Giovanni Poggi
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Giovanni Poggi
09 Gennaio 2020
Dan Peterson
La favolosa palla a spicchi del Nano Ghiacciato.
26 gennaio 1995, sesta giornata di ritorno del campionato di basket di Serie A2: al PalaFlaminio di Rimini i padroni di casa battono Udine per 147 a 99. Ad impressionare sul tabellone però, non sono né il roboante punteggio a favore dei romagnoli, né l’abissale divario finale tra le 2 squadre, bensì i clamorosi 87 punti realizzati da Carlton Myers, un record che lo consegna alla storia del basket italiano.
Sarebbe riduttivo riassumere la carriera dell’allora numero 10 biancorosso in una statistica che, seppur incredibile e molto probabilmente irripetibile, non renderebbe pienamente merito al talento, alla classe ed al carisma di uno dei più grandi cestisti italiani di sempre. Dopo più di venticinque anni da quella sera, nel basket tricolore nessun giocatore è riuscito ad avvicinarsi nemmeno timidamente a quella cifra, che all’epoca segnava la definitiva consacrazione verso un percorso straordinario, costellato da diversi primati individuali.
Britannico di nascita, Carlton viene avviato agli spartiti dal padre musicista, ma al suono del flauto preferisce l’inconfondibile rimbombo del pallone sul parquet. In palleggio da Londra alla Riviera Romagnola, si trasferisce definitivamente a Rimini con la madre, all’età di 9 anni. Sotto l’arco di Augusto si consolida il suo amore per la palla a spicchi, grazie alle lezioni impartite da Claudio Papini e dal Professor Rinaldi: nel 1988 Carlton è già pronto per il debutto in Serie A2, a soli diciassette anni.
Nelle sue prime quattro stagioni nella Rimini targata Marr, il bilancio è impressionante: doppia promozione dalla B1 alla Serie A, titolo Juniores e prima convocazione in Nazionale. Addirittura gli Azzurri pensano di impiegarlo nel torneo di qualificazione ai Giochi Olimpici di Barcellona, ma poi coach Gamba desiste: è chiaro che il talento non manca, ma il carattere è ancora acerbo. Ad ogni modo, in quell’estate sarà lui il protagonista del mercato del basket nostrano, oggetto dei desideri di Pesaro, Virtus Bologna e Milano.
Ad arrivare prima nella corsa a tre è la Scavolini, che si aggiudica il cartellino di Myers con la formula della comproprietà biennale. Nelle Marche Carlton esordisce in massima serie e conferma tutto il talento mostrato negli anni precedenti a Rimini; diviene il trascinatore dei biancorossi in campionato e in Europa, ma perde anche la prima finale scudetto della sua carriera. Il tricolore 93/94 è cucito sulla canotta della Virtus Bologna, avversario che affronterà più volte lungo la strada del trionfo, raccogliendo più dolori che gioie.
Al termine del biennio pesarese, nonostante la sua media realizzativa superi i venti punti, statistica che gli vale il titolo di MVP dell’ultimo campionato, il cartellino non viene riscattato. Nel frattempo, proprio in quell’estate si parla di un suo approdo in NBA, tanto che gli giunge l’invito per un provino da parte dei New York Knicks. Alle sirene della Grande Mela però, Carlton non risponde nemmeno.
“Perchè non sono andato nella NBA? Alla fine della stagione 93/94 ricevetti un fax dei New York Knicks che mi invitavano ad un try out. Non andai: anzi, non risposi proprio. Volevo stare a casa, concentrato su quello che stavo facendo: non mi interessava proprio”.
Così ecco l’occasione per il ritorno a Rimini, che nel frattempo è caduta di nuovo in A2. Ora il bùrdel è maturato, desideroso di dimostrare le stigmate del fuoriclasse ed il carisma che lo caratterizzeranno per il resto della carriera. Tuttavia, la sua volontà di primeggiare e di vincere a tutti costi, perfino catalizzando su di sé l’intero peso dell’attacco, non bastano ai romagnoli per ritrovare la massima serie; a fine stagione è tempo per un nuovo arrivederci.
La chiamata della Fortitudo Bologna cambia la vita e la carriera di Carlton, che scrive un glorioso capitolo nella storia della F scudata, divenendo in poco tempo idolo del pubblico biancoblu: “Oh mamma mamma mamma, sai perché mi batte il corazon.. ho visto Carlton Myers!”. Incontenibile ed inarrestabile, a Bologna Myers è un esplosione di talento, atletismo e determinazione. Un giocatore che sembra avanguardia rispetto agli altri, precursore di un basket che si evolve verso il nuovo millennio.
“Allenare Carlton è allenare l’uomo nuovo, l’uomo del futuro, l’uomo che è nero ma anche bianco, l’uomo della razza primigenia che mosse i suoi passi da un unico ceppo e che un giorno riunirà tutti i colori e tutti i cuori nell’uomo nuovo, nell’uomo giusto”. Valerio Bianchini, coach Fortitudo Bologna 1996-1998
Carlton si consacra a Basket City, nonostante il suo palmares fatichi a riempirsi nei primi anni in biancoblu. Dopo le sconfitte in finale con Milano nel ’96 e con Treviso l’anno successivo, finalmente arriva il trionfo in Coppa Italia nel ’98; nell’immaginario dei tifosi il primo trofeo della storia della Effe è riassunto nell’immagine del numero 10 festante a fine gara sul tavolo a bordo campo. La prima coccarda sarà però una gioia effimera, cancellata pochi mesi dopo dal tiro da 4 di Sasha Danilovic, tanto nemico sul parquet quanto amico nella vita, con cui sarà protagonista di memorabili battaglie.
La batosta della terza finale consecutiva persa non destabilizza Carlton che, l’estate successiva, vola agli Europei di Francia, dove vince una storica medaglia d’oro da capitano degli Azzurri. Eppure il meglio deve ancora venire, perché è nel 2000 che Myers tocca il punto più alto della sua carriera: il 30 maggio diventa per la prima volta campione d’Italia con la Fortitudo, quindi è scelto come primo portabandiera di colore per le Olimpiadi di Sidney. Una nomina che incarna l’idea di un paese senza più pregiudizi ed aperto all’integrazione, promossa in prima persona dal Presidente del Coni Petrucci, a cui però non sono risparmiate critiche.
“Fui io a sceglierlo come portabandiera per le Olimpiadi di Sidney 2000, nonostante forse non fosse il principale atleta italiano di quella spedizione. Mi attirai qualche critica, ma avevo visto in lui un grande carisma, cosa che riconobbero anche quei tanti atleti che alle Olimpiadi gli chiedevano gli autografi” Gianni Petrucci, 30 marzo 2011, il giorno del ritiro di Carlton Myers
Rientrato dalla spedizione olimpica, Carlton delizia il pubblico del Paladozza ancora un’altra stagione, segnando a raffica; il suo tiro in sospensione, galleggiando in aria, diventerà iconico ed impossibile da dimenticare per gli appassionati biancoblu. L’ultima partita di Myers con la Effe è una gara 3 di finale scudetto, di nuovo contro la Virtus: alla sua uscita dal campo per cinque falli, anche i tifosi bianconeri si alzano in piedi ad applaudirlo, tributandogli un’ovazione da brividi.
Roma, Siena e Valladolid sono le tappe successive del suo percorso cestistico, prima del ritorno a Pesaro, dove centra la doppia promozione dalla B alla Serie A1, per la seconda volta in carriera. La stagione 2009/10 è l’ultima corsa e Carlton chiude proprio dove aveva iniziato, a Rimini, sua patria adottiva. Si ritira ufficialmente il giorno del suo quarantesimo compleanno, indicendo una conferenza stampa presso la Comunità di San Patrignano. Al centro di recupero per tossicodipendenti rimarrà particolarmente legato, prestando il volto per le diverse campagne e vestendo la canotta della squadra comunitaria per una partita del campionato di serie C 2011/12.
Myers è stato considerato un giocatore totale, tanto reattivo ed aggressivo in difesa, quanto feroce ed elegante nell’attaccare il ferro col suo enorme talento. Per alcuni coach allenarlo è stata una vera sfida, a causa dell’enorme impatto tecnico ed emotivo che aveva sui compagni di squadra, eppure nessuno di loro si sarebbe mai privato di un leader così. Infatti sin dagli inizi della sua carriera, Carlton è stato il giocatore a cui affidare tutte le responsabilità, come si fa con i più grandi: l’uomo dell’ultimo tiro, nel bene e nel male.
“Myers è stato il Michael Jordan italiano, formidabile in attacco e al tiro, ma altrettanto forte come difensore” Bosha Tanjevic, coach della Nazionale italiana 1997-2001
Una volta Haywoode Workman, suo compagno di squadra ai tempi di Pesaro, rispondendo ad una domanda sul sistema di gioco della Scavolini, ha risposto: «It’s pretty simple. It’s about giving the ball to Carlton so that he decides what to do with it at the right time», ovvero: È piuttosto semplice. Si tratta di dare la palla a Carlton in modo che possa decidere cosa farci al momento giusto. Un vincente in tutto e per tutto, concludiamo noi, e un campione che ha lasciato un segno ineguagliabile nella storia della palla a spicchi tricolore.