Papelitos
05 Marzo 2023

Il ciclo vincente, bielsista e lunare di Lele Adani

Se anche le vittorie si devono interpretare.

Nell’ultimo episodio della ormai celebre ‘Bobo Tv’, trasmissione Twitch in cui Vieri, Adani, Cassano e Ventola sproloquiano di pallone a modo loro, ovvero “contro il servilismo” e rincorrendo i social in una gara continua a chi la spara più grossa (e quindi fa più rumore), si è parlato del cosiddetto ‘ciclo vincente’. Alt, già sappiamo cosa state pensando: ma perché pure voi gli date spazio? Perché?! Lo sappiamo, avete ragione, ma crediamo sia necessario ogni tanto per capire quanto possa scadere e degradarsi il racconto sportivo, qui nella rappresentazione plastica dell’opinionismo: il nulla mischiato col niente, formale e sostanziale, in cui tutti si sentono esperti di tutto e nessuno approfondisce alcunché (per questo la Bobo Tv funziona, perché è una deriva esemplificativa della nostra società adolescenziale e disimpegnata).

Insomma, per comprendere tutto ciò ma anche per ricordarci fin dove si possa spingere l’ideologia nel pallone.

In trasmissione Lele Adani, l’ideologo del gruppo, ha detto infatti: «ciclo vincente ci ha insegnato il Napoli come si fa. Il resto…» – è noia, il senso. Un po’ discutibile parlare di ciclo vincente dopo un solo trofeo, lo Scudetto, che formalmente non è ancora arrivato. Anzi altro che discutibile, una cazzata bella e buona. Tant’è che addirittura Cassano (sic!) ha provato a controbattere: «scusa se ti interrompo Lele ma una sola squadra ci ha insegnato il ciclo vincente in questi ultimi anni» – «l’Atalanta?», ha chiosato un improbabile Ventola (?!) – «no lo ha fatto la Juve», ha sentenziato Antonio. Una considerazione oggettiva d’altronde, dopo un decennio di dominio in Patria (9 Scudetti di fila, Coppe e Supercoppe). Non l’avesse mai detto.

«No boss, nonono. Confondi tu», ha spiegato il Lele nazionale con il suo tono tra il professorale e il profetico, tra l’invasato e lo psichiatrico: tono che un tempo ci faceva piangere, poi ridere, ora semplicemente ci preoccupa (ma per davvero eh, che qualcuno lo aiuti). «Tu confondi perché tu sul risultato… quando tu gareggi su un altro livello e prendi i più forti calciatori… io penso che concettualmente, concettualmente, il ciclo vincente, come lo intendi tu, l’Italia non è pronta a sostenerlo a livello concettuale», ha tuonato l’oracolo reggiano.



Posseduto dallo spirito del profeta Bielsa, nel deserto concettuale della Bobo Tv e nell’analfabetismo funzionale dei suoi interlocutori, Lele ha proposto quindi la sua contraddizione in termini: ciclo vincente è quello che non ha ancora vinto nulla. Il tutto condito dal solito attacco alla cultura italiana retrogada e non pronta, senza visione.

Sia chiaro, il Napoli può pure avere aperto un ciclo questa estate (e ciò intendeva il buon Adani) perché ha tagliato gli ingaggi, mostrato un modello di business e contemporaneamente una visione tecnica, perché si è affermato tramite il gioco etc. Ma a parte che lo sapremo solo tra qualche anno se si tratterà di ciclo, il punto è che, come sempre capita, un ciclo si inaugura semplicemente per merito di professionisti bravi, bravissimi: su tutti Giuntoli, direttore sportivo dei miracoli, e Luciano Spalletti, allenatore che ha valorizzato ed esaltato la rosa azzurra. Poi la gestione De Laurentiis ha agito in direzione contraria rispetto ai top club di mezzo mondo, compresa l’Italia, ma questo è un altro discorso.

Nel suo anti-juventinismo da bar sport, anzi magari da bar sport, da Twitch, Adani dimentica ad esempio che il ciclo vincente della Juventus (sì, l’unico degli ultimi tempi in Italia, piaccia o meno) non è certo stato creato prendendo “i migliori giocatori sul mercato” ma con un modello di business sportivo invidiabile; risorgendo dalle ceneri della Serie B, rivoluzionando la dirigenza, basandosi sul nuovo stadio, trovando sul mercato delle colonne portanti non certo acquisite a fior di milioni – in ordine sparso Pogba a 0, Barzagli 300mila euro, Tevez 9 milioni, Bonucci 12, oltre a chi era già in casa come Chiellini, Marchisio – bensì sapientemente scovate dal duo Marotta-Paratici, prassi completamente ribaltata poi negli ultimi quattro-cinque anni (ne parlavamo qui)



Sui social però si può dire di tutto, tanto ci saranno orde di analfabeti più o meno funzionali (ma senza alcuna offesa, veramente) che pur di fare polemica o scagliarsi contro la Juve così come contro il Napoli o contro il Milan, l’Inter e qualsiasi altra squadra di turno, saranno disposti ad accogliere e rilanciare qualsiasi tesi, anche le più surreali e grottesche. E in questo modo, nella neo-lingua bielsista di Adani e della Bobo Tv, anche le parole hanno perso il loro significato, e ciclo vincente può essere quello di chi ancora non ha vinto nulla.

Perché lo si deve vedere in prospettiva, e per tutta quella retorica posticcia e pseudo-sudamericana per cui conta il percorso e non la meta, il “concetto” e non il risultato (che poi non vuol dire quello che sostiene Adani, ma chi ha tempo e voglia di spiegarglielo). Questo purtroppo è il livello dell’opinionismo calcistico, una categoria dell’esistenza (inautentica) ancor prima che una modalità di espressione, di quell’esistenza che si perde nell’heideggeriana triade di chiacchiera, curiosità ed equivoco. 

Qui, da parte nostra e come scriveva Gilbert K. Chesterton, dovremo continuare ad attizzare fuochi per testimoniare che 2+2 fa 4, sguainare spade per dimostrare che in estate le foglie sono verdi. Ma anche fregarcene altamente, consapevoli che il dialogo e il buon senso non si possano più esercitare in questi tempi folli e schizofrenici. In cui le stesse vittorie non si devono più registrare, bensì interpretare. Il nuovo step “a livello concettuale” di quello che in molti chiamano ‘giochismo’. 

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Federico Brasile

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