Quanto è triste alzare una coppa in uno stadio vuoto?
Non mi sono mai piaciuti i videogiochi di calcio. Anzi, ad essi ho sempre preferito il Subbuteo. Per una ragione: i vari FIFA e PES peccano di credibilità. Ora non fraintendetemi, la verosimiglianza fisiognomica dei calciatori virtuali o la riproduzione delle loro divise sono impeccabili, nemmeno lontanamente comparabili alle pennellate frettolose e sbilenche – dettate dalla prospettiva dell’incremento dei guadagni al fronte del numero di squadre dipinte – delle casalinghe del Kent sulle miniature del gioco di Peter Adolph.
Ciò non esclude, però, che i videogiochi calcistici pecchino di verosimiglianza, imbrigliati nei loro codici di programmazione, nella loro proiezione univoca e corretta del calcio secondo la FIFA. Per questo motivo la rappresentazione dello sport nei videogiochi, che tanto ricorda il calcio ai tempi del Coronavirus, non ha mai fatto breccia nel cuore di chi scrive.
Anzi, porta alla mente cosa Francesco De Gregori cantava nella sua ‘Bufalo Bill‘: “Tra bufali e locomotiva la differenza salta agli occhi. La locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare e cadere.”
Ecco, se l’imperfetto ma fantasioso Subbuteo è il bufalo, scagliato in punta di indice sulla sua base semisferica ad inseguire il pallone ad essa sproporzionato; il videogioco, nonché il calcio al tempo del Covid-19, è la locomotiva di ‘Bufalo Bill’. Così sterile, asettico e moderno da risultare noioso, il gioco del pallone dunque è l’antitesi di cosa dovrebbe essere: estro, passione, sudore. Pardon, il sudore c’è ma solo perché si è follemente deciso di far terminare coppe e campionati in piena estate.
Questi tre tratti trovano sublimazione tanto sugli spalti che sul terreno di gioco, nell’interazione tra calciatori e tifosi. Nell’alchimia che innesca rimonte, che carica un portiere a parare un rigore, che porta certe curve ad essere definite il dodicesimo uomo in campo, nell’estasi condivisa al momento in cui si solleva un trofeo. Si, perché anche in assenza di tifosi a gremire gli spalti, nel calcio post-Covid-19 si sollevano ancora i trofei e guai ad astenersi dai consueti saltelli sul posto, fuochi d’artificio e luci stroboscopiche.
Se le celebrazioni dello scudetto bianconero non hanno scosso troppo i gamer più accaniti, non possono certo lasciare indifferenti coloro che sono abituati a vivere il calcio dagli spalti. Ronaldo e compagni saltellanti sul posto come compiti figurini Konami programmati a dovere, con tanto di arbitrario numero di bandiere di nazioni straniere legate sulle spalle a mo’ di mantello, coppa al cielo e coriandolata di circostanza da fare invidia ad un concerto di Jovanotti o dei Coldplay – altri contemporanei esempi di imposizione di una moralità unica e globale – sono lo specchio dell’ennesima assurdità del calcio-lockdown.
Un calcio modellato dall’alto sull’esempio dei videogiochi, per essere venduto ad un pubblico già iniziato allo sport virtuale. Se i tifosi si possono distinguere in due macro-categorie, gli amanti sanguigni del folklore campanilistico da una parte, gli ossessionati tutto tattica, performance, videogames, e calciomercato dall’altra, il tifoso del futuro appartiene senza dubbio al secondo gruppo sociale.
Niente più scale di Wembley tra pacche sulle spalle, niente più strattoni estatici sulla tribuna traboccante, niente più sciarpe donate dai tifosi al collo dei loro beniamini. Troppa calca, troppo folklore, troppa umanità. Via, un cartellone con gli sponsor di turno stampati in bella vista e posto a centrocampo davanti ad un palchetto posticcio da basamento delle statuette per torte nuziali può bastare. Magari ci fossero sempre le frustrazioni di Antonio Conte a dare un sussulto alle premiazioni delle coppe in tempo di Covid
Complice il Coronavirus, il calcio – dalla Danimarca all’Inghilterra – ha già provveduto a sostituire i tifosi in carne ed ossa con indistinguibili e piatte masse in 2-D, come in un videogioco. Nella dimensione liquida del calcio contemporaneo, le cerimonie di premiazione – già da anni conformate e codificate – non saranno più distinguibili tra di loro. Dalla Serie A alla Champions League, dalla F.A. Cup alla Coppa del Mondo, ci troveremo davanti a scenari generici e asettici, come se uno stadio valesse l’altro, come se un pubblico (assente o presente che sia) valesse l’altro.
Vecchio di più di 50 anni il Subbuteo, per assurdo, prevedeva tra i suoi accessori tifosi tridimensionali e personalizzabili attraverso colori e pennelli. Nel caso peggiore, la fantasia proiettava cori, gradoni gremiti, giungle di sciarpe e lanci di rotoli di carta igienica. Non mi si chieda dunque perché ne preferisca l’ingenua fantasia allo sterile conformismo dei videogiochi, nonché di un trofeo alzato per prassi da giocatori dagli occhi annacquati davanti seggiolini vuoti. Un gesto che a confronto i mimi della partita di tennis-happening artistico di Blow Up sembrano sfidarsi per un credibile e tesissimo match point sul centrale di Wimbledon. Magari ci fossero dei bug come nei videogiochi nel calcio che si sta delineando: vorrebbe dire che siamo ancora nella realtà!