Tutta Italia ha visto Belgio-Portogallo.
E dunque sarà Belgio contro Italia. Sarà Hazard (forse) contro Insigne. Sarà Lukaku contro Chiellini (speriamo). Di questo Belgio – Portogallo, la prima grande partita dell’europeo nella fase ad eliminazione diretta, ricorderemo pochi squilli e soprattutto il secondo tempo. Pochi sconvolgimenti emotivi e nessun fulmen in clausula. Ricorderemo l’asfissiante caldo di Siviglia, che ha illanguidito giocatori già stanchi per una stagione estenuante. Ricorderemo la botta di Thorgan Hazard e il non irreprensibile Rui Patricio, con tutto che i palloni “moderni” non aiutano. Ricorderemo il palo di Raphael Guerreiro, sogno d’inizio estate infrantosi su quel legno insensibile. Ricorderemo lo spirito del Portogallo, stoico fino al fischio finale, che ha alzato enormemente qualità e ritmo nella seconda frazione di gioco – tenendo, nell’ultima mezz’ora, tutti attaccati al televisore sperando nel pari.
Più di tutto, forse, ci ricorderemo di alcuni rimpianti. Primo Eden Hazard, fatalmente e colpevolmente scomparso, negli ultimi due anni, dai palcoscenici che più gli appartengono. Il numero 10 non ha segnato, vero. Non ha neanche inciso negli ultimi metri, verissimo. Ha però fatto qualcosa di ancora più prezioso: ci ha deliziati e rimessi al mondo. Ha spento i fuochi fatui dei suoi detrattori, ricacciandoli sottoterra. Ha fugato i dubbi che aleggiavano sul suo conto: mostrando a tutti la sua classe sconfinata, unendo l’utile al bello, alimentando il suo mito e accendendo in chi lo ama la speranza di vederlo spiccare di nuovo il volo. Perché giocatori del genere riconciliano con il calcio, quello puro, della tecnica e dell’atto, ben più originario rispetto a quello omologato e fondato sulla costruzione del talento.
Più egoisticamente, ha condannato gli italiani a vivere giovedì una vigilia tormentata e per molti insonne.
E poi Pepe, che a 38 anni ha probabilmente giocato la sua ultima partita col Portogallo in campo internazionale. Forse soltanto tra qualche anno, quando sarà giunta definitivamente l’era dei difensori belli, pettinati e tecnici, ci ricorderemo di che giocatore è stato. Un difensore cattivo, d’altri tempi. Uno in grado, alla sua età, di governare ancora con autorità la sua zona di competenza. Uno capace, nonostante i dubbi di Paolo Condò nel prepartita («Pepe ha 38 anni e lo vedo francamente male a marcare uno come Lukaku»), di domare la straripante forza dell’attaccante dell’Inter. Un marcatore vecchio stile che accende la nostra parte di animo più selvaggia con manciate di tacchettate distribuite senza parsimonia ai poveri malcapitati. Uno (evviva) che scatena lo sdegno e la collera di Riccardo Trevisani, il quale dopo un intervento duro a gioco fermo ha affermato: «non cambia mai, neanche a 38 anni. Non ce la fa proprio, è più forte di lui».
E infine il Portogallo. La squadra di Santos dovrà necessariamente fare i conti con un eccesso di tecnica che, lungi dall’essere una risorsa, è stato un fattore limitante. La responsabilità più vistosa del ct portoghese (il cui palmares merita ogni forma di rispetto) è stata non aver trovato un modo di far coesistere i suoi gioielli. CR7 a parte (5 gol in 4 partite) in pochi hanno convinto. Joao Felix, il quarto giocatore più pagato nella storia del calcio, non ha mai fatto parte dell’undici titolare. Bernardo Silva, straripante con Guardiola, ha brillato soltanto di rado. Il rendimento di Bruno Fernandes, anima e corpo della parte rossa di Manchester, è stato un costante climax ascendente verso un’impronosticabile mediocrità. E Andre Silva, per qualcuno rinato durante quest’anno, ha dimostrato ancora una volta di essere troppo poco per affiancare Cr7.
E dunque sarà Belgio contro Italia. Sarà tante cose, prima tra le quali una partita difficilissima contro la prima del ranking Fifa (qualunque cosa significhi). Un quarto di finale aperto, il tanto atteso test per verificare il nostro livello. Perché adesso arriva il momento dell’Italia: i diavoli rossi sono fortissimi, magari anche favoriti, ma non invincibili; devastanti dal centrocampo in su, in attesa di capire le condizioni di Hazard e De Bruyne – sarà un caso che una volta uscito KDB la squadra non sia più riuscita nemmeno a ripartire? –, ma non irreprensibili dietro. Certo ieri non hanno preso gol, e Courtois già parla di “respingere l’Italia come fatto con il Portogallo”, ma il trio difensivo Alderweireld-Vertonghen-Vermaelen non è imperforabile e anzi costringe, quando necessario come nel secondo tempo, tutta la squadra a difendere.
Facile a dirsi, mettere il Belgio sulla difensiva; ben più difficile a farsi, oltretutto senza subire le sue micidiali transizioni offensive.
Quella di venerdì comunque è una serata che attendiamo da cinque anni, in grado già oggi di unire un Paese intero e colorato di blu elettrico. Da un lato la modernità del Belgio: un top club ancor prima che una nazionale, un all star team che si parla in inglese e i cui maggiori rappresentanti (De Bruyne e Hazard) nemmeno cantano l’inno nazionale prima della partita. Dall’altro la nostra Italia: una squadra unita, compatta, magari senza il talento individuale degli avversari ma con un’identità – e soprattutto una tradizione calcistica – ben diversa. In campo dovremo provare a portarne tutto il peso, arrivando con la testa e con il cuore laddove non basteranno le sole gambe.