Il giocatore più amato, e quello che ha amato di più la Salernitana.
Nonostante in quella sera d’agosto all’Arechi ci siano poche migliaia di spettatori e il centravanti vesta la maglia granata solo da pochi minuti, il coro“Bonazzoli fa gol” che si leva dagli spalti contiene tre parole destinate a non uscire più dalla testa del ragazzo bresciano. Un mantra da recitare dentro di sé per tentare di ripagare, almeno in parte, un affetto spontaneo e gratuito mai ricevuto prima da nessun’altra parte, all’interno di una carriera che a 24 anni si ostina a non decollare e che pare già lunghissima, data la precocità del suo inizio. Una partenza segnata dalla pesante, a volte opprimente, etichetta di bambino prodigio.
“È stato subito amore reciproco, la sensazione fin dal primo istante di essere arrivato nel posto giusto al momento giusto, tra le vostre braccia. Quelle braccia che non hanno smesso nemmeno per un secondo di coccolarmi, di cullarmi, di proteggermi, quelle braccia che non mi hanno mai lasciato solo”.
Due storie segnate dalla precarietà, quelle di Federico Bonazzoli e della Salernitana, all’alba di una stagione che vede l’attaccante, in prestito dalla Sampdoria e con soli 8 gol all’attivo nella massima categoria, arrivare in una squadra su cui pende la mannaia dell’esclusione dal campionato, in caso di mancato passaggio di proprietà entro il 31 dicembre 2021.
Un sogno, quello di giocare stabilmente in Serie A, mai pienamente realizzato né per l’ex promessa né per il club granata, entrambi in attesa di poter finalmente interpretare un ruolo da protagonisti, dismettendo così quello di anonime comparse inghiottite alla svelta dalla dissolvenza della macchina da presa. E pensare che il debutto tra i professionisti, per il ragazzo nato e cresciuto nella Bassa bresciana, si materializzava a soli 16 anni in Coppa Italia, sotto le abbaglianti luci dei riflettori di San Siro, da secondo esordiente più giovane della storia interista del dopoguerra, dopo Beppe Bergomi.
LA FINE, ALL’INIZIO
Una maglia, quella nerazzurra, vestita sin dalla tenera età dopo i primi calci all’oratorio di Ghedi, sufficienti per eleggerlo a bambino prodigio e consegnargli un biglietto per la grande metropoli. Sempre sotto lo sguardo del burbero Walter Mazzarri sarebbero poi seguiti anche il battesimo in campionato ed Europa League. Inoltre, con la convocazione azzurra nell’Under-21 Federico diventava il più precoce di sempre a giocare per la Nazionale giovanile (record poi battuto da Donnarumma).
Un biglietto da visita comprensivo dei gol siglati a grappoli nell’arco di tutta la trafila del vivaio del Biscione, e che fa gola a una Sampdoria che lo prenota nel gennaio 2015 per la stagione successiva, concedendo all’Inter un diritto di ricompra che non verrà mai esercitato. Un breve periodo, gli ultimi mesi passati alla casa madre, in cui il “predestinato” che sta sulla bocca di tutti si guadagna ancora qualche titolo a effetto con la vittoria del Torneo di Viareggio e relativo premio di Golden Boy della competizione. Titoli che non mancheranno neanche nell’estate dell’atteso grande salto in maglia blucerchiata, in un torrido agosto italiano di pronostici e consigli ai fantallenatori sotto l’ombrellone, dove si parlerà di un Bonazzoli “pronto a stupire”, proprio come la meteora italo-brasiliana del Palermo, Matheus Cassini, papabile “nuovo Dybala”.
L’impatto con il calcio dei grandi, però, non va come sognato, le presenze sono poche e di gol nemmeno l’ombra, ma nonostante ciò a gennaio si vocifera di un presunto interessamento della Juve per l’attaccante bresciano. La realtà è ben diversa, dato che nel mercato di riparazione Federico viene mandato a farsi le ossa a Lanciano, in serie cadetta, inaugurando una fase di prematura eclissi, con scarsi risultati che spingeranno la Samp, proprietaria del cartellino, a un tira e molla destinato a ripetersi annualmente.
A partire dall’esperienza al Brescia, dove la vicinanza di casa non basta per segnare più di 2 gol, e solo una salvezza in extremis dalla Lega Pro marca la differenza con i mesi di Lanciano. Un giro d’Italia che continua con un assaggio di Serie A in quel di Ferrara, per poi proseguire ancora in cadetteria, nelle file del Padova, con 8 gol non sufficienti a evitare la retrocessione dei veneti.
“[…] c’è chi le sue cose le capisce a 18 anni chi a 22 e chi non lo capisce mai. Magari sbaglierò un gol fatto alla prima occasione ma l’atteggiamento non lo sbaglierò mai più, è una promessa. Perdersi non è bello. È un’altra cosa che vorrei spiegare: questo salto dalle giovanili non è facile, è difficilissimo. Ci sono stati periodi in cui ne ho pensate di tutti i colori, anche di smettere […]”.
L’ennesimo ritorno a Genova sa di ultima occasione per interrompere la spirale in cui è caduto Bonazzoli, ma il primo gol nella massima categoria sembra l’unica soddisfazione tra panchine e infortunio. Un vortice dal quale iniziare a uscire nell’estate 2020, dopo la sospensione per la pandemia, un periodo traumatico anche a livello familiare dove contare sul supporto di un Fabio Quagliarella considerato “come un padre”. Qui un giocatore ritrovato, e con una brillantezza inedita tra i grandi, mette a segno 5 gol decisivi per la salvezza dei blucerchiati. Su tutti spicca una superba rovesciata contro l’Udinese, un antipasto di quello che diventerà un suo marchio di fabbrica in maglia granata. Non con il granata del Torino però, in cui Federico non riuscirà a giocare con continuità, soprattutto con l’arrivo di Davide Nicola a sostituire Giampaolo.
ALLA FINE, L’INIZIO
Osservando superficialmente i tabellini sembra che sia tutto da rifare, con soli 2 miseri gol in 20 presenze, ma per l’ex predestinato quest’esperienza significa un “nuovo inizio”, come fa capire sin dalla presentazione. Nel cambio di mentalità, per dirla con parole dello stesso Bonazzoli, bisogna conquistarsi la fiducia quotidianamente e la partita diventa così una conseguenza di quanto dato in settimana, senza più approcciarsi ad essa con la superficialità di chi si crede ancora un baby fenomeno. Si accorgerà di ciò anche Nicola, un esperto in nuovi inizi e in salvataggi di marinai a un passo dal naufragio, ammettendo che l’attaccante “ha delle grandi qualità e mi dispiace non dargli lo spazio che meriterebbe”.
Un senso di colpa, quello dell’allenatore, che durerà qualche mese, ma intanto Federico riesce a cavarsela da solo, assaporando sin dall’inizio l’affetto regalatogli da Salerno, restituito con una doppietta al debutto in Coppa Italia, insieme alla possibilità di giocare accanto a un fuoriclasse come Franck Ribery.
Cambiano gli allenatori, prima Castori e poi Colantuono, la squadra sguazza nel fondo della classifica e la questione societaria si fa sempre più bollente, ma stavolta il campo, da titolare o da subentrato, Bonazzoli lo vede quasi sempre. Infatti è il suo mancino che a Venezia apre la rimonta, nella prima vittoria esterna dei granata, così come nei pareggi contro altre avversarie dirette come Cagliari e Genoa. Insomma, abnegazione e punti capitali portati al capezzale di una squadra, seppur agonizzante, ancora viva.
Nel frattempo, sul fronte offensivo si aggiunge un’altra pedina fondamentale come Simone Verdi, amico di Federico dai tempi del Toro, elemento prezioso di una campagna acquisti invernale condotta da Walter Sabatini, l’artefice della svolta chiamato dalla nuova proprietà e anch’egli un sopravvissuto alle tempeste.
Una rivoluzione per tutto l’ambiente completata da Davide Nicola, che ora non dovrà più scusarsi con Bonazzoli per il poco spazio riservatogli, ma anzi lo sfrutterà già a partire dalla prima, proibitiva, prova del fuoco contro i futuri campioni d’Italia. In quello che appare un match senza storia, Federico si prende gioco del Diavolo con una rovesciata e può finalmente sfoggiare la sua esultanza da pistolero per una rete casalinga in campionato, accompagnato da una traboccante Curva Sud Siberiano che urla a squarciagola il suo nome.
“[…] tutta la gente che viene giù, quasi entra in campo, una delle emozioni più belle della mia vita. Ogni tanto, quando finisco le partite mi guardo più l’esultanza dei tifosi che il gol”.
Un grido destinato a ripetersi perché l’attaccante bresciano diventa un punto di riferimento per le speranze del Cavalluccio marino. Una fiducia reciproca per un giocatore che trova in Salerno, e nel calore della sua gente, un luogo dell’anima in cui sentirsi davvero, e per la prima volta in carriera, a casa. Inoltre, il fatto di abitare da solo, non essendo fidanzato (cosa alquanto insolita nel cliché del calciatore), unito alla sua sobria frequentazione dei social, sembra costituire un terreno fertile per vivere quest’avventura come un atto di fede, assorbendo tutto ciò che la città ha da regalargli per farne un prezioso bagaglio umano prima ancora che professionale. Tra i vari doni, materiali oltre che spirituali, anche la scoperta di un dolce, in una gelateria vicino casa, diventa lo spunto per una promessa, ovvero offrire brioche farcite di gelato a tutti i tifosi in caso di salvezza.
Una salvezza ancora utopica al momento del voto, ma che inizia a prendere una consistenza reale con 4 vittorie in 5 partite, tra cui quelle contro Fiorentina e Venezia all’Arechi che portano il timbro decisivo di Federico. Ossigeno puro da immagazzinare per un finale in apnea, nel quale la differenza tra la gloria e l’oblio sarà decisa da un solo punto in più in classifica.
Un ultimo punto che per la Salernitana arriva a Empoli, con un’altra cilena di Bonazzoli, proprio come quella che aveva dato il la al sogno e all’avventura di mister Nicola. Il resto lo farà il Venezia che retrocederà a testa alta bloccando il Cagliari sullo 0-0. Un epilogo al cardiopalma dove gli istanti in attesa di notizie dal Penzo valgono come la scena del duello finale tra Charles Bronson ed Henry Fonda, in C’era una volta il West, per utilizzare una metafora e un tema suggeriti dalla sontuosa coreografia della curva granata di quella sera.
“Io spero di trattenerlo qui. Vederlo sorridente è una gioia grande. È un ragazzo con un certo carattere. Era circondato da tanti bambini, questo mi ha ripagato delle notti insonni perché noi lavoriamo per questo. Sta vivendo la vera gloria”.
Dopo le lacrime di redenzione, iniziate in campo e tracimate sulla spalla del savio direttore negli spogliatoi, l’indomani Federico mantiene la promessa, offrendo brioche con gelato a centinaia di tifosi accorsi nella piazzetta della chiesa di San Pietro in Camerellis. Molti sono ragazzini che gli chiedono di autografare una maglia, un pallone o un semplice pezzo di carta.
Un’immagine che restituisce il calcio alla gente (nel senso carnale del termine e non più in un vuoto slogan) e che riconsegna un giocatore, o meglio un uomo, rinato. Un ragazzo di 25 anni che poco dopo coglierà l’occasione per ringraziare l’intera città, in un saluto che può contenere tracce di dolore per un addio oppure la speranza di un arrivederci. In ogni caso, forse nella sceneggiatura aggiornata di C’era una volta a Salerno, un giorno verrà aggiunto un piccolo spazio per questo giovane bresciano, che sotto la Curva Sud dell’Arechi sentì di nuovo il brivido del volo.
“Bonazzoli fa gol” sono le uniche 3 parole che rimbomberanno costantemente nella mia testa, senza via di fuga, senza tregua. […] Oggi lascio Salerno con un unico pensiero: quello di non sapere se sono riuscito a restituirvi tutto l’amore, l’affetto e la gratitudine che VOI avete dato a me.
Grazie Salerno, Grazie Salernitani, Grazie Sud, INSIEME abbiamo scritto una pagina indimenticabile di STORIA. Non vi dimenticherò MAI!”.
La Salernitana è sopravvissuta un secolo a tanti bassi e pochi alti ma risultati, categorie, presidenti e dirigenti non hanno minimamente scalfito l'autentica passione di tutta una città.