico europeo con una tripletta a San Siro, contro l’Inter detentrice del titolo, nella Champions 2010/2011. Una crescita sotto tutti i punti di vista – tecnico, tattico e fisico – che lo porta a raggiungere la doppia cifra nelle reti stagionali, in attesa di un’ulteriore svolta che ipertrofizzerà la figura di un Bale reinventato trequartista da André Villas Boas.
Una sola annata, quella con l’allenatore portoghese, sufficiente per elevarsi al rango di top player mondiale. Numeri da prima punta, con 26 reti in 44 match, e un corpo da “pugile dei pesi massimi” (paragone di Sir Alex Ferguson che lo avrebbe voluto allo United prima del passaggio dal Southampton al Tottenham) che rendono il gallese l’oggetto del desiderio del Real Madrid. Un appetito saziato nell’estate 2013, versando 100 milioni di euro nelle casse degli Spurs, nel trasferimento più costoso della storia fino a quel momento.
Prezzo foriero di molte aspettative, ma tutto sommato giustificato dall’inserimento nell’architettura di Ancelotti, sulla fascia destra di un tridente, la BBC, formato con CR7 e Benzema, quale ultimo stadio di un’evoluzione totale che lo ha visto ricoprire tutti i reparti del campo. Una copertura del terreno di gioco rappresentata icasticamente dal gol in finale di Coppa del Re contro il Barcellona, in cui Bale sostituisce l’assente Ronaldo nel ruolo di uomo vitruviano. Lo affiancherà, invece, nell’appuntamento di Lisbona con la Decima Coppa dei Campioni, siglando il decisivo 2-1 che rompe gli argini di un Atletico costretto all’agonia dei supplementari da Sergio Ramos.
Una cresta dell’onda, raggiunta a 25 anni, che tende parzialmente a scemare nell’indigestione di titoli internazionali dell’era Zidane, anche per i vari infortuni che lo tengono lontano dal campo, tanto che nel pieno dell’egemonia madridista in Europa, il 4-1 sulla Juventus proprio a Cardiff, è Isco a prendere il suo posto. Così come nella finale di Kiev contro il Liverpool, in cui però Bale si prende l’ultima vera notte da protagonista con la camiseta blanca, subentrando nella ripresa e siglando il gol più bello della carriera con una rovesciata da raccontare ai nipotini.
Un epilogo di una stagione di rivalsa in cui Gareth è comunque, per distacco, il secondo marcatore del Real dietro CR7, il cui addio segnerà la fine di un ciclo per il club e per lo stesso Gareth. Un punto di riferimento, il campione lusitano, sin dall’arrivo del gallese in Spagna e una figura troppo ingombrante per esserne l’erede designato, come nei progetti della critica e di un Florentino Perez che si disamorerà del suo, ormai ex, pupillo.
L’ECLISSI
Orfano di Cristiano e sempre più isolato, il suo decennio breve, aperto da riserva di Assou-Ekotto e chiuso sul tetto del mondo (per la quarta volta) nel dicembre 2018, può chiudersi qui, nonostante altri tre anni di contratto, visto che uno Zidane richiamato alla base non lo considera un elemento da cui ripartire. Con l’ingresso in una fase di eclissi della carriera, avvolta da un alone di mistero, tra insinuazioni sulla reale entità degli infortuni e su una sua presunta paura di farsi male, voci di un suo ritiro, Gareth però non indietreggia neanche di un centimetro quando si tratta di giocare per il Galles.
Una dicotomia di rendimento che esaspererà il rancore dell’ambiente madridista e aumenterà così la distanza (siderale) tra come il personaggio verrà percepito nella capitale spagnola e come lo sarà in Patria, in un range tra il pezzente e l’eroe nazionale. D’altronde “non puoi versare da un bicchiere vuoto”, sostiene il gallese, e ciò sembra descrivere in maniera efficace la ragione delle sue priorità, che corrispondono al tempo da dedicare a famiglia, amici e golf. Solo gli appuntamenti con la Nazionale dei Dragoni, quindi, come degni di assorbire ancora totalmente Bale, trattandosi di famiglia e amici, appunto.
Un’importanza primaria, quella degli affetti più cari, valida anche per quanto riguarda l’interesse di Gareth per le opinioni altrui, dato che all’infuori delle persone più vicine “il resto è solo rumore”. Perciò dichiara di non leggere niente riguardo alle voci su di lui e c’è da credergli considerata la sua vocazione a restarsene appartato e poco informato in generale. Una volontà confessata candidamente in un’intervista al Telegraph nell’ottobre 2019, in cui il gallese afferma di non ricordarsi chi sia il Primo Ministro britannico, limitandosi ad aggiungere un “Seguo il golf. Questo è tutto. Posso dirti chi è il numero uno al mondo”.
Un disinteresse verso l’attualità che scatena alcune reazioni stizzite, tra cui quella di Kevin Mitchell sul Guardian, che suggerisce a un colpevole e menefreghista Bale di imparare da sportivi impegnati quali sono Gerard Piqué e Megan Rapinoe. Osservando nel dettaglio alcuni contenuti dell’intervista incriminata, però, emerge una dimensione più profonda dell’uomo in questione. Infatti, qui si parla anche della barriera impermeabile costruita tra il giocatore e il mondo, come l’astinenza dai social, con i post relativi ai suoi account ufficiali gestiti direttamente da un’azienda, in cui a Gareth spetta solo il compito di approvarli.
Un ferrea dieta mediatica a cui associare le scarse uscite nelle serate madrilene, particolare, anche questo, svelato da Courtois in merito all’assenza del gallese a una tranquilla cena di squadra, per non mancare l’appuntamento con il letto alle 23 in punto. Un distacco che gli vale anche l’etichetta di marziano e un ulteriore elemento per comprendere la “camera oscurata ed ermetica” (cit. Guy Kelly del Telegraph) in cui Bale vive e, quindi, di quanto poco gli importino i giudizi sferzanti della critica post estate 2019. Accuse che vanno dal “non sarà mai una leggenda del Real Madrid” fino al più recente “parassita”, quale culmine che ha provocato la risposta, stavolta non ironica, di un Gareth venuto a conoscenza dell’articolo di Marca perché rilanciato in ambiente britannico dal Daily Mail.
Uno sfogo contro il chiacchiericcio che lo avvolge, inteso più a sottolineare gli effetti che tale esposizione mediatica provoca sulla salute mentale degli atleti in generale piuttosto che verso se stesso. Quasi come mettere la parola fine a una questione personale, estendendola però a un tema molto delicato e dibattuto nell’attualità, quello della salute psichica degli sportivi, preoccupandosi di sottolineare qual è il mondo da cui ha cercato di separarsi e da cui si allontanerà definitivamente una volta appesi gli scarpini al chiodo.
“I media si aspettano prestazioni sovrumane dagli atleti professionisti”.
Nel frattempo, nel caso Bale, ciò che fa la differenza rispetto ad altri atleti sono queste poche grandi prestazioni, preparate attingendo ciò che resta da quel bicchiere non ancora vuoto. Le partite con il Galles, dunque, come ultimo barlume di divertimento di un gioco di cui sembra essersi stancato. Un’eccezione a cui presentarsi comunque al massimo, con la sfrontatezza di farsi rimbalzare addosso critiche e accuse, che crescono proprio in conseguenza di un buon risultato, non di un insuccesso.
D’altronde, nel percorso di formazione della scorza dura a livello caratteriale, per Gareth, che leggerà anche poco, un punto di riferimento è il libro Soccer Tough dello psicologo Dan Abrahams, che affronta il nodo centrale del come “tutti noi abbiamo la capacità di esibirci quando la pressione è massima e l’opposizione è più forte”. Una facoltà sbloccata solo da pochi, ma che sembra ben recepita dal numero undici dei Dragoni, a maggior ragione in una semifinale di playoff mondiale, giunta dopo mesi di scomparsa dalle cronache e nelle ore della tensione apicale del (non) rapporto con la stampa di Madrid, a seguito del suo ennesimo forfait nel Clasico perso 4-0 dalle Merengues.
In questa fase crepuscolare del calciatore, illuminata da alcuni lampi, scatta la corsa a chiedersi cosa ci avrebbe fatto vedere Bale se, sintomatica di una fame di partite 7 giorni su 7, h24, statistiche e record da abbattere non sufficientemente saziata. Come se ciò che è stato mostrato dal gallese nei massimi palcoscenici internazionali non bastasse già, volenti o nolenti, per consegnarlo a qualche paragrafo di storia del calcio. Come se trascinare una Nazionale (di un Paese di 3 milioni di abitanti, in cui lo sport più popolare è il rugby) a intromettersi tra le superpotenze continentali, con la semifinale di Euro 2016, non fosse già qualcosa fuori dall’ordinario.
Forse dovremmo davvero rassegnarci al fatto che Bale non ha potuto, o voluto, darci la luna e semmai di averla trovata per sé fuori da un campo di calcio, in quella che in fin dei conti è solo una delle stagioni dell’esistenza. Una stagione di cui non conosciamo ancora il finale, ma intanto sul calendario degli eventi speciali c’è segnata una data, forse l’ultima, quella dello spareggio per accedere alla Coppa del Mondo, contro la vincente di Scozia-Ucraina, in programma a Cardiff nel mese di giugno. Il resto per ora ci è ignoto, in un ventaglio di possibilità che va dal golf a tempo pieno, come un ricco pensionato della Florida, a un’appendice da protagonista in Qatar, insieme agli amici del parco. Appare, invece, meno sconosciuto che comunque vada resterà l’uomo, felice e in pace con se stesso. In questo sì un vero marziano.
“Niente è uguale al senso di orgoglio e realizzazione che provo quando vedo i miei figli crescere e godersi i semplici piaceri della vita”.