La Nazionale è una cosa seria.
Negli ultimi giorni abbiamo avuto un breve saggio di come funzioni l’informazione sportiva nostrana. Intanto il contesto: le difficoltà offensive dell’Italia, e nello specifico il ”problema punta” di cui in realtà si discute da tempo. Fin dall’europeo e anzi da molto prima, quando Immobile malgrado tutto veniva considerato – da tanti – non adatto al gioco di questa Nazionale. Partendo dal presupposto che tutti gradiremmo un Lewandowski o un Benzema, o forse anche uno dalle caratteristiche più affini al gioco così tecnico impostato da Mancini, fatto di scambi stretti e fraseggi veloci, in cui la punta si trova spesso spalle alla porta a dover impostare la manovra offensiva (vedremmo bene anche un Dzeko), il problema è di fondo. Intanto di merito:
è vero che Immobile non è il calciatore più adatto al gioco azzurro, ma parliamo pur sempre di uno che ha fatto 161 gol negli ultimi cinque anni.
Ma il problema è soprattutto di metodo, e qui torniamo allo stato della narrazione sportiva, sempre costretta ad inseguire proposte spesso discutibili. Prendiamo il caso Balotelli. Da giorni si sonda il terreno lanciando quella che inizialmente è una semplice idea da bar (anzi, ormai da social): Mario in Nazionale, di nuovo. Non fraintendeteci, non abbiamo nulla contro Balotelli e anzi vi stupirà sapere che tendenzialmente ci sta anche simpatico, ma il punto non è questo. Il punto è che si tratta di un sasso gettato nello stagno apparentemente senza un criterio: Balotelli viene dall’esperienza bresciana (5 gol totali), da quella brianzola in Serie B (6 gol) e dal passaggio in Turchia all’Adana Demirspor, forse i soli disposti ad accoglierlo.
Qui ha fatto 5 gol, e c’è addirittura chi dice che sia diventato finalmente un “leader tecnico” (il tutto in 12 partite). Ma al di là dei numeri turchi, l’impressione è che davvero determinate idee non montino dal basso – come dovrebbe essere per la convocazione in Nazionale, a furor di popolo magari – ma calino dall’alto del quarto potere. Non vogliamo alimentare i sospetti di chi bisbiglia, più o meno sottovoce, e stavolta davvero nei bar, che certi procuratori sono talmente influenti da far “notare” ai giornalisti quanto valgano i propri assistiti. Eppure quella di Balo in Nazionale sembra una strategia studiata ad arte: prima i sondaggi generali, il sasso nello stagno. Poi, dopo 2-3 giorni, la provvidenziale intervista sul tema dello stesso Mario:
«Sto bene dopo gli ultimi due anni e mezzo, mi sento pronto per tornare in Nazionale. Sarebbe un sogno. Partirei a piedi dalla Turchia adesso se sapessi di essere tra i convocati a marzo». E sul rapporto con Mancini: “Abbiamo un rapporto aperto e ottimo, lui mi ha detto quello che vuole da me affinché io possa tornare in Nazionale. E io lo farò. Se l’ho sentito ultimamente? Sì”».
Insomma, un Balotelli finalmente in versione umile che poi completa i contorni dell’operazione simpatia: «C’è una cosa che non mi è mai piaciuta in Italia. L’Italia ha vinto un Europeo, ha fatto record di vittorie, eppure al primo inceppo si butta fango. Un po’ di ottimismo no? A me fa piacere che ci sia tanta gente che mi scriva di tornare in Nazionale. Ma la verità è che: come fai al primo inceppo a buttare tutto in vacca?». Dal manuale del perfetto populista, come aspirante uomo del popolo, è tutto; in mezzo quella frase buttata lì: tanta gente che mi chiede di tornare in Nazionale.
Sarà, fatto sta che, sempre sulla Gazzetta dello Sport, il tema Mario in azzurro è a dir poco presente: il 17 novembre un articolo dal titolo emblematico, “E se il centravanti per Mancini fosse Balotelli? I numeri (e le ragioni) della sua rinascita in Turchia”, il 18 un altro dello stesso tenore ma non così autorevole: “Balotelli in Nazionale? Ecco i pro e i contro secondo FIFA”. Praticamente un pezzo sui motivi per cui, secondo il noto gioco di calcio, sarebbe opportuno o meno riconvocarlo: «Secondo FIFA, l’ex promessa bresciana può ancora dire la sua, grazie ad una valutazione da 76 (…) con una forza stimata in 91 punti dal videogioco – un parametro elevatissimo. Per non parlare della tecnica: ha quattro stelle su cinque sia in termini di abilità che sul piede debole, a riprova di come destro o sinistro non facciano troppa differenza».
E ancora: «La tecnica di Balotelli è ancora ai livelli massimi: controllo palla 81, potenza tiro 85 e quei rigori che ci sono costati la qualificazione diretta ai Mondiali in Qatar lo premiano con un sonoro 91. Bene anche le punizioni, 80, e la freddezza sottoporta, che viene valutata con lo stesso punteggio. Poco sotto finalizzazione e dribbling (78), qualità in cui neppure gli altri italiani in lizza per una casacca da titolare là davanti spiccano particolarmente». Capito? Se ce lo dicono i parametri di FIFA, c’è da fidarci.
Ma in questa cornice, a parte Balotelli, tutti ormai propongono casting, nomi e dicono la loro. Il ds del Cagliari Capozucca, ad esempio, ha lanciato in diretta radio l’idea Joao Pedro in Nazionale, prontamente ripreso dai giornali e seguito dai social: «Parlavo proprio con Joao Pedro e gli ho detto: “Il tuo obiettivo è salvare il Cagliari, ma anche andare in Nazionale e vincere il Mondiale”. Magari con l’Italia, visto che ha la cittadinanza italiana. Mancano gli attaccanti nella squadra di Mancini, non capisco perché non possa essere preso in considerazione. Questa è una chicca che do in anteprima. Ne ho parlato anche con persone importanti, guardate che Joao Pedro è italiano». Vincere il Mondiale, magari con l’Italia. Magari no, perché è nato e cresciuto in Brasile, ma magari sì, avendo acquisito la cittadinanza italiana grazie al matrimonio e non essendo mai stato convocato dai verdeoro.
Oggi, sempre su Gazzetta, Francesco Velluzzi le riporta come «parole che fanno il giro d’Italia e scatenano la corsa a un’idea sensazionale. Lo stesso Mancini non vedrebbe affatto male la soluzione»; parole, ancora, «che non hanno lasciato indifferente lo staff azzurro». Ora non sappiamo se e fino a che punto questo sia vero, ma come detto in apertura il problema è il metodo: la Nazionale è una cosa a parte, non segue le logiche dei club. Non è un insieme di figurine come dimostra la Francia (posto che nemmeno i club lo sono, ma per le rappresentative vale ancora di più) e la somma non fa il totale.
Questa storia della punta da andare a cercare in ogni dove, e con ogni mezzo, sta assumendo contorni grotteschi fino a diventare irrispettosi. Per i trionfi di una Nazionale è imprescindibile innanzitutto lo spirito di gruppo, soprattutto se non ti chiami Francia o Brasile: lo stesso spirito di gruppo che ha portato l’Italia a un trionfo inaspettato, opera di un collettivo che si muoveva come un sol uomo – in campo, ma anche fuori. Ma ancor più decisivo è il senso di attaccamento. Per usare le parole di Chiellini del 2018, uno dei massimi artefici del recente successo azzurro:
«la maglia azzurra è speciale. Non ti identifichi in un club ma rappresenti la tua Nazione, vivi delle emozioni in prima persona e le fai vivere a tutta la Nazione, è qualcosa di impareggiabile. La tensione che si prova nel giocare in Nazionale non si prova nemmeno nelle partite più importanti».
Con tutto il rispetto per Joao Pedro e per la sua italianità acquisita, questo l’attaccante del Cagliari potrebbe provarlo solo giocando con il Brasile. Se ci fosse la minima chance di una convocazione da parte della Seleção egli giustamente non ci penserebbe un attimo, e l’idea di “rappresentare” l’Italia non sarebbe neanche una remota possibilità. Per di più, secondo molti, il 10 rossoblu dovrebbe farlo per la prima volta a trent’anni, entrando in un gruppo già formato, campione d’Europa, e nel vivo di uno spareggio decisivo per andare in Qatar.
Tanti motivi per cui l’attuale e continuo casting sta diventando spiacevole, calato dall’alto ed alimentato da chi se ne frega per mesi delle sorti azzurre, ricomparendo poi come fosse giudice di un talent show. A parte il merito, per cui comunque Balotelli e Joao Pedro non sono calciatori in grado di vincere una partita da soli, il problema come scritto è il metodo. La Nazionale resta, malgrado la secolarizzazione, una cosa seria, a tratti sacra. Non è un album da comporre in base agli umori del giorno, alle tendenze social e agli interessi particolari: con buona pace di giocatori e procuratori, dirigenti e (forse soprattutto) giornalisti.