Editoriali
20 Novembre 2022

Perché guarderemo il Mondiale in Qatar

Peggio del Qatar c'è solo l'ipocrisia sul Qatar.

Se ne sono dette di tutte e di più, negli ultimi tempi, sul mondiale qatariota. E con ottime ragioni. Noi fummo tra i primi, anni fa, quando ancora regnava un silenzio imbarazzato sull’assegnazione allo Stato arabo, a scagliarci contro questo paradosso sotto forma di Mondiale, talmente manifesto nella sua assurdità da scadere nella tragicommedia. Ipotizzavamo tra noi un eventuale boicottaggio da divano, parlando della maniera in cui la nostra rivista, ontologicamente allergica agli obbrobri post-umani e finanziari del cd calcio moderno, avrebbe dovuto trattare (o meglio non trattare) questa manifestazione.

E non c’entrava la questione dei disastri ambientali, dei diritti civili e nemmeno dei diritti umani, cose che ancora non si sapevano per bene – la storia dei 6500 lavoratori morti sarebbe emersa solo tempo dopo – e che, a dirla tutta, non hanno mai rappresentato una discriminante nella scelta da parte della FIFA dei Paesi ospitanti. Il vero problema del Qatar, tanto auto-evidente quanto surreale, è che per la prima volta un Mondiale si sarebbe disputato nell’inverno dell’Europa, interrompendo i suoi campionati, in stadi che non c’erano e che una volta stati avrebbero avuto l’aria condizionata, stravolgendo le stagioni calcistiche, le preparazioni e ancor prima la tradizione. Il tutto per un Paese che, in quanto a tradizione (calcistica, ma non solo), non si avvicinava nemmeno all’Alaska.

Nel frattempo i padroni di casa qatarioti, mentre pian piano montavano gli scandali sull’assegnazione corrotta decisa dall’asse Sarkozy-Platini-Blatter (che oggi scarica le colpe sui due francesi), allestivano una Nazionale in provetta – e in Accademia, l’Aspire per la precisione – saccheggiando e nazionalizzando africani, asiatici, sudamericani e vestendoli di marrone (nessun riferimento esplicito, è il colore della maglia qatariota). Poi è arrivato lo scandalo circa le condizioni dei lavoratori, trasformatosi poco dopo nello scandalo delle morti dei lavoratori, 6500 secondo lo scoop del Guardian; e a contorno tutta la sovrastruttura, tra arditezze ambientali e la solita tiritera sui diritti civili, l’ideologia dei buoni con cui l’Occidente, pubblico ministero del mondo, esporta la propria democrazia e impone una verità planetaria, nel presupposto implicito (ma neanche troppo implicito), certamente razzista, per cui i nostri valori rappresentano una fase più avanzata dello sviluppo umano.



Così i solerti media nostrani, sempre sul sì signore e sull’attenti, pronti a tornare sui propri passi o a scattare in avanti fino quasi ad inciampare, a salire e a scendere da cavallo in un batter d’occhio, a insabbiare fatti o a denunciarli a seconda degli input che arrivano loro (con una disinvoltura e una nonchalance quasi ammirevoli, c’è da dirlo), a Mondiale blindato hanno indossato la mantellina rossa del povero Cappuccetto e gridato al lupo qatariota – e anzi che tra pandemia e guerra russo-ucraina questo è stato di gran lunga il loro miglior successo. Infine, immancabile, l’eco dei social network e il rumore vuoto degli utenti, sguinzagliati in tutti i loro punti esclamativi e contumelie contro la corruzione – loro puri – del Qatar, le condizioni disumane, le regole di comportamento da osservare con tanto di illustrazioni.

E via con gli appelli degli artisti e i tweet dei politici, le battute dei comici e i fondi (del barile) dei giornalisti, i boicottaggi a mezzo social e le campagne di sensibilizzazione, le bandierine arcobaleno e le maglie senza sponsor “per protesta”. Qui da noi d’altronde siamo talmente evoluti, e abbiamo raggiunto un tale livello di virtualità, che siamo riusciti ad inventarci il boicottaggio nel metaverso: un boicottaggio puramente immaginario, di rappresentanza, tra magliette sensibilizzanti, post sui social network e dichiarazioni pubbliche di condanna. Fino al punto in cui molti di noi hanno detto: “andiamo lì ma per dare l’esempio”. Ci sarebbe da piangere se non ci fosse da ridere, semicit..

Avremo preso l’idea dalle grandi aziende e dalle multinazionali occidentali, che parlano di diritti sul lavoro e nel frattempo impongono nuove forme di schiavismo legalizzato, che tingono i propri loghi di arcobaleno ma solo in Europa e America, non certo in Medio Oriente – lo avevano fatto anche la Lega Serie A e la Juventus in Italia, d’altronde quella di mercato è la più ‘democratica’ delle leggi. Ecco perché abbiamo deciso che questo Mondiale non abbiamo alcuna intenzione di boicottarlo; anzi, seguiremo tutte le partite e anche con grande trasporto. Perché peggio del Mondiale in Qatar c’è solo l’ipocrisia occidentale sul Mondiale in Qatar: la sua protesta stracciona ma fotogenica, la sua sensibilizzazione adolescenziale ma “adulta”.

E anche perché, alla fine, questo Mondiale se lo vedranno tutti.

Da noi non leggerete nessuna supercazzola sulla “deontologia giornalistica” che ci impone di coprire gli eventi e “raccontarli criticamente”, alibi infingardo di chi sa benissimo che 9 su 10 dei #boicottanti, tra un’invettiva sui social e una al bar, si sintonizzeranno sulle partite senza colpo ferire. Inoltre nessuno ci obbliga a fare un bel niente: noi guarderemo il mondiale in Qatar intanto perché ci va, perché vogliamo vederci le partite in questa triste catena di montaggio chiamata vita, e non accettiamo lezioni da chi fa della propria morale un interruttore a comando, on-off. Ma poi perché durante la kermesse araba vogliamo anche, forse soprattutto, goderci lo spettacolo e il balletto delle finzioni occidentali.

Perché a ogni divieto di bere alcolici imposto dalla famiglia reale (grazie al cielo non siamo lì), a ogni protesta sfigata degli scandinavi sui diritti civili, ad ogni sdegno collettivo dopo le dichiarazioni incivili degli ambasciatori qatarioti, noi ghigniamo neanche fossimo Joker. Proviamo un piacere perverso, ve lo dobbiamo confessare, ci divertiamo come quando becchi il parroco che ogni domenica ti fa il sermone sulla castità o sul valore della famiglia che quatto quatto entra in un bordello. Ecco cosa sta facendo l’Occidente sul Mondiale in Qatar: sta andando a puttane mentre sermoneggia dal pulpito mediatico. Perché, esclusi quei pochi e coerenti che questo mondiale non se lo vedranno, gli altri stanno semplicemente recitando, più o meno consapevolmente, la loro parte in commedia. E noi, anziché attori in causa, preferiamo essere pubblico (popcorn alla mano).



Ma tornando seri per un attimo, come ha detto giustamente Klopp, non spetta ai giocatori boicottare il Mondiale; e aggiungiamo noi, non spetta neanche ai giornalisti o ai telespettatori. Basta con questa storia per cui dobbiamo essere sempre noi a farci carico dei problemi, ortolani a cui gira gira finisce sempre in quel posto il cetriolo. Si chiede ormai al cittadino – e aveva ragione CB, basta coi cittadini, anche da morti continuerete a fare i cittadini! – di essere impegnato, informato e sensibilizzato: ambientalista, vaccinista, ucrainista, progressista. Di spegnere il riscaldamento per boicottare Putin, di spegnere il televisore per boicottare i qatarioti. Ma per la miseria, sarà mica colpa nostra se la FIFA assegna il mondiale al Qatar o se i nostri governi decidono di tagliare i ponti con la Russia perché glielo ha detto Washington – come se fosse stata l’unica a infrangere il diritto internazionale, a invadere un Paese sovrano o a uccidere civili innocenti.

Una cosa giusta, o meglio una definizione corretta, in fondo Putin l’ha data negli ultimi mesi: “l’Occidente è l’impero della menzogna”. Così può succedere che il presidente del più importante organismo calcistico mondiale, la FIFA, i cui centri di potere sono certamente più in Occidente che altrove, sia in grado di dire nella conferenza stampa di aperura: «provo sentimenti molto forti. Oggi mi sento qatariota, mi sento arabo, mi sento africano, mi sento gay, mi sento disabile, mi sento un lavoratore migrante». La prima reazione è stata un po’ per tutti noi la stessa: “ha dimenticato ***”, e via con gli insulti. Ma la seconda, effettivamente, è stata ben più amara: i coglioni siamo noi, che continuiamo a farci prendere per i fondelli.

Utili idioti di questo teatro dell’assurdo.

Anche perché tra le varie assurdità, come quelle per cui «prima di dare lezioni morali gli europei dovrebbero chiedere scusa per i prossimi 3mila anni», per cui la FIFA ha dato «un po’ di speranza e futuro ai lavoratori» e per cui questa sarà «la migliore Coppa del Mondo di sempre», Gianni Infantino, pure lui, una cosa giusta l’ha detta puntando il dito contro la «lezione morale a senso unico» e la «semplice ipocrisia» dei Paesi occidentali. Un clima ideologico, politico e mediatico montato negli ultimi mesi, ha aggiunto, lasciando intendere che prima l’indignazione a comando non fosse ancora scattata, e si credeva di poter gestire il tutto contenendo l’imbarazzo: un po’ come con il covid, in cui siamo passati dai primi giorni in cui i telegiornali non parlavano troppo dei contagi per tutelare le aziende ai bollettini terroristici giornalieri. Da un estremo all’altro, nel mezzo il nulla.

Boicottaggio mondiale qatar
Dall’articolo di Rolling Stone citato qui sotto: in una foto, di un anno e mezzo fa, il riassunto della strategia mediatica sul mondiale in Qatar.

È quanto scrive anche Giuseppe Luca Scaffidi in un bel pezzo per Rolling Stone, intitolato “Su una cosa Infantino ha ragione: è troppo tardi per indignarsi”. E ce l’ha davvero. Anche per questo noi, nichilisti ma quantomeno sinceri, siamo cinicamente pronti a goderci lo spettacolo: quello dello sputtanamento planetario dei benpensanti e benscriventi, costretti a scendere a patti e ad accrediti con gli sceicchi qatarioti; quello di ogni gruppo di indiani vestiti da tifosi francesi, da tifosi inglesi, da tifosi olandesi; quello di ogni decalogo di comportamento imposto ai giornalisti, denunciato sui social ma firmato a telecamere spente, e di ogni arrampicata sugli specchi di chi ora dice che bisogna usare il Qatar come “palcoscenico per mostrare al mondo i nostri valori universali” – un ossimoro, ma lasciamo stare.

Questo Mondiale allora sarà, se non il più bello della storia come dice Infantino, sicuramente il più grottesco perché è la rappresentazione plastica del fallimento delle nostre élites, del dilettantismo di tanti nostri media, dell’eterna adolescenza e immaturità valoriale che ci contraddistingue. E di un atteggiamento tipico dell’Occidente, che anche di fronte all’evidenza e alla propria coscienza sporca – quando non assente – continua imperterrito a impartire lezioni. Ecco perché, belli seduti in poltrona e birra alla mano (noi che possiamo) ci godremo lo show. Come fossimo al cinema, magari a vedere quel vecchio film di 007, “La morte può attendere”, in cui il colonnello Tan-Sun Moon rivendicava: «ho studiato a Oxford e Harvard, sono specializzato in ipocrisia occidentale». Ecco. Con la sola differenza che stavolta, malgrado gli effetti speciali, sarà tutto vero.

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Federico Brasile

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