Il ricordo di Spagna Croazia è vivido, vicino. È vicino l’errore clamoroso di Unai Simon, così come i suoi miracoli nella seconda parte di gara. È vicina la straordinaria rimonta della Croazia, così come l’immensa qualità di Pedri. È vicina l’incostante prestazione di Morata, campion futuro in grado, come Penelope, di fare e disfare tele all’interno della stessa partita. Ma soprattutto è vicina la prestazione di Sergio Busquets, sesto giocatore con più presenze nella storia della nazionale spagnola e quarto di sempre al Barcellona.
Busquets, assente nelle prime due (non a caso brutte) partite della Spagna, ha fin dai primi minuti imposto il suo ritmo alla gara. Ha governato il cerchio di centrocampo, gestendo i movimenti dei compagni come un direttore dirige la sua orchestra. Come un pastore guida e indirizza il suo gregge. Ha corso quando era giusto, disperdendo energie con la premura di un avaro che gestisce le sue finanze. È riuscito nell’impresa eccezionale di farsi trovare sempre libero e non ha mai dato l’impressione di essere in affanno. Ha dominato in lungo e in largo, toccando il pallone il numero di volte che l’azione richiedeva. Ha fatto correre a vuoto i suoi avversari, anime erranti e perlopiù inermi. Più di ogni altra cosa, forse, ha dimostrato una straordinaria e brillante malleabilità. Ha assecondato con intelligenza le caratteristiche degli ottimi compagni di reparto, lasciando a Pedri la libertà di agire tra le linee e occupando le zone di campo lasciate sguarnite dall’encomiabile generosità di Koke.
Leader silenzioso, fuoriclasse assoluto
Busquets è unico, un hapax del calcio moderno. È magro, slanciato, lento. La sua corsa non è elegante, ma dinoccolata. Ha l’aspetto di un uomo qualunque, ha pochi muscoli e probabilmente non ha la forza per calciare da fuori area. Non dispone della classe dei numeri 10 ed è il trionfo delle azioni razionali sugli atti istintivi. Non scalda i cuori e non incide quasi mai negli ultimi 25 metri. Eppure, non possiamo fare a meno di adorarlo. Lo facciamo perché a un giocatore come lui non ci si abitua mai. Il suo modo di giocare è esoterico, anacronistico. Il suo portamento è solenne, ieratico. La sua calma è disarmante, la sua tecnica abbacinante.
Chi gioca contro di lui deve accettare di essere una semplice comparsa. Quando riceve palla, Busquets è padrone assoluto del proprio destino e sembra sapere in anticipo l’esito delle sue gesta. La sua posizione del corpo è sempre perfetta e il pallone, anche quando sembra scoperto, è in realtà soggetto a un controllo costante. Busquets scherza con i suoi avversari, spesso irretiti in trappole da lui abilmente orchestrate. È un funambolo del pallone, costantemente in bilico tra il possesso (certo) e la perdita (che non avviene mai) della sfera. È un mago insensibile delle tre carte, di quelli che alla fine ti fregano sempre. È un paziente tessitore di gioco che lavora palloni come un artigiano fa con le sue materie prime. È, forse più semplicemente, uno dei migliori centrocampisti del ventunesimo secolo. Uno degli ultimi esemplari della specie (ormai in via d’estinzione) dei giocatori pensanti, dei metronomi euclidei. Uno che, non a caso, è stato compagno di reparto per anni dei fenomeni Xavi e Iniesta.
“Busquets è super intelligente, capisce tutto. Per sopravvivere dieci anni al Barcellona devi essere molto forte, altrimenti ti rubano il posto. Lui pensa per gli altri, non gioca mai per se stesso e il centrocampista deve essere così”.
Busquets ha dato dunque certezze a una Spagna che, priva degli straordinari talenti degli ultimi anni, era come smarrita. Oggi la squadra di Luis Enrique sembra un’altra rispetto a quella di inizio europeo. Contro la Croazia è stata ottima per 70 minuti, producendo un calcio vivace e organizzato. La reazione ai supplementari, poi, dimostra come il gruppo sia unito e compatto. A sorridere alle furie rosse è anche il tabellone, che riserva una Svizzera galvanizzata, ma pur sempre inferiore. La Spagna di Sergio Busquets non è la favorita numero uno per la vittoria finale, ma ha ancora una parte da recitare. Del resto, tra le squadre rimaste, forse nessuna può schierare un uomo a centrocampo della classe di Sergio Busquets. Anzi, ne siamo certi: proprio nessuna.
La vita di Saúl Ñíguez è un diario pieno di dolore, rivincite e finali perse. A 22 anni però sembra già pronto per aggiungere pagine nuove e decisive alla sua carriera.