Papelitos
18 Settembre 2023

Il calcio femminile non lo guarda nessuno

E soprattutto non lo compra nessuno.

Più volte siamo stati accusati di essere contro il calcio femminile – che poi, cosa significhi esattamente, rimane un mistero. Di essere ideologici quando scrivevamo che questo non fosse ancora in grado di sostenere il professionismo, una consapevolezza pacifica e rispettabile per chiunque conoscesse certi meccanismi, e che veniva invece fatta passare come un attacco reazionario/maschilista nei confronti di un nuovo mondo che ci stava emancipando ed affermando. Nulla di più lontano dalla realtà.

L’ideologia, invece, era proprio quella opposta: quella che calava dall’alto un modello che non aveva solide basi, né economico-commerciali né sportive; quella di un aspirante gigante – nelle intenzioni della federazione – ma dai piedi di argilla. Il punto è che noi non abbiamo mai avuto nulla contro il calcio femminile e lo sviluppo del calcio femminile, anzi. Ci auguriamo al contrario che possa crescere e innalzare sempre più un livello che oggi, in Italia e non solo, è alquanto rivedibile – cosa che però non si può dire, pena le accuse di cui sopra – attirando in tal modo sempre più appassionati.

Ma la verità, al momento, è che il calcio femminile non se lo fila nessuno. Non lo guarda nessuno e soprattutto non lo vuole comprare nessuno.

Ne ripercorre gli ultimi episodi Luca Fazzo in questo ottimo e dettagliato articolo sul Giornale, in cui sviscera il tema tra appalti improbabili, sovradimensionamento dei costi e stime alquanto discutibili. Con il risultato finale che è il seguente: «Una partita alla settimana sulla Rai, in chiaro, comprata dall’emittente pubblica più per dovere che per convinzione: a tanto si ridurrà quest’anno per gli spettatori italiani la serie A di calcio femminile, campionato diventato professionistico per decreto ma che stenta a farsi largo nell’attenzione dei media. Abbandonata da La7, rifiutata da Dazn e da Sky, la copertura tv della A femminile per quest’anno è ai minimi termini».



E ancora: «Le promesse di grandeur mediatica della federazione si sono infrante con i risultati di una gara andata deserta e di un appalto per la produzione (ovvero le riprese dei match) che ora sta facendo discutere». Anche perché, continua Fazzo, l’appalto era stato lanciato dalla Federcalcio sulla base di «una previsione più che ottimistica delle entrate destinate a venire dalla cessione dei diritti: 1,750 milioni (tra gli esperti del settore, il valore commerciale dei diritti della A femminile viene stimato tra i 300mila e i 400mila euro)».

Fatto sta che, come è come non è, lo ammette pure il Fatto Quotidiano con Lorenzo Vendemiale: il calcio femminile in Italia non interessa a nessuno. «A parte un big match a giornata che troverà spazio sulla Rai, le altre partite saranno trasmesse su Youtube dalla Federazione. Quasi fosse un torneo amatoriale. I diritti tv a pagamento sono rimasti invenduti: in Italia nessuno vuole il calcio femminile (…) Nella migliore delle ipotesi, insomma, le squadre riceveranno po’ di visibilità ma non incasseranno nulla dai diritti. La Figc invece puntava a raccogliere quasi un milione (oltre alle spese)».

Per questo, consentiteci, l’ideologia non è di chi contesta la narrazione sul calcio femminile – non il calcio femminile stesso –, il suo livello o la sua capacità di muovere soldi e di sostenere il professionismo. Non sono più i tempi di Pasolini, che nell’ultima intervista della sua vita, rilasciata a Claudio Sabattini sul Guerin Sportivo, poteva permettersi di dire:

«Che le donne giochino a pallone è uno sgradevole mimetismo un po’ scimmiesco. Esse sono negate al calcio come Benvenuti o Monzon».

Parole che oggi sarebbero impronunciabili, nell’epoca in cui la differenza tra sessi è diventata più culturale che sociale, più di testa che di corpo. Dicevamo, però, che l’ideologia non è mai stata quella di chi avanzava dubbi o critiche, ma quella di chi ha voluto iniziare a costruire una piramide dalla punta. Di chi ha imposto l’esplosione di un movimento dall’alto, il quale invece avrebbe dovuto affermarsi con le sue forze e tempi molto più lunghi – oggi vige anche l’obbligo per qualsiasi club professionistico di allestire almeno una squadra under 17 femminile, pena sanzioni che comunque diversi club scelgono di pagare.

In definitiva, spiace che l’unica possiblità per ristabilire un minimo di verità storica, almeno di questi tempi, sia la legge (e l’offerta) del mercato. Quella, se libera e non condizionata, che piaccia o meno non tradisce mai.

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