Tifo
02 Marzo 2023

Cesena-Reggiana, il derby non ha categorie

Uno spettacolo fuori tempo massimo.

La Via Emilia (Aemilia in latino) era una delle principali strade consolari italiane. Tracciati voluti da diversi consoli romani per unire le principali aree commerciali della Penisola e favorire il transito e lo scambio di merci. Un sistema pressoché perfetto che permise all’Impero di espandersi e divenire forte e longevo. Sia dal punto di vista economico che sotto l’aspetto geopolitico. Il percorso originale univa Rimini (Ariminum) a Piacenza (Placentia) intersecandosi con la Via Flaminia (da Roma a Rimini) e la Via Postumia (da Genova ad Aquileia).

La sua, come quella delle consorelle, è una storia gloriosa, che rientra giocoforza nei più importanti aspetti evolutivi della Pianura Padana e delle città in essa costruite. Oggi il suo corso segna l’unione tra la maggior parte dei capoluoghi di provincia dell’Emilia Romagna e, proprio come con altre strade romane, è stato riutilizzato per costruire moderne e pedisseque lingue d’asfalto e ferrovie. Nella fattispecie è la Strada Statale 9 a viaggiare parallelamente alla sua antenata, estendendosi però fino a San Donato Milanese.

Lungo questa arteria si dipana gran parte della storia regionale e, giocoforza, si sviluppano svariati aneddoti di calcio e vita vissuta. Perché in fondo una strada è sempre il preludio a una narrativa di appartenenza, identità e tradizioni.

Nel mondo del tifo ci sono state e ci sono curve che hanno stampigliato sui loro stendardi il nome della via che attraversando la propria città ne ha favorito la floridità, mentre chi è avvezzo a questioni di tifo, sin da piccolo, oltre a osservare il paesaggio circostante, durante un viaggio si divertiva a leggere le indicazioni blu (su strada statale) e verdi (sulle autostrade), i cartelli riportanti l’inizio o la fine di un confine regionale/provinciale e a immaginare quanto quel lembo di asfalto fosse capace di unire luoghi, persone e modi di vivere spesso completamente sconnessi tra loro. Nel caso della Via Emilia le ragioni campanilistiche sono sempre state tante e ricche di significato. Basti pensare che a essere chiamate in gioco sono due regioni “storiche” che ne formano una vera e propria. E in virtù di ciò neanche ci sarebbe bisogno di specificare la rivalità esistente tra queste aree divise dal fiume Sillaro.

Tutto l’orgoglio di appartenenza del pubblico granata durante l’ultimo derby Cesena vs Reggiana (foto Simone Meloni)

Derby della Via Emilia è un appellativo utilizzato in diverse occasioni. Ed è un qualcosa che manda sempre in visibilio le due fazioni partecipanti. Se poi, come in questa occasione, le piazze chiamate in causa sono Cesena e Reggio Emilia, allora non si può far altro che sedersi e ammirare lo spettacolo prodotto da uno stadio – il Manuzzi – che in Italia ha pochi eguali in fatto di bellezza strutturale, fruibilità calcistica e calore. Sì perché Emilia contro Romagna è davvero un must dello sport (non solo del calcio, si notino gli infuocati incontri di basket tra le bolognesi e Forlì o Rimini) e rivendica appieno la fiera appartenenza dei rispettivi popoli.

Quando in Italia si guarda a questo genere di argomenti non bisogna mai liquidarli come semplice sfottò, ma analizzarne e rispettarne il passato e la radice antropologica. Peraltro le due regioni, nella loro storicità, nel loro patrimonio linguistico e territoriale abbracciano anche aree che oggigiorno si trovano al di fuori dei propri confini. Per l’Emilia vanno citate alcune zone dell’Oltrepò Pavese, mentre per la Romagna vengono conteggiati – oltre alla Repubblica di San Marino – anche alcuni comuni marchigiani e toscani.



La principale differenza comunque è storica e conseguentemente linguistica: dalla caduta dell’Impero Romano fino all’Unità d’Italia, Emilia e Romagna sono sempre state divise, con le città emiliane organizzate in comuni e ducati più o meno indipendenti e quelle romagnole sotto l’Impero Bizantino e poi sotto lo Stato della Chiesa. Volendosi infine appellare agli stereotipi (che parzialmente qualche verità la raccontano sempre), vox populi vuole che la gente d’Emilia sia più chiusa e impegnata in nobili lavori nel contado, mentre la gente di Romagna – anche e soprattutto grazie alla presenza del mare – più estroversa e portata al commercio con l’esterno.

Sono ovviamente etichette, ma anche e soprattutto su queste giocano striscioni e cori dei tifosi.

La realtà parla di due mondi diversi e uguali, almeno se parliamo di accoglienza, qualità della vita e conservazione di tradizioni che hanno reso celebre il nostro Paese all’estero! Potremmo aprire mille parentesi. Dal cibo, al vino, passando per il dialetto, ma servirebbe scrivere un articolo apposito ed estraniarsi dal contesto calcistico. Pertanto limitiamoci a constatare quanto alla base di ogni rivalità che si rispetti ci siano anche e soprattutto queste ragioni. Siamo in Italia, vale sempre la pena ricordare su cosa ci facciamo la “guerra” (sic!).

cesena reggiana tifosi di casa
Tutto il calore dei tifosi di casa (foto Simone Meloni)

Prima del fischio d’inizio la classifica vede la Reggiana in testa con quattro punti di vantaggio sui bianconeri. Una situazione che fa di questa sfida un crocevia fondamentale per la stagione, richiamando allo stadio il pubblico delle grandissime occasioni. Per una tifoseria – quella cesenate – che generalmente porta novemila spettatori di media, è quasi naturale andare in doppia cifra con il dato finale che riporterà 17.130 paganti, di cui 2.715 nel settore ospiti.

Come direbbero gli addetti ai lavori: dati da categoria superiore. Come diremmo noi: spettacolo garantito, alla faccia di dirette televisive, cerimoniali insulsi della Serie A e continue scelte volte a scoraggiare l’afflusso del pubblico allo stadio (vedasi divieti di trasferta, biglietti a prezzi esorbitanti e orari fuori da ogni logica. Solo per citarne tre).

Per varie ragioni questa è una sfida che aggredisce palesemente il cosiddetto “calcio moderno”. Da una parte abbiamo quel Cesena che conta ben tredici campionati di Serie A (il primo nella stagione 1973-1974, con la promozione ottenuta l’anno precedente da Gigi Radice – sotto la presidenza del compianto Dino Manuzzi, a cui poi verrà dedicato lo stadio –, l’ultimo nel 2014/15), una partecipazione alla Coppa Uefa (stagione 1976-1977, dopo il sesto posto ottenuto sotto la guida di Giuseppe Marchioro).

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Si gioca Cesena vs Reggiana, ma c’è spazio anche per un sentito ricordo del Pirata (foto Simone Meloni)

Ma il Cesena conta anche e soprattutto una sfilza di tecnici e giocatori autori di carriere illustri a livello nazionale e non solo. Si pensi al solo Marcello Lippi. Mentre per gli amanti dei bomber di provincia non possiamo far a meno di citare il mitico Dario Hubner. Menzione speciale anche per Giampiero Ceccarelli, che sebbene non abbia conosciuto gli onori del calcio internazionale ha collezionato ben 520 presenze in maglia bianconera. Quando si dice i giocatori di una volta!

Cesena è anche quella piazza che nel bene e nel male (se si prendono in considerazione gli ultimi anni) ha goduto perlopiù continuamente di una gestione familiare. Quando sul finire dei ‘70, infatti, Manuzzi cedette la società, a prenderne il controllo fu il nipote Edmeo Lugaresi, che poi a sua volta passò le consegne al figlio, a inizio anni duemila, quando il club era ormai scivolato rovinosamente in Serie C. Percorso calcistico del nuovo millennio che è stato poi edulcorato dal ritorno in Serie A e da una certa continuità in cadetteria, almeno fino al fallimento del 2018 – giunto dopo la penalizzazione – che ha costretto la compagine romagnola a ricominciare dalla Serie D.

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La splendida sciarpata dei tifosi reggiani (foto Simone Meloni)

Dall’altra parte c’è invece la Reggiana, le cui vicissitudini calcistiche non avrebbero neanche bisogno di presentazioni per gli amanti del calcio “minore” (che poi è minore solo nelle categorie di appartenenza). Quando si pensa ai granata, ancor prima dei tre campionati in Serie A disputati a inizio anni ’90, viene in mente l’ormai annosa “questione Sassuolo”. Vicenda che ha di fatto defraudato gli emiliani del proprio stadio ad appannaggio del club neroverde ma che, paradossalmente, ha creato ancor più senso di appartenenza e voglia di rivalsa presso i tifosi della Regia.

È sufficiente guardare i numeri portati dalla squadra di Diana all’ex Città del Tricolore e quelli portati dal sodalizio griffato Mapei per avere un’idea chiara su chi abbia fallito (almeno se parliamo di attaccamento della città, cosa che non si compra neanche portando Juventus, Milan e Inter o vendendo abbonamenti a prezzi stracciati) e chi rappresenti la sfera di cuoio a Reggio Emilia.

Supporter che negli ultimi trent’anni hanno ingoiato un’infinità di bocconi amari tra la presenza ingombrante e politicamente mai osteggiata (anzi) del Sassuolo, fallimenti con ripartenze dal dilettantismo e pessimi risultati sportivi. Cartina al tornasole del fato reggiano è stata la promozione in Serie B conquistata nel 2019-2020 dopo il vittorioso spareggio con il Bari; momento di massimo giubilo calcistico che la città non ha potuto vivere a causa delle restrizioni Covid e conseguente ridiscesa in Serie C l’anno successivo, rendendo praticamente quasi nullo il ritorno tra i cadetti, almeno a livello di sentimento popolare.



Pertanto, tra rivalità di campanile, gloria calcistica, tifoserie calde e viscerali, in questa serata di fine febbraio ci sono solo gli ingredienti per assistere a un grande spettacolo. E questo lo si percepisce anche avvicinandosi al Manuzzi, con il traffico che chilometro dopo chilometro si fa sempre più congestionato. Quando si pensa ai tifosi del Cavalluccio Marino va fatto un importante ragionamento: la militanza in A e i tanti campionati di B hanno fatto proseliti in tutta la Romagna, tanto che per molti i bianconeri rappresentano una sorta di “nazionale romagnola”, da contrapporre agli storici marchi dell’Emilia (cominciando dall’odiata Bologna) che hanno sempre stazionato tra A e B.

Non me ne vogliano, chiaramente, i tifosi di Rimini e Ravenna, che restano comunque importanti rappresentative romagnole e che negli anni si sono coperte d’onore disputando diversi tornei di cadetteria e contendendo, quando possibile, lo scettro al Cesena in derby infuocati e belli da vedere per chi ama questo sport nella sua accezione più popolare e pura (vedasi anche quest’anno la sfida tra biancorossi riminesi e bianconeri che ha fatto registrare oltre 14.000 spettatori al Manuzzi e il sold out al Romeo Neri). È sufficiente dare un’occhiata agli striscioni e alle pezze appese in tutto lo stadio per capire quanto in tutta questa parte di regione sia diffusa la fede per il Cesena.

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La splendida sciarpata, simbolo di amore incondizionato dei tifosi del Cesena, nonostante la sconfitta (foto di Simone Meloni)

In questo quadro non è pertanto sorprendente ascoltare gli speaker irrorare le note di “Romagna Capitale” e ammirare la Curva Mare mentre si colora con una fitta sciarpata su “Romagna Mia”, entrambi cavalli di battaglia dell’indimenticato Raoul Casadei. Come un suo cavallo di battaglia, spesso e volentieri cantato dai cesenati è quel “Romagna e Sangiovese” le cui strofe

(Romagna e Sangiovese, sei sempre nel mio cuore/Quest’aria di paese ci invita a far l’amore/La briscola e il tresette, si gioca all’osteria/E col bicchiere in mano si canta in allegria) si pennellano appieno sulla sagoma di questa gente.

Un gigantesco cavalluccio marino si staglia al centro della rotatoria che conduce allo stadio. Mentre un ingente schieramento di polizia è appostato pochi metri più in là. Da fuori si percepisce che lo sfottò è già in atto, e anche che qualche torcia è stata accesa.

Il video-reportage completo sul nostro canale YouTube

Il pomeriggio che sembrava quasi primaverile si è trasformato in una serata umida, eppure gli oltre diciassettemila del Manuzzi non sembrano importarsene. A proposito, come ben ricordano alcuni cartelli diffusi attorno all’impianto, ci troviamo nel quartiere Fiorenzuola e, più precisamente, nella zona chiamata La Fiorita. Zona di cui l’impianto (inaugurato nel 1957) ha portato il nome fino al 1982, quando alla morte del presidentissimo Dino Manuzzi assunse l’attuale denominazione. Omologato attualmente per 20.194 spettatori, in passato – con misure meno stringenti – registrò ben 35.991 presenze in occasione di un Cesena-Milan terminato 1-0, nel febbraio del 1974. Altra epoca e altra concezione di sicurezza, evidentemente!

Il Manuzzi di oggi è figlio della profonda (e impeccabile) ristrutturazione datata 1988, che ha eliminato la pista d’atletica tramutando lo stadio in un vero e proprio gioiellino all’inglese. E l’aria che vi si respira questa sera è di quelle che ogni amante del football dovrebbe almeno una volta provare. Lungo la Via Emilia il Girone B della Serie C conosce il proprio splendore e si inebria di gloria e bellezza degna della tradizione italiana. Lungo la Via Emilia questa sera si consuma uno degli atti più passionali di quest’annata.

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La splendida accoglienza dei tifosi del Cesena agli ospiti reggiani (foto Simone Meloni)

L’anello superiore della Curva Nord, quello dedicato agli ospiti, si ricopre con un telone su cui giganteggia il nome di Reggio Emilia. Al di sotto si accendono alcune torce, mentre una volta calato ecco gli storici striscioni dei supporter granata far capolino: Gruppo Vandelli e Teste Quadre. Quest’ultimo è il nomignolo con cui viene appellato il popolo reggiano nel volgo popolare, per rimarcare la sua testardaggine.

Ed effettivamente neanche possiamo dar torto a questo luogo comune pensando a tutte le delusioni patite e all’indirettamente proporzionale passione dimostrata! Resta, poi, un nome originale all’interno di un movimento ultras che spesso e volentieri pecca di fantasia. Storia diversa per il Gruppo Vandelli (ormai da anni presente nei Distinti dell’ex Città del Tricolore) che deve il suo nome all’imprenditore ceramico Giovanni Vandelli, presidente dei granata negli anni ottanta che, sebbene non abbia ottenuto grandi risultati sportivi, riuscì comunque a istaurare un grande rapporto con la piazza. Da segnalare, inoltre, l’ampia presenza dei gemellati vicentini.

Cesena Reggiana Andy Capp
Val d’Enza Alcolica, uno dei tanti gruppi ultras italiani a portare nel proprio simbolo quello di Andy Capp (foto Simone Meloni)

Come sempre a far da corollario alla tifoseria emiliana ci sono diversi tricolori. E la domanda di qualcuno è sempre la stessa: “Perché hanno le bandiere dell’Ungheria?”. Quelle che a prima vista possono sembrare bandiere magiare, però, altro non sono che riproduzioni del primo tricolore italiano, nato a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797. Quel giorno i rappresentanti delle quattro città di Reggio Emilia, Modena, Bologna e Ferrara, riuniti in Congresso, adottarono ufficialmente il tricolore bianco, rosso e verde come vessillo nazionale della Repubblica Cispadana, il nuovo stato sorto sotto la protezione delle armi francesi. Uno dei tanti richiami storici utilizzati dagli ultras per esaltare il nome e la figura della propria città.

A proposito di nomi particolari dei gruppi e della loro genesi, sull’altra sponda – quella cesenate – non passa mai inosservato il lungo striscione delle Weisschwarz Brigaden, le Brigate Bianconere. Già, ma perché questo nome in tedesco?

Al cospetto di qualunque pensiero si possa fare, la risposta è molto semplice: Walter Schachner, attaccante austriaco che in maglia bianconera militò dal 1981 (anno di fondazione del gruppo) al 1983 realizzando 17 reti in 58 presenze. Per quanto oggi possa sembrare strano, non era affatto raro in quegli anni che un gruppo dedicasse il proprio nome a un giocatore. Basti pensare agli Ultras Tito Cucchiaroni, leggendaria sigla della Sud doriana che deve il proprio appellativo all’omonimo attaccante scomparso prematuramente a 43 anni dopo aver militato nel Milan e nella Samp a cavallo tra i ’50 e i ’60.

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L’accoglienza della tifoseria casalinga al derby dell’anno (foto Simone Meloni)

Il Manuzzi accoglie l’ingresso delle squadre in campo mostrando migliaia di cartoncini argentati che, col probabile tentativo di richiamare il bagliore delle stelle, vengono supportati dalla frase: “Questo è il cielo di Romagna, questo è il popolo che hai fatto innamorare… uniti non avremo ostacoli, siamo qui per sostenerti, combatti senza paura!”. Un inno alla fede degli aficionados cesenati, che fa il paio con il toccante striscione esposto nel secondo tempo: “Da sempre e per sempre Marco Pantani presente”. Un messaggio che ogni anno, in prossimità di San Valentino (il campione nato in riva al Savio si tolse la vita il 14 febbraio 2004) viene riproposto dalla Curva Mare. Per non dimenticare uno dei suoi più illustri figli!

Per dare l’idea di quanto il pubblico cesenate sia eterogeneo e cerchi in ogni settore di spingere la propria squadra, vanno menzionati anche i ragazzi che seguono la partita in Distinti, lato settore ospiti. Stasera un bel gruppo attivo – spesso impegnato nel provocare i dirimpettai – e dalla chiara matrice casual. Senza pezze o striscioni, ma con tanta voce e voglia di mettere pepe alla disputa delle gradinate.

Il confronto è coro su coro, sfottò su sfottò. A tal proposito risalta, ovviamente, la classica “Romagna Mia” rivisitata dalle tifoserie emiliane o generalmente rivali di quelle romagnole. Strofe che vengono storpiate provocando la reazione del pubblico di casa. Anche questo è parte dello spettacolo e manco a dirlo, nessuno si offende ma risponde per le rime. Se sugli spalti la disputa è bella e avvincente, in campo l’incontro è ruvido, con un Cesena che cerca di pungere, va vicino al gol ma alla fine capitola subendo una rete per frazione di gioco (Nardi e Varela) e siglando la marcatura della bandiera a tempo ormai concluso, ad opera di Mustacchio.

È un successo pesantissimo per la Regia, una vittoria che potrebbe essere la pietra tombale sul campionato e che risulta come una vera e propria mazzata per i romagnoli.

In quest’ottica l’esultanza sfrenata del settore ospiti è più che comprensibile, così come le decine di ragazzi e ragazze che si arrampicano sulla recinzione per abbracciare i propri giocatori. In un momento di spensierato giubilo, che ci ricorda quanto questo sport debba essere lasciato ai legittimi proprietari: i tifosi. Senza di essi – sarà pure demagogia – tutto quello che avviene in campo non avrebbe nessun senso di esistere. E serate come questa lo ricordano, qualora ce ne fosse bisogno.


C’è gloria anche per gli sconfitti, che raccolgono l’applauso della propria gente, comunque soddisfatta dalla prova di carattere e, più in generale, dagli ultimi mesi di una squadra che paga l’inizio di campionato claudicante. Le sciarpe si tendono al cielo e le ugole onorano la terra di Romagna, nell’ultimo atto d’orgoglio della serata.

Il Manuzzi si svuota lentamente e le strade attorno si congestionano. Una masnada di treni corre alle spalle del settore ospiti, molti dalla direttrice adriatica risalgono verso Bologna e Milano, altri scendono verso il profondo sud. Un movimento continuo che richiama appieno l’operatività di quest’area geografica e continua a raccontarci perché da millenni sia crocevia di mercanti, lavoratori, artisti e senza meta. Ci racconta il perché anche qua il calcio abbia tracciato un solco fondamentale, che ormai va oltre qualsiasi risultato e fa nascere storie di passioni e d’orgoglio.

La notte romagnola adesso ha inghiottito tutto ciò. Passata mezzanotte non si sente quasi più nessun rumore in giro.

Orgogliosamente penso che sarà proprio una combo di quelle strade consolari con cui ho iniziato questo articolo a riportarmi a casa. Un viaggio forse troppo lungo rispetto alla distanza tra Cesena e Roma, che però mi dà l’opportunità di passare dalla Via Emilia alla Flaminia, osservare il sole sorgere sulla sponda adriatica del nostro Paese e poi raggiungere la Capitale tagliando in due il massiccio dell’Appennino. Viaggiare lentamente può sempre regalare emozioni. Così come riscoprire ogni volta in uno stadio la bellezza di quella folla che prende la penna e scrive la storia. Ancor prima di ogni cronaca sportiva c’è il fermo immagine dei tifosi a farla da padrone. Padroni del calcio. Malgrado tutto.

Gruppo MAGOG

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