In un articolo pubblicato dal quotidiano britannico Independent, lo scorso 13 gennaio, viene sottolineato il recente aumento di episodi di razzismo nei confronti della minoranza etnica dei cosiddetti British Asian. Una comunità questa costituita, prevalentemente, da emigranti di seconda generazione provenienti dall’Asia meridionale i quali, a tutt’oggi, rappresentano una minoranza significativa e in forte crescita. Dal gennaio dello scorso anno, infatti, gli episodi discriminatori si sono verificati con una frequenza decisamente superiore rispetto a quelli avvenuti fra 2018 e 2019: un malcelato odio razziale che è dunque esploso nei mesi più duri della pandemia.
“Come può ancora accadere questo nel 2021? Sono orgoglioso della persona che sono e di rappresentare gli asiatici di seconda generazione. Bisogna fare di più per la lotta al razzismo”.
Tweet pubblicato lo scorso 11 febbraio dal centrocampista Yan Dhanda
Quello di Yan Dhanda, ad esempio, è un caso da manuale. Il classe ’98, attualmente sotto contratto con lo Swansea ma cresciuto nelle giovanili del Liverpool, di origini indiane (padre proveniente dallo stato nord occidentale del Punjab), è stato vittima di insulti razzisti sui social dopo la sconfitta subita per 3-1 contro il Manchester City in FA Cup. Preoccupa, e stupisce, la pressoché nulla copertura mediatica dell’episodio rispetto ad altri celebri casi avvenuti negli scorsi mesi. L’interrogativo nasce spontaneo: quanti razzismi esistono? C’è un razzismo di serie a, più degno di analisi ed inchieste, ed un razzismo di serie b, che non merita neanche un trafiletto a fondo pagina?
“Episodi di questo genere mi spingono solamente a voler fare di più. Sono orgoglioso delle mie origini, sarei stupido nel non esserlo” ha poi dichiarato Dhanda in un’intervista rilasciata a Sky Sports News. Impossibile sorprendersi però se si pensa che Greg Clarke, chairman della English Football Association, non proprio l’ultima pedina del carro, sia stato costretto alle immediate dimissioni, lo scorso novembre, per una serie di controverse dichiarazioni a stampo razziale.
“Hamza – Choudhury – è un vero Leader, non è sicuramente un ragazzo che si tira indietro di fronte alla difficoltà. Il Club sta facendo il possibile per supportarlo. La nostra è una presa posizione chiara contro ogni forma di razzismo e discriminazione, digitale o meno”.
Dichiarazioni, risalenti al dicembre del 2019, che arrivano direttamente dall’allenatore del Leicester City, Brendan Rodgers, a difesa del promettente 23 enne centrale di centrocampo Hamza Choudhury. Il ragazzo, di origini bangladine, dopo un discusso tackle scivolato su Mohamed Salah è stato ricoperto di insulti razziali sui principali social network, obbligando il Leicester ad attuare la linea dura, agendo per vie legali.
Niente di nuovo sotto il sole della Brexit. Infatti, la Federazione calcistica inglese, negli ultimi anni infatti si è trovata a combattere contro un altro emblematico problema del XXI secolo: gli insulti, le minacce, le provocazioni che arrivano dalle piattaforme social. “Il linguaggio usato è svilente, spesso minaccioso, illegale. Causa angoscia ai destinatari e alla grande maggioranza delle persone che aborrono il razzismo, il sessismo e la discriminazione di qualsiasi tipo” recita il comunicato, dello scorso febbraio, rivolto a Jack Dorsey e Mark Zuckerberg dalla Football Association. Il gruppo multietnico dei British Asian è diventato, nel giro di pochi mesi, indiscutibilmente uno dei più colpiti.
A questo proposito vanno ricordate le parole di Jarnail Singh, ad oggi uno dei pochissimi arbitri professionisti britannici asiatici ad aver officiato un match internazionale (amichevole tra Cina ed UAE dell’ottobre 2011): “Un errore di un ragazzo con discendenze asiatiche verrà ricordato ed analizzato in maniera totalmente differente rispetto a quello di un ragazzo nato e cresciuto nel Regno Unito”. In occasione della sfida tra Bristol City e Nottingham Forest dello scorso 10 aprile, Bhups e Sunny Singh Gill figli “d’arte” di Jarnail Singh, hanno avuto l’onere e l’onore di diventare la prima coppia di British Asian ad officiare un match della Football League Championship (seconda divisione inglese).
Ancora oggi la folta e multietnica comunità dei britannici asiatici è vista dai mass media, e non solo, come sostanzialmente estranea al mondo del calcio ed alle tematiche ad esso connesse. Lo stesso Commissario Tecnico Gareth Soutghate si è recentemente espresso a riguardo: “Storicamente abbiamo contribuito ad una sorta di discriminazione involontaria, credendo che i British Asian non fossero abbastanza atletici o dotati fisicamente. C’è un pregiudizio verso i giocatori di questa comunità”. Semplice ars retorica, visti gli eventi degli ultimi mesi, o reale consapevolezza della portata del problema? Interrogato sulla stessa questione, nel 1995, l’allenatore Dave Basset arrivò a dichiarare, peraltro nella totale indifferenza della stampa main stream:
“I calciatori asiatici non sono fatti per il calcio. Potrebbe essere un fattore culturale, magari legato alla loro alimentazione ed alla loro nutrizione”.
In un lungo video pubblicato dal portale Copa90 viene approfondita la questione razziale-sportiva grazie al contributo del Professore della Newman University Stefan Lawrence. Oltre alla questione culturale – “Quale mamma indiana preferirebbe un futuro da calciatore, rispetto a quello da dottore per il proprio figlio?” – viene esaminata l’assenza di “Role Models” che possano, in qualche maniera, modificare la percezione degli asiatici britannici nel calcio di oggi. Viv Anderson, negli anni ’70, rappresentò l’inizio di una nuova era per i calciatori di colore nelle divisioni professionistiche inglesi, riuscendo a far ricredere anche gli scettici più coriacei; fu il primo calciatore di colore a vestire la maglia della temibile nazionale dei “Tre Leoni”. “Role Models” che la comunità britannica asiatica, fino a qualche tempo fa, sembrava non aver ancora trovato.
Il classe ’94 Adil Nabi, centrocampista offensivo di origine pakistane, attualmente sotto contratto con l’OFI Creta (società di prima divisione greca) ha recentemente dichiarato alla BCC: “Voglio rappresentare per gli asiatici britannici quello che Cyrille Regis e Laurie Cunningham hanno rappresentato per i calciatori di colore”.
Hamza Choudhury, 23 anni compiuti ad ottobre, non ha mai nascosto l’ambizione di vestire la maglia della Nazionale maggiore allenata da Southgate. “Chiaramente è uno degli obbiettivi che mi sono posto. Sto lavorando duramente per potermi guadagnare la convocazione”, aveva dichiarato nel maggio dello scorso anno. “Negli ultimi mesi mi sono reso conto di rappresentare non solo me e la mia famiglia, ma un’intera comunità. Diventerei il primo ragazzo di discendenze asiatiche a vestire la maglia della nazionale inglese. Non che avessi bisogno di ulteriori motivazioni, ma tutto ciò mi spinge a fare ancora di più per raggiungere i miei obbiettivi”. La vittoria, seppur con ruolo marginale, della prestigiosa FA Cup con la maglia delle Foxes ha rilanciato ulteriormente la candidatura del classe ‘97. Prima di Choudhury solo il terzino sinistro Neil Taylor, originario del Bengala, era riuscito ad imporsi in Premier League ed a livello internazionale con la Selezione del Galles. “Negli ultimi anni sono stati abbandonati certi stereotipi e pregiudizi razziali; innegabile che ci siano stati dei passi in avanti non indifferenti” aveva dichiarato Taylor in una lunga intervista rilasciata alla Associated Press di New York.
La linea dura attuata dalla Federcalcio inglese contro ogni forma di razzismo e discriminazione ha conseguito alcuni dei risultati prefissati. Data chiave, da questo punto di vista, è senza dubbio quella del 14 maggio 2015, quando la Football Association, dopo lunghe consultazioni, pubblica il celebre, e quanto mai discusso, documentoBringing Opportunities to Communities, rivoluzionando come mai prima non solo l’assetto del calcio internazionale, ma anche la dirompente crescita del macrocosmo calcistico asiatico.
Tra le 24 pagine del documento, ad oggi consultabile online, emerge chiaramente la trama dell’ambizioso obbiettivo: aumentare, per quanto possibile, l’integrazione dentro e fuori dal rettangolo di gioco, attraverso il calcio, del variegato gruppo multietnico dei britannici asiatici. I risultati ottenuti, da un punto di vista puramente sportivo, hanno, in parte, superato le aspettative della Football Association. A questo proposito, degni di nota sono gli investimenti realizzati dal Chelsea FC per organizzare l’Asian Star Event. Iniziativa che offre a ragazzi di discendenze asiatiche, tra gli 8 ed i 12 anni, la possibilità di vincere una borsa di studio della durata di un anno nella prestigiosa Academy dei Blues.
Per il futuro a medio-lungo termine, i vari Dilan Kumar Markanday (ala offensiva di origini indiane, parte integrante dell’Under 23 degli Spurs), Arjan Raikhy (centrocampista classe 2002, nato nella regione del Punjab, stella della Selezione Under 18 dell’Aston Villa) ed il difensore centrale Dinesh Gillela ( capitano della selezione Under 21 del Bournemouth, originario del distretto di Chennai) hanno sicuramente beneficiato degli investimenti realizzati dalla Federazione negli ultimi anni. Nonostante il 7.5% della popolazione britannica sia costituito da “British Asian”, su 3 mila calciatori professionisti solamente 10 appartengono alla suddetta comunità. Alcuni studi della celebre Manchester Metropolitan University, sul finire degli anni ’90, avevano dimostrato come, in media, i britannici asiatici originari del Bangladesh giocavano a calcio più degli stessi ragazzi inglesi. Erano anni lontani, non solo temporalmente, dall’epoca globalizzata odierna; che portano però ad interrogarci a fondo sulla questione. In un recente video pubblicato dalla Football Association, il ct della Nazionale inglese reduce dal secondo posto agli Europei ha dichiarato:
“Penso che dobbiamo espandere la nostra rete di scouting, andare nelle zone in cui si concentrano le discendenze asiatiche, perché vorremmo più giocatori con quelle origini e siamo certi che ci siano”.
Di certo il limite tra opportuna ed appropriata lotta al razzismo e scelta politica non sportivamente meritocratica è flebile.
Come un episodio di vergognosa insubordinazione ha oscurato agli occhi della stragrande maggioranza dei media la buona prova dei Blues di Sarri contro il City di Guardiola nella finale di League Cup.