L’hanno voluta loro, la Bobo TV. I nerd del calcio a furia di parlare di expected goals, possesso palla e open play hanno spinto i giovani tifosi ad abbandonare i media tradizionali e le narrazioni che lì imperano. Del resto in una società confusa, in cui i giornalisti sportivi vestono i panni degli statistici, può capitare anche che i calciatori facciano il percorso inverso e prendano il loro posto facendogli concorrenza. La Bobo TV ha fatto semplicemente questo: in un mondo nel quale la generale capacità di ascolto va inesorabilmente calando, si è proposta come via di fuga a discorsi che non hanno senso nemmeno se presi alla lettera.
Piace perché è facile, crea senza sforzo il cosiddetto “hype” nel quale i siti di bassa lega sguazzano alla ricerca della dichiarazione strappa-click da virgolettare. La sua cifra stilistica è il massimo della semplificazione: via i giornalisti, via gli studios scintillanti che sanno di impostura, ed ecco finalmente liberi, spogli di ogni sovrastruttura, i nostri amati calciatori. In un calcio iper-teorizzato nel quale stanno progressivamente scomparendo, rimpiazzati dalle loro heat maps e prossimamente da avatar digitali, vederli conversare senza filtri ci sembra un miracolo.
Parlano tra loro, parlano di tutto ciò di cui vorremmo sempre sentirli parlare: di scherzi, di sogni, di rimpianti, mai di tattica. Parlano di quello che potremmo definire come il loro “mestiere”, concetto ormai desueto per i trevisaniani, che l’hanno sostituito da tempo con quello di “folclore”.
“Al diavolo i teorici, la Bobo TV è tutto ciò che vogliamo!” ci viene allora da pensare, magari lo borbottiamo anche – con accento vagamente allegriano – mentre ci prepariamo un bicchierino di cognac e accediamo al nostro Twitch. Ma poi, dopo appena pochi minuti di visione, la nostra impressione cambia radicalmente. Perché basta passare l’iniziale scarica dopaminergica per ritrovarsi irrimediabilmente annoiati.
Le storielle di Bobo le apprezziamo, certo, ma sono troppe, decontestualizzate somigliano a barzellette. Mentre le sparate di Cassano, beh, dopo la cinquantesima in due minuti ci sembrano solo tristi. Poi i sermoni di Adani, a scandire il passare del tempo, e via con le foto d’epoca, via con la nostalgia… Tutto è centrifugato e non si sposa con nulla, come in una grande abbuffata nel quale l’ordine delle portate è divenuto superfluo.
La sensazione allora è che mentre i nerd del football continuino imperterriti a redigere manuali illustrati sull’apparato riproduttivo, la Bobo TV sia passata direttamente al porno: ci offre tutto e subito, come fossimo in un bazar dei sentimenti, mentre ciò che realmente ci manca è la magia di una storia d’amore ben raccontata. Come diceva Ennio Flaiano «la pornografia è noiosa perché fa del pettegolezzo su un mistero»: in questo caso caso il mistero violato è quello dello spogliatoio e delle sue dinamiche, che vengono rivelate e già per questo volgarizzate.
Il calcio ha bisogno di eroi, non di “bomber” (anche se adesso diventati 2.0). Ha bisogno di novenari, come diceva Gianni Brera, «i cui accenti si prestano ad esaltare la corsa, i salti, i tiri, i voli della palla secondo geometria labile o costante». E ha bisogno quindi anzitutto di persone che sappiano raccontarlo in quanto epica. Quando chiesero a Troisi se il suo segreto fosse la capacità di osservazione della realtà, rispose che se fosse stato così allora anche i vigili urbani avrebbero potuto fare film. Come dire: a ciascuno il suo mestiere, cari calciatori, perché oltre alle gambe c’è di più.
La Bobo TV è allora una deriva pericolosa, quanto e più di quella dei nerd del football, perché apre le porte della narrazione sportiva a chi non ha alcuna abilità narrativa. E così, come dopo dieci minuti di telecronaca del duo Adani-Trevisani non sappiamo più se stiamo assistendo a una partita o a una TED conference, anche dopo una scorpacciata di Bobo TV ci chiediamo se il calcio sia ancora lo stesso sport che raccontava Gianni Brera o se non sia magari divenuto un mero pretesto per gli scherzi di Cassano, i sofismi di Adani, le bomberate varie di Vieri e Ventola.
I quattro sembrano ignorare addirittura le naturali regole della conversazione ordinaria, dimentichi che persino nella vita di tutti i giorni gli aneddoti richiedono una tavola imbandita a festa per non sembrare vuoti esercizi di retorica. La virtuale platea di cybernauti che tutto vede e tutto sente mal si presta a ricevere confidenze, e si percepisce a più riprese la mancanza di un quartino di vino a oleare i passaggi più ostici.