Il caso plusvalenze ha mostrato il lato peggiore della giustizia sportiva in Italia.
Quando si arriva al fondo, si può sempre cominciare a scavare. Dopo tre mesi (era il 30 gennaio) è cambiata di nuovo la classifica della Juventus e della Serie A, ma potrebbe non essere l’ultima volta. L’assurdo sta raggiungendo vette finora inesplorate: un primo processo si conclude il 27 maggio 2022 con l’assoluzione della Juventus per un fatto (conosciamo tutti quale fatto, più o meno); la Corte d’appello Federale revoca la pronuncia del maggio 2022 e condanna (tra gli altri) la Juventus a scontare 15 punti nella stagione sportiva in corso.
Ieri, il Collegio di Garanzia del CONI, annulla con rinvio la sentenza del 30 gennaio 2023.
Un po’ di contesto tecnico: “revocazione”, nel caso di specie (in altri ordinamenti potreste sentir parlare di “revisione”), vuol dire appunto revocare una sentenza che sarebbe già definitiva, salvo appunto rarissime ipotesi di nuova discussione della materia; “annullamento con rinvio” vuol dire invece annullare la sentenza ma rinviando il processo a chi ha emesso la sentenza annullata, affinché rifaccia proprio il processo eliminando i vizi che hanno determinato l’annullamento. Fatte queste doverose premesse, entriamo un po’ più nel merito, posto che sarebbe più corretto attendere le motivazioni della sentenza di ieri (che arriveranno pare entro 15 giorni) e ricapitoliamo i ragionamenti che si sono succeduti nel tempo.
Piccola cronistoria del caso plusvalenze Juventus
Con la sentenza del 27 maggio 2022, la Corte federale di Appello conferma la prima sentenza intercorsa sulla vicenda¸ nella quale il Tribunale federale riteneva non punibili tutti i soggetti deferiti (praticamente tutto il CdA della Juventus, alcuni dirigenti di altri club e molti club stessi tra cui Juventus e Napoli) poiché, a suo dire, solo alcune delle cessioni esaminate presentavano quelle caratteristiche che la stessa Procura federale aveva individuato quali elementi sintomatici di operazioni fittizie e che, benché sospette, dette cessioni (e relative plusvalenze) non superavano la soglia della ragionevole certezza in termini, appunto, di fittizietà.
Secondo il Tribunale il metodo di valutazione adottato dalla Procura federale poteva essere ritenuto un metodo come un altro, senza carattere di imperatività (nel senso che, qualora il metodo suggerito dalla Procura fosse stato disatteso, ciò non avrebbe dovuto portare ad alcuna conseguenza). Valeva, per il Tribunale, il libero mercato ed il concetto di “libere negoziazioni”. In soldoni, il Tribunale riteneva non giudicabile la valutazione fatta da due squadre all’atto di realizzare un’operazione di compravendita di un calciatore.
In realtà la Corte di secondo grado correggeva leggermente l’iter motivazionale del Tribunale di primo grado, stabilendo che un metodo di valutazione del giocatore dovesse comunque adottarsi, pur concordando che non ve ne fosse uno specifico da seguire. Anzi, a tal proposito e senza troppi giri di parole, la Corte federale rilevava “la mancanza di una pre-definizione di criteri ai quali fare riferimento” e la mancanza della “premessa maggiore indispensabile in ogni sillogismo giudiziale: la norma espressa”.
Praticamente, diceva la Corte federale (di secondo grado, ribadiamo), non esiste una norma che indichi i criteri da utilizzare per la valutazione di un giocatore (del suo cartellino, per meglio dire) e, di conseguenza, non è punibile l’utilizzo di un criterio particolare salvo che non manchi del tutto di qualsivoglia fondamento (clamoroso il passaggio in cui la Corte, testualmente, afferma “non è possibile verificare se le modalità della loro formazione (ndr delle valutazioni dei calciatori) rispettino delle regole codificate perché non esistenti”). La sentenza del 30 gennaio 2023, invece (quella dei 15 punti di penalizzazione inflitti alla Juventus) muove dalla richiesta di revocazione della Procura della sentenza di cui abbiamo parlato finora (27 maggio 2022). In pratica, la Procura chiede di “rifare il processo” perché sono emersi elementi nuovi, sopravvenuti rispetto al processo appunto concluso, la cui conoscenza avrebbe certamente comportato una diversa pronuncia.
I recenti sviluppi
L’istituto è previsto anche nell’ordinamento civile e in quello penale. In quello sportivo, lo prevede l’art. 63, comma 1, lett. d), Codice di Giustizia Sportiva. Naturalmente, la Procura federale si riferiva agli elementi emersi dall’indagine penale della Procura della Repubblica di Torino, ragione per la quale la revocazione della prima sentenza viene chiesta solo per la Juventus, i suoi dirigenti e per i soggetti che con questa hanno avuto a che fare nell’ambito delle operazioni contestate.
La Corte federale, dunque, ritenendo fondata la richiesta della Procura, revocava la sentenza. Sul punto, un passaggio che consente una sintesi del ragionamento della Corte così chiariva: “Ma ciò che oggi è mutato è proprio il quadro fattuale nel quale ci si muove, che è radicalmente diverso da quello esaminato dalla decisione revocata. Non si tratta di discutere della legittimità di un determinato valore in assoluto. Né di operare una valutazione del prezzo scambiato. Si tratta invece di valutare comportamenti (scorretti) e gli effetti di tali comportamenti sistematici e ripetuti sul bilancio.”.
In pratica, per la Corte rimaneva intatta la considerazione già spesa sull’assenza di una norma che indicasse un metodo corretto (o insomma applicabile) di valutazione dei calciatori. Ma rimaneva ferma anche l’analoga considerazione che comunque un metodo dovesse essere seguito, e che la presenza di elementi sintomatici dell’artificiosità della valutazione avrebbero sconfessato la stessa, a prescindere dal metodo economico utilizzato per realizzarla.
In pratica, se prima c’era solo un sospetto di artificiosità, con le intercettazioni copiose ed il cd. Libro Nero di FP – Fabio Paratici – fornite dalla Procura della Repubblica, tale l’artificiosità delle operazioni fino ad allora solo sospettata era diventa del tutto provata, a prescindere dal metodo economico (anzi ritenuto del tutto assente) con il quale si erano formati i valori dei calciatori oggetto delle operazioni contestate. In tutta la sentenza, la Corte si spertica nel ricostruire il perché la precedente pronuncia andasse revocata. Parla delle evidenze emerse dalle indagini della Procura di Torino e dalle segnalazioni di Consob. Insiste e persiste nell’argomentare del perché il processo sportivo debba essere rifatto.
In estrema sintesi, per la Corte, emergeva che le cessioni contabilizzate come plusvalenze dalla Juventus fossero in realtà permute (scambi puri con altri giocatori) a costo e guadagno zero. La Juventus non ha posto alcun metodo alla base della determinazione dei valori dei giocatori, avendoli scelti casualmente ai soli fini dello scambio. Tutto ciò palesava l’intenzione di realizzare operazioni fittizie, quindi la sentenza precedente andava revocata in favore di una condanna per violazione dell’art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva.
Però (lo scriviamo perché è rilevante per la sentenza di ieri), nonostante questo ragionamento sviluppato in circa 15 pagine (dopo altre 15 di premesse), la Corte si limita a statuire che “Quanto all’apporto causale dei singoli deferiti, esso deve dirsi provato. Per quanto concerne la responsabilità della Juventus S.p.A., di Fabio Paratici, di Federico Cherubini, di Andrea Agnelli e dello stesso Maurizio Arrivabene si rinvia al corpo delle pagine precedenti. Per ciò che concerne gli altri amministratori della FC Juventus S.p.A. è invece sufficiente riferirsi alla già richiamata consapevolezza diffusa che le intercettazioni hanno dimostrato. Alla luce delle risultanze complessive prodotte dalla Procura federale si deve confermare che il consiglio di amministrazione nel suo complesso ha condiviso, o quanto meno sopportato, la violazione dei principi sportivi.”.
Pertanto, in considerazione di vari parametri anch’essi elencati, la Corte comminava le sanzioni poi note a tutti (le inibizioni al CdA della Juventus e la penalizzazione in corso di stagione alla squadra).
Con la sentenza del 20 aprile 2023, il Collegio di Garanzia del CONI, in parole povere, ritiene viziato l’iter argomentativo della Corte federale di Appello. Ed è presto detto perché. Nonostante le evidenze delle condotte illecite (o almeno sportivamente “sleali”), uno dei massimi principi costituzionali italiani prevede che, affinché si affligga un sanzione, deve esserci nesso causale tra la condotta vietata e il danno patito dai danneggiati oppure tra la condotta vietata ed il vantaggio conseguito da chi l’ha posta in essere. Il nesso causale determina se e con quale intensità il danno patito da terzi o il vantaggio conseguito dai soggetti “incriminati” è diretta od indiretta conseguenza della condotta contestata.
In quest’ottica, il dispositivo della sentenza di ieri, così stabilisce: “rinvia alla Corte Federale di Appello perché, in diversa composizione, rinnovi la sua valutazione, in particolare, in ordine alla determinazione dell’apporto causale dei singoli amministratori, fornendone adeguata motivazione e traendone le eventuali conseguenze anche in ordine alla sanzione irrogata a carico della società Juventus F.C. S.p.A.”.
In sintesi
È facile ipotizzare, pur con la doverosa precisazione che di ipotesi si tratta (finché non vengono pubblicate le motivazioni della sentenza, non si può far altro che ipotizzare, con buona pace dei soloni dell’ultima ora), che il Collegio non abbia condiviso il modo spiccio con il quale la Corte federale ha liquidato proprio l’apporto causale delle condotte incriminate ai dirigenti con il vantaggio conseguito da essi e dalla Juventus, specie vista la (pesante) sanzione irrogata a quest’ultima in ambito squisitamente sportivo (i 15 punti di penalizzazione). Il tutto, senza nulla stabilire nel merito della vicenda.
L’estrema sintesi è la seguente:
1. La Procura federale deferisce per sospetta fittizietà delle plusvalenze iscritte a bilancio dalla Juventus (per quello che interessa, tralasciando gli altri visti gli esiti e le loro successive esclusioni);
2. Sia il Tribunale che la Corte federali (primo e secondo grado “di merito” di giustizia sportiva) ritengono non provata la fittizietà delle plusvalenze, anche perché non esiste una norma che indichi un metodo inderogabile per quantificare il valore del cartellino di un calciatore, posto che non può comunque ammettersi una quantificazione slegata da qualsivoglia criterio;
3. La Procura federale chiede la revocazione della sentenza sulla base degli elementi nuovi emersi dalle indagini della Procura della Repubblica e della Consob;
4. La Corte federale di Appello revoca la sentenza, parla di evidenze (e non più semplici sospetti) sulla fittizietà delle operazioni, quindi di violazione dei principi di lealtà e correttezza (art. 4, comma 1, CGS) e, con due righe sul punto, ritiene provato che un (non meglio precisato vantaggio) della Juventus è stato conseguito come diretta conseguenza delle condotte sleali dei propri dirigenti. Pertanto, condanna quest’ultima a 15 punti di penalizzazione (oltre a tutte le inibizioni);
5. Il Collegio di Garanzia del CONI (organo di legittimità della giustizia sportiva, quindi chiamato a valutare solo la correttezza del procedimento e non il merito di quanto risultante da esso), annulla la nuova sentenza per vizio di motivazione specie nella parte riguardante l’apporto causale tra la condotta dei dirigenti della Juventus ed il vantaggio conseguito da quest’ultima, a maggior ragione vista la pesante penalizzazione inflitta a quest’ultima in termini squisitamente sportivi. Nulla dice, almeno nel dispositivo, nel merito del ragionamento della Corte federale. Niente di niente, quindi, sul fatto che la Juventus sia da assolvere o meno. Dice solo “decidetelo di nuovo e motivatelo meglio”.
Diciamo queste cose per fare un po’ di chiarezza rispetto alla confusa e frettolosa narrazione degli ultimi mesi e soprattutto delle ultime ore. Quello che ci interessa però è altro ed è l’aspetto più grottesco: perdue volte gli organi federali hanno giudicato e per due volte si sono detti (o qualcun altro ha detto loro) che avevano giudicato male! E questo a prescindere dalla colpevolezza dei soggetti giudicati (ancora peggio!) ma proprio nel modo di argomentare le proprie decisioni. È semplicemente inaccettabile: dobbiamo baciare i piedi del Napoli se questo marasma non sta incidendo sulla corsa al titolo, altrimenti ci sarebbero le rivolte per strada.
Non si può tuttavia ignorare che ad essere intaccato è il traguardo più bramato da tutte le società dei campionati professionistici moderni: la corsa alla partecipazione alla prossima edizione della Champions League.
Come si fa a pensare che le romane e le milanesi, per tacere della Juventus stessa e non volendo includere le altre giusto per amor di patria, giochino libere ed al massimo del loro potenziale psicologico nei prossimi due mesi? E come si fa a pensare che non siano state anche un po’ galvanizzate dal momento in cui si sono visti “togliere di mezzo” la Juventus a gennaio? E, di conseguenza, come si fa a ritenere che la Juventus non abbia lasciato qualcosa di troppo per la strada del campo a causa della condizione di penalizzata?
Ma la regina delle domande è chiaramente la prossima: quando finirà il campionato, la classifica del campo sarà confermata dal nuovo giudizio della Corte d’Appello federale e dal nuovo giudizio del Collegio di Garanzia del CONI (che sarà sicuramente invocato, a prescindere dalla nuova sentenza della Corte ed a prescindere da chi “avrà perso”)? Non ci interessa in questa sede pensare a chi meritasse cosa. Ci interessa cosa meritiamo noi: un campionatoregolare. E questo, comunque andrà a finire, non lo sarà a prescindere dalla decisione finale. L’ennesima batosta per un movimento ed un Paese ormai talmente incancreniti da perdere persino il senso della vergogna. È infatti assurdo che le società accettino supinamente questi obbrobri e si facciano condizionare da burocrati con la mania di protagonismo.
Forse è il momento di fare davvero il bene di questi ultimi e di questo sport adorato e sempre più umiliato: mettete a fuoco baracca e burattini e resettate tutto. Oppure, dall’anno prossimo, la classifica giocatevela a Risiko o sudoku. E comunicatecela già a settembre. Almeno, oltre ai soldi, risparmieremmo l’umiliazione. Però, ehy! Abbiamo il derby di Milano in semifinale di Champions League, due italiane in semifinale di Europa League e una in semifinale di Conference League! Siamo forti! Già. La tenacia, l’acume, la malizia, l’applicazione di staff tecnici e di calciatori, riescono ancora a farci girare l’Europa per affermare che noi italiani del pallone siamo ancora qua, nonostante il sistema. Perché a pallone sappiamo giocare, almeno nell’unico posto dove si dovrebbe giocare e davanti all’unico giudice che dovrebbe esserci sul pallone: il campo.