Calcio
04 Dicembre 2023

Bologna è una regola, ti resta dentro

Una piazza in cui si è creata una magica alchimia.

Il Bologna, quest’anno, funziona a meraviglia. I 22 punti conquistati in 14 gare, il filotto di 10 risultati utili consecutivi (non accadeva dal 1980) e la terza miglior difesa del campionato ne sono soltanto un’inevitabile e gradevole conseguenza. E anche il settimo posto in classifica, che se poi il Lecce ieri non avesse acciuffato il pareggio in quel modo rocambolesco al 99′, i rossoblù sarebbero stati da soli quarti in classifica. “Bologna è una regola”, canterebbe Luca Carboni appigliandosi alla musica. Lui che si affida alla magia del capoluogo emiliano per confermare la fondatezza della regola.

«La regola di Bologna è una magia che nessuno sa spiegare. L’unicità che i bolognesi, ma anche i tanti che vengono da fuori, riconoscono a questa città e che però nessuno riesce a esprimere. Ce lo chiedono da sempre: ma cos’ha Bologna di speciale? Perché Dalla, Lolli, Carboni, Cremonini eccetera? E non sappiamo mai rispondere. In questa canzone cerco quella risposta, e non la trovo mica…».

Luca Carboni a La Repubblica

È proprio così. C’è una sfera illogica e sensoriale che rende Bologna una città unica. Ciò influisce anche sul calcio, che altro non è se non lo specchio della società. Perché a Bologna si sta bene. In tutto. Basta camminare per le sue vie e per i suoi portici per respirare linfa e vita, quella positiva e travolgente. Il fattore ambientale incide dunque sui risultati della Bologna calcistica? Sì e no. Se fosse solo per l’ambiente, tutte le annate andrebbero bene a prescindere. Ma senza questo ambiente, invece, non è detto che la stagione sarebbe stata così positiva.



Perché al di là della solida presidenza, della squadra progettata e costruita da una vecchia volpe come Giovanni Sartori, dell’impatto di un allenatore bravissimo come Thiago Motta (tutti aspetti su cui potremo e dovremo ritornare, ma che non sono oggi il fulcro del discorso) il Bologna contemporaneo si nutre di numerosi elementi funzionali che lo proiettano alla ribalta del massimo sport nazionale. Tra questi senza dubbio l’atmosfera, appunto, che si è generato a Casteldebole.

Molto parte da una società vicina alla squadra, perché proprietà straniera non è per forza soltanto sinonimo di economia ed arricchimento. Anche Joey Saputo, il quarto presidente straniero nella storia del Bologna, che ha investito nel calcio garantendo ai rossoblù nove partecipazioni di fila in Serie A, ora confessa: «Non è più soltanto una questione di business, è qualcosa che tocca i miei sentimenti». Quel Saputo che da bambino in Canada giocava ad hockey, ora sta iniziando ad emozionarsi ad occhi lucidi con lo sguardo rivolto al Dall’Ara.

«La sera della finale di ritorno dei playoff di Serie B mi sono veramente emozionato e ho capito a pieno cosa significa il calcio per gli italiani e in particolare per i bolognesi: la gente era nervosa e lo ero anche io, ricordo la traversa del Pescara all’ultimo minuto e poi i tifosi sul campo e il pianto dei giocatori, alla fine di un percorso fatto di impegno e sacrifici. Qui in MLS non è la stessa cosa. La passione di quello stadio stracolmo e le emozioni di quella partita mi hanno insegnato davvero tanto».

Joey Saputo alla BFC Academy Webinar

Che Bologna sia passionale e travolgente lo ha capito anche Thiago Motta il quale, sebbene sia destinato (probabilmente) ad una grande carriera lontano dal capoluogo emiliano, ha compreso e confessato quanto il clima generale abbia influito sulla stagione rossoblù. Come al termine della vittoria contro la Lazio, quando ha esaltato l’empatia che si è creata fra tifosi e giocatori. Il connubio tifo-campo rende per questo Bologna una piazza unica. Al di là del terreno di gioco del Dall’Ara, uno dei migliori d’Europa in capacità di drenaggio e compattezza del tappeto erboso, è sugli spalti che si genera un’armonia romantica ed impetuosa.

Contro la Lazio, gli spettatori erano circa venticinque mila. La magia del Dall’Ara è un’esperienza da provare almeno una volta nella vita anche da neutrali. Sarà la posizione della struttura, la sua conformazione, le mura, la visuale godibile, i colori, gli odori o forse la passione che si respira nei tifosi rossoblù. Magari anche la storia di quello stadio. Novanta minuti d’infatuazione in grado d’inebriare, caricare e trasportare chi assiste ed anche chi gioca. Quando parte “L’anno che verrà” di Lucio Dalla, poi, sembra di stare in paradiso.



«Aaaah Lucio Dalla, tanta roba! Sto imparando tutte le sue canzoni a memoria, ho cominciato con ‘L’anno che verrà’ e non mi sono più fermato, da buon bolognese quale ormai mi sento. Mi fanno stare bene», così parlava addirittura Musa Barrow, bolognese acquisito, che al momento dei saluti verso l’Arabia ha affidato al profilo Instagram il ringraziamento verso una piazza che porterà per sempre nel cuore. Perché i giocatori passano, ma Bologna ed il Bologna restano – e ti lasciano dentro qualcosa.

E si capisce allora quanto il Bologna sia una grande piazza del calcio italiano, e quanto questo carattere influisca e resista oltre ai risultati come un fattore intangibile ma profondo, radicato nell’animo della gente rossoblù (la stessa sensazione si respira con il Torino, ora fiaccato dalla gestione Cairo ma che rimane comunque una grande piazza, sono cose che si avvertono). Per questo determinate maglie pesano, e per questo anche uno come Domenico Maietta, calabrese di nascita ma bolognese di adozione, (96 presenze in rossoblù) ci ha parlato così.

«Sia chiaro: Bologna non è una piazza, è LA piazza. Quando parlo di Bologna mi si riempe il cuore. E’ difficile far capire ad un giocatore quando una maglia ed una città ti entrano dentro. Bologna è una piazza affascinante, ricca di storia e cultura. Mio nonno, lo sanno in pochi, era tifoso del Bologna. Guai a chi glielo toccava. Pensare che suo nipote avrebbe giocato con quella maglia è qualcosa di magico. Sarebbe strafelice. Ancora ora mi commuovo nel parlare di Bologna e del Bologna».

Domenico Maietta a Rivista Contrasti

Il rapporto con i tifosi bolognesi è speciale anche per i componenti della rosa attuale. Basti pensare a  Joshua Zirkzee, che proprio nella scorsa settimana alla Gazzetta dello Sport ha dichiarato: «Non mi sono mai sentito così amato nel calcio come oggi (frase che non si sente tutti i giorni nel mondo del calcio, ndr). Quando giro nel centro di Bologna tanti mi fermano e parliamo. Io cerco sempre di giocare bene perché la gente non la voglio deludere». Sembra quasi il calcio di una volta, in cui non si è ancora creata quella distanza siderale tra tifosi e giocatori e nel quale le cose vengono più naturali.

Infine lo spogliatoio, perché non sarebbe sufficiente l’ottima sinergia con città e tifosi se l’umore non fosse alto all’interno del gruppo. Saranno i risultati positivi, sarà anche la giusta connessione con la società. Molto, però, è merito di Thiago Motta che, con i suoi valori, ispira e diffonde meritocrazia e coerenza. Basti pensare al turnover continuo per la fascia da capitano al braccio. Tutti utili nessuno indispensabile. E poi il polso infinitamente saldo della situazione. L’italo-brasiliano considera fondamentale lavorare costantemente sulla testa e sulla mentalità del gruppo, dello spogliatoio, in maniera decisa e credibile, affinché si remi insieme dalla stessa parte.

È anche bello”, ha pronunciato in conferenza stampa riferendosi a Ruspa Calafiori. E il gruppo ricambia di gusto.

Aebischer, l’imprescindibile, ha parlato così del suo allenatore: «A volte è come un fratello maggiore». Il clima è positivo, sereno ed i calciatori sembrano divertirsi anche lontano dal rettangolo verde. Ne è dimostrazione il simpatico siparietto in occasione della vittoria di Coppa Italia contro l’Hellas Verona. Van Hooijdonk, uno di quelli che ha giocato meno, segna e… De Silvestri si reinventa speaker per una notte. È proprio lui a sillabare il nome di Sydney al momento dell’esultanza dei tifosi rossoblù. Il tutto col sorriso a trentadue denti. Gesto non banale da parte di uno dei più esperti del gruppo, utile per integrare uno degli emergenti.

Insomma, questi ragazzi danno l’impressione di stare bene insieme. Ed è difficile non provare simpatia per una squadra che, al di là dei meriti individuali (allenatore, DS, calciatori) ha creato una magica alchimia tra Bologna e il Bologna. Lucida e sensoriale. La verità in fin dei conti è che non esiste una formula. Bologna ed il Bologna funzionano. Mai come questa stagione, per la gioia dei tifosi rossoblù.

«Conoscevo però la piazza, con una storia e una tifoseria importanti: una piacevolissima sorpresa già come sono stato accolto. Questo ci tengo a sottolinearlo, sia dalla società che dall’ambiente. Era come se fossi stato sempre qua, come in una grande famiglia».

Giovanni Sartori a TMW

Ci sarà pure un motivo, se tutti o quasi si esprimono in tal senso. E mentre allora giustamente si sottolineano i meriti tattici di Thiago Motta, lo scouting di Sartori, la previdenza della proprietà e i valori tecnici dei giocatori, noi oggi volevamo solo rendere un omaggio alla città. A una grande e storica piazza, che fino a quando la tradizione conterà qualcosa nel mondo del calcio (e non solo) sarà in grado di spingere la squadra. Ad una salvezza tranquilla, certo, ma forse quest’anno anche a qualcosa di più.

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