Come è riuscito, il Real Madrid, a farla franca di nuovo?
Quasi me li immagino, questi articolisti della notte che chiamano la moglie appena il direttore comanda loro di scrivere il pezzo sul Real Madrid di Champions per l’uscita in stampa della mattina successiva: “tesoro, non aspettarmi a cena, farò tardi”. Non è una scusa per mettere le corna o andare in strada, ma la routine di chi deve commentare i galacticos vestiti con l’abito più elegante, pure quando è di un grigio-nero che fa le pernacchie alla tradizione. Le partite del Real sono francamente impossibili da prevedere, e costringono continuamente a riscrivere – prima in testa, poi su carta – tutto ciò che fino a un minuto prima si era dato per certo.
Quasi tutti i commenti post-partita possono infatti essere abbozzati intorno al 45’ e ultimati intorno al 70’. Una sorta di coccodrillo alla gioia. Questo accade perché tendenzialmente di partite pazze ne capitano due o tre all’anno, almeno ad alti livelli s’intende. Col Real però è tutta un’altra storia. Quando scendono in campo quelli con la corona sullo stemma stai pur certo che dovrai rimanere incollato allo schermo fino all’ultima ciancicata di Don Carlo. E così è stato in fondo anche ieri sera.
“Ma il Real Madrid, anche quando sembra più distrutto, ha una daga nel fodero” (guarda una daga en el dobladillo).
Dopo 20’ di buon – ottimo a tratti – palleggio del Bayern Monaco, quando cioè tutti ci siamo guardati negli occhi senza dire nulla, magari storcendo leggermente la bocca e sospirando un po’ (“eccolo che arriva, il gol del Real”), è accaduto l’ipotizzabile. Vinicius ha contromovimentato il povero Kim, rimasto sul posto come l’anima di un defunto morto all’improvviso, Kroos (la cui prestazione Dermot Corrigan su The Athletic ha definito “da candidato al Pallone d’Oro”) l’ha servito col goniometro e il brasiliano ha bucato Neuer allargando il piattone destro. 0-1, solita storia? Manco per niente, perché se è vero che il Real Madrid è il Real Madrid, l’Allianz Arena è l’Allianz Arena. E il Bayern Monaco, chiacchiere a parte, è pur sempre il Bayern Monaco.
Nel secondo tempo, un paio di spostamenti di Tuchel, abile in realtà solo nel rimettere Musiala nel suo ruolo autentico come ala sinistra, portano prima al gol di Sane – uno di quei giocatori feticcio che quando vogliono possono essere per un istante i più forti al mondo – e poi al gol di Harry Kane, glaciale dagli undici metri su rigore guadagnato proprio dal diamantino Musiala (classe 2003, ricordiamolo). In quel momento in campo c’era una squadra sola, e il Bayern forse avrebbe potuto affondare.
Non l’ha fatto e il Real Madrid è tornato a spingere, non però col furore dei bavaresi nei primi 15’ della ripresa, quanto con quel dominio proprio della natura che è al di là del bene e del male. La morsa del Real non è quella di un leone assetato di sangue, ma di un pitone che ti stritola lentamente.
L’inizio dell’avvelenamento, il sopracciglio di Ancelotti. Un allenatore che, a proposito di serpenti, è «in continua metamorfosi, ci vorrebbe una terza categoria per la sua liquidità. Diciamo allenatori terzisti o baumaniani: che all’occorrenza tradiscono le proprie idee o contraddicono la tradizione calcistica della squadra che allenano o scelgono una strategia che abbassa il livello tecnico dei calciatori impiegati», aveva scritto Marco Ciriello su Domani. Sono bastati un paio di cambi per riacchiappare la partita. Il 2-2 l’ha firmato ancora Vinicius, dal dischetto, su altro errore di Kim. Al Bernabèu per il Bayern è quasi inutile dire che sarà durissima.