Nel bene e nel male, il Cavaliere ha cambiato il calcio.
In un non ancora abbastanza caldo 12 giugno l’Italia si divide, ancora una volta, nel giudicare in ultima istanza vita e opere del Cav. Silvio Berlusconi. Da una curva è già partita la beatificazione, Silvio santo subito, mentre dall’altra fra le grida festanti si continuano a denunciare le malefatte, vere e presunte, del fu inquilino di Villa San Martino. Nel bene e nel male si chiude un’era che ci ha visti nascere e crescere figli di Berlusconi e del berlusconismo. Con le sue televisioni il Cavaliere ha posto fine al clima cupo degli anni di piombo cospargendo l’Italia di paillette e colori sgargianti. Nel ’94 è entrato definitivamente nelle case degli italiani assurgendo ad icona assoluta.
Dal “Mi consenta” al BungaBunga, l’epopea del Cavaliere è entrata a far parte della narrazione del nostro Paese, con i suoi tormentoni ed i suoi personaggi: faccendieri, puttane, manager, giornalisti e giornalai. Un’epopea dal sapore americano, il self made man partito dai palazzi del quartiere Isola, ma dal protagonista tipicamente italiano, anzi arcitaliano.
“Berlusconi dev’essere nato da un amplesso vagabondo di Giove”.
Berlusconi ha incarnato pregi e difetti degli italiani: l’amore per le donne, l’eleganza, il carisma ammaliante, l’ottimismo; ma anche la presunzione, la furbizia maliziosa, la chiassosità inopportuna e l’assenza di scrupoli morali. Dagli italiani ha poi ereditato anche la più grande passione, quella per il calcio.
“Tutte le cose di cui mi occupo sono profane; ma il Milan è sacro“.
Silvio Berlusconi
Una passione che parte da lontano, dall’emulazione dei dribbling di RiccardoCarapellese e delle reti del PompieroneGunnarNordhal. Una passione partita però a tinte nerazzurre, particolare accuratamente omesso da Berlusconi durante la sua vita calcistica ma rivelato dal suo ex giocatore all’Edilnord Giovanni Ticozzi. Una passione che lo portò addirittura al tentare l’acquisto dell’Inter all’inizio degli anni 80, il resto è storia. Chissà come sarebbe stata l’Inter berlusconiana, e cosa ne sarebbe stato del Milan.
Il Cavaliere, soprannome per altro coniato da GianniBrera, tende la sua mano al Milan nell’inverno del 1986 dopo un lustro disastroso caratterizzato da due retrocessioni in Serie B. La musica cambia subito, e la nuova sinfonia del Diavolo è la Cavalcata delle valchirie di Wagner, con cui nell’estate del 1986 Berlusconi, Liedholm e l’intera rosa milanista irrompono all’Arena di Milano a bordo di tre elicotteri. La canzone di ApocalypseNow, del superuomonietzcheanoBerlusconi, dichiara guerra al calcio italiano e si erge a superuomo rossonero venuto a salvare Lucifero, il bellissimo angelo caduto dagli inferi, per riportarlo in paradiso.
È l’inizio di una rivoluzione in campo e fuori. Il calcio di oggi, il calcio spettacolo, il calcio degli sceicchi è figlio di quel giorno. Con anticipo visionario SilvioBerlusconi trasformò il suo Milan in un brand, i suoi calciatori in degli ambassador sempre più attenti all’immagine. Sua poi l’idea di numerare i seggiolini di San Siro: “Stiamo studiando un biglietto computerizzato per la prenotazione di partite anche a lunga gittata. Attraverso il telefono quest’anno si sono abbonati oltre duemila tifosi milanisti” diceva nel 1986, follia rispetto ai tempi.
La rivoluzione è passata anche da Milanello, che sotto Berlusconi è diventato un modello di avanguardia per i centri sportivi italiani e non solo: uno dei primi dotati di palestre, piscine e centri per il recupero fisico.
Ma il marchio indelebile il Cavaliere lo ha lasciato sul campo. Berlusconi è uno dei Presidenti più vincenti della storia del calcio, 29 trofei proprio come il suo modello Santiago Bernabeu. Ma l’arcitaliano non ha voluto solo dominare, ha voluto conquistare e riformare. Il suo Milan sotto la guida di Arrigo Sacchi ha importato nel calcio italiano conservatore e catenacciaro i baccelli del calcio totale teorizzato in Olanda da Rinus Michels quasi venti anni prima, elevandolo alla sua forma più sublime. Il Milan di Sacchi ha incarnato l’estetismo del gioco applicato al risultato conquistando due Champions League in due anni e incantando il mondo. In un percorso poi proseguito e adattato da Capello e Ancelotti.
Le ultimissime Champions League, quella del City di Guardiola e quella del Real Madrid di Ancelotti sono entrambe, chi per un verso chi per un altro, frutto del Milan di Berlusconi e Sacchi.
“Sulle cronache sportive si parla del Milan di Sacchi, di Zaccheroni e di Ancelotti, mai del Milan di Berlusconi. Eppure sono io che da 18 anni faccio le formazioni, detto le regole e compro i giocatori. Sembra che io non esista”.
É stato un Presidente sicuramente ingombrante ed invadente, ma dalle intuizioni visionarie. Arrigo Sacchi è stato al 100% un suo prodotto, pescato dal Parma in B con zero esperienza da calciatore e pochissima da allenatore, difeso a spada tratta fino ai successi. Celebri poi i suoi discorsi negli spogliatoi e le ossessioni tattiche che cercava di imporre ai suoi allenatori, come quella per il trequartista. Atteggiamenti che nell’ultima decadente fase del suo Milan, insieme alla tendenza alla spettacolarizzazione, hanno condotto a risultati grotteschi, vedasi la Haka neozelandese in un San Siro semideserto o il famoso video “Attaccare!” con Pippo Inzaghi coprotagonista suo malgrado.
Berlusconi ha servito il calcio e del calcio si è servito, grazie alla notorietà di massa ricevuta il Cavaliere infatti si è costruito l’immagine e il consenso popolare che avrebbe poi aperto la strada alla discesa in campo. La sobria eleganza sabauda della Juve e dell’Avvocato si contrapponevano all’audacia del Cavaliere e del suo Milan, in uno scontro fra la nuova e la vecchia nobiltà del 900 italiano. Fra luci e ombre si è chiusa così la stagione di Berlusconi, chissà se si chiuderà oggi anche la stagione del berlusconismo, nel calcio non di sicuro.