Calcio
26 Maggio 2022

Ciriaco De Mita, la DC e l'Us Avellino

È morto oggi, a 94 anni, un autentico uomo di potere.

La storia dell’Avellino Calcio è strettamente legata alla politica nazionale e cittadina, che ne ha condizionato gli alti e i bassi. I dieci anni di Serie A dei biancoverdi, non a caso, seguono perfettamente il percorso di alcuni personaggi illustri della politica italiana, da Ciriaco De Mita a Nicola Mancino; seppure, è bene precisarlo, resta difficile ipotizzare un’influenza diretta di queste figure direttamente sulle sorti del club. Nonostante le piccole dimensioni della provincia irpina, negli anni ‘80 Avellino ha infatti rivestito un ruolo di rilievo nel panorama italiano.

De Mita, in concomitanza con la storica promozione in Serie A dei lupi, ha ricoperto il ruolo di Ministro del Mezzogiorno e successivamente è stato investito della carica di Segretario della Democrazia Cristiana, dal 1982 al 1989, nonché Presidente del Consiglio dei Ministri dal 13 aprile 1988 al 23 luglio 1989. Nicola Mancino è stato invece capogruppo al Senato per poi, in epoca più recente, rivestire anche la carica di vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Ma oltre a loro ci sono state figure come Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani e Ortensio Zecchino, senza dimenticare Biagio Agnes, potente Direttore Generale della RAI, e tante altre personalità di peso nella politica italiana, passando anche per i servizi segreti.

Senza dilungarci oltre torniamo però al nostro, Ciriaco De Mita: una delle figure più particolari nel panorama politico italiano e tifosissimo dell’Us Avellino 1912, squadra del cuore con cui ebbe un rapporto profondo. D’altronde lo sport, in Campania e in Irpinia, è stato funzionale alle strategie politiche della DC, diventando la riserva di voti più importante del meridione per il partito dallo scudo crociato – in un legame indissolubile con il territorio che, in misura minore, dura tutt’ora. Basti pensare che De Mita, a 94 anni, era ancora sindaco del suo paese d’origine, ovvero Nusco.

“Quando morirò seppellitemi con un biglietto con scritto: sono democristiano”.

Ciriaco De Mita

Ma l’amore tra De Mita e l’Avellino era particolare, totalizzante. Il patron della società biancoverde negli anni ’80 era l’eclettico Don Antonio Sibilia, il presidente più amato nella storia centenaria del club. Una personalità pesante e che non amava intromissioni, poco incline alle dinamiche politiche della DC nonostante una cordiale frequentazione con i suoi ambienti e con lo stesso De Mita. Ciò nonostante, durante le gare, lo stadio Partenio Lombardi e gli spalti della tribuna Montevergine diventano i luoghi degli incontri pubblici, con De Mita che accoglieva i personaggi più influenti dell’epoca.


Il salotto dell’Avellino da “bere” vedeva sfilare uomini importanti, come lo stesso avvocato Agnelli, legato all’Irpinia e a De Mita da interessi politici e industriali. Basti pensare al terremoto dell’Irpinia, per diversi industriali una “occasione” per affari e speculazioni durate nel tempo. La catastrofe naturale che si abbatté sull’Irpinia il 23 novembre del 1980 portò infatti alcune aziende italiane, in particolar modo del nord, ad investire fittiziamente in Irpinia, approfittando dei tanti contributi erogati per la ricostruzione. All’epoca infatti lo Stato Italiano, in caso di catastrofi, finanziava i progetti di ricostruzione con emissioni di denaro a fondo perduto.

Molte aziende aprivano succursali sul territorio, con investimenti di poco conto, per poi incassare il denaro “della ricostruzione” e chiudere le aziende aperte, portando gravi danni al tessuto economico provinciale.

Avellino però fu sempre una città “pesante” negli equilibri meridionali e nazionali, un centro di potere politico ed economico. Pochi anni dopo il terremoto la Banca popolare d’ Irpinia si ritrovò vicina a conquistare la leadership sull’intero mezzogiorno: niente male per una provincia che non arrivava – e non arriva tutt’ora – a 500 mila abitanti. Scriveva Mauro Suttora in un reportage del 1982 sull’Europeo: «Altro che Cavour, Crispi, Giolitti, Mussolini, De Gasperi ,Moro, Craxi: nessun capo di governo , prima di Ciriaco De Mita da Nusco, aveva mai potuto contare su una squadra così’ imponente di conterranei piazzati nei posti chiave della Nazione». Da quel momento in poi si cominciò a parlare del “clan degli avellinesi”, e su Avellino si accesero tanti riflettori.

Eppure non è tutto oro ciò che luccica. Il flusso di denaro pubblico verso le zone terremotate alimentò aspre polemiche e non poche inchieste giornalistiche, a partire da L’Unità e L’Espresso. Ma a dare il via allo scandalo fu il giornalista Paolo Liguori che per il Giornale, allora diretto da Indro Montanelli, scrisse cinque articoli tra il 19 e il 27 novembre del 1988 sull’Irpiniagate. Dalle inchieste emersero costosi quanto inutili progetti industriali, e finte aziende che fallivano dopo aver preso i contributi. Tutti questi soldi confluivano poi nella Banca popolare dell’Irpinia, favorendo gli azionisti.

L’on. Ciriaco De Mita a dx, al centro l’avvocato Ernesto Valentino (presidente Banca Popolare dell’Irpinia) e il senatore Nicola Mancino, a sx, discutono sugli spalti dello Stadio Partenio Lombardi, in tribuna Montevergine.

La Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita ad hoc nel 1989 e presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, nella sua relazione documentò la pioggia di finanziamenti e le speculazioni finanziarie nate attorno alla ricostruzione – in cui si infiltrarono anche i clan camorristici – ma la stessa commissione deliberò l’assoluzione politica di De Mita, con tanti dubbi dell’opinione pubblica. Peraltro gli sprechi, le inefficienze, la corruzione e le infiltrazioni della criminalità organizzata non si limitarono al territorio della comunità irpina, poiché a scopo elettorale e clientelare era stato deciso l’allargamento dell’area del terremoto, che divenne un vero e proprio business.

Per comprendere meglio i numeri di questa speculazione basti pensare a come vennero dirottati i fondi: dagli iniziali 36 paesi si passò a 280 in seguito a un decreto dell’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere poi la cifra finale di 687 paesi, ossia l’8,5% del totale dei comuni italiani. 

Tutto questo travolse di riflesso anche l’Us Avellino. Don Antonio Sibilia, fautore della storica promozione in Serie A, si dimise dalla presidenza del club biancoverde dopo l’arresto, avvenuto nel giugno del 1983, mentre si trovava al Gallia Hotel di Milano, il centro nevralgico del calciomercato (due agenti lo prelevarono nel bel mezzo di una contrattazione con un dirigente del Taranto). L’accusa, che non trovo però mai conferma, fu di essere stato il mandante di un tentato omicidio al procuratore Antonio Gagliardi. L’Avellino passò così tra le mani di più presidenti strettamente legati a Sibilia, ma coinvolti in tanti altri affari della politica irpina.

La svolta si ebbe il 27 dicembre del 1985, quando la presidenza dell’Avellino cambiò volto: Elio Graziano, industriale nel campo della chimica, diventò il nuovo presidente dell’U.S. Avellino, succedendo a Pecoriello. Graziano in quegli anni crebbe molto come industriale, trovando la sua fortuna nell’invenzione del tessuto non tessuto utilizzato dalle Ferrovie dello Stato per le lenzuola, carta igienica e saponi per le cuccette dei vagoni.

In poco tempo, sempre grazie al rapporto con le ferrovie, aprì l’industria Isochimica, che lavorava per conto dello Stato e si occupava della coibentazione delle vetture dei treni. In sostanza smontava le pareti e i pavimenti dei vagoni sostituendo l’amianto con altro materiale isolante. Questa fabbrica si trasformerà in un vero e proprio incubo per tutti i suoi dipendenti: l’Isochimica, in attesa di bonificazione, ha causato la morte di 48 dipendenti, oltre ad aver provocato gravissimi danni ambientali al capoluogo irpino.

Elio Graziano con Nando De Napoli (a dx) e Ramon Diaz (a sx).

In quella Italia, e in quegli anni, l’Isochimica di Elio Graziano avvelenava gli operai, infettava le loro case, contagiava la gente di Borgo Ferrovia, ammorbava l’aria e la terra di Avellino. Per tutti, in quegli anni Elio Graziano era l’Ingegnere, anzi l’ingegnerissimo (titolo honoris causa cucitogli addosso da un’accademia privata francese!); il Presidentissimo dall’85 all’87 dell’Avellino in Serie A, che lascerà poi sotto una montagna di debiti pari 7 miliardi di Irpef non pagati, più 5 di deficit.

“Fa più male la Coca Cola che l’amianto”.

Elio Graziano

Tornando all’aspetto sportivo, il crollo di Graziano portò alla retrocessione dell’Avellino in Serie B e al crollo economico della società biancoverde. Questa situazione di crisi fece scendere in campo direttamente la politica, che non poteva far perdere alla città un tale punto di riferimento. Nel 1988 la squadra biancoverde retrocesse e fu acquistata da una cordata con alle spalle Calisto Tanzi: Pierpaolo Marino, irpino doc, fu scelto per il ruolo di presidente. In quegli anni l’Avellino annaspò nel campionato di Serie B, nonostante al primo anno sfiorò il ritorno in Serie A. Dal 1991 al 1994 la società passò invece tra le mani di Gaetano Tedeschi, con dietro sempre il sostegno di Tanzi.

«Non mi nascondo, all’epoca Ciriaco De Mita era un riferimento nazionale, uno dei politici più influenti d’Italia ed il suo rapporto di amicizia con Calisto Tanzi era ben noto. Come si ricorderà, l’Avellino fu cancellata dal panorama calcistico nazionale dopo l’arresto di Elio Graziano. De Mita intervenne, parlò della questione a Tanzi, che, mettiamola così, passò la palla alla Bonatti di cui ero il massimo dirigente. De Mita subito colse che quella poteva essere l’opzione migliore proprio in virtù delle mie origini irpine. Questo è quanto, tutto il resto non ha alcuna attinenza con la realtà». (Gaetano Tedeschi ad Orticalab.it).

Certo è che quel salvataggio dell’Us Avellino avvenne in concomitanza con la costruzione di una bretella stradale cittadina, affidata proprio alla società Bonatti che salvò il club biancoverde. Collegamento tra le due cose non è mai stato dimostrato, eppure mettendo insieme i pezzi si sarebbero, probabilmente, potute trovare conferme. Un salvataggio momentaneo, disperato, che ha visto la mano lunga della politica e dello stesso De Mita che ha voluto aiutare la squadra del proprio capoluogo.

Ci sarebbero tante storie da raccontare, come l’interrogazione parlamentare firmata dal senatore Michele Marchio (MSI-DN), il 18 marzo del 1984, nella quale venivano chiesti lumi su un presunto brindisi avvenuto a fine match (si era giocata Avellino-Lazio 3-0) tra i dirigenti dell’Us Avellino, Ciriaco De Mita e l’arbitro della partita Rosario Lo Bello, figlio dell’onorevole Lo Bello in forza alla Democrazia Cristiana.

Ciriaco De Mita Avellino calcio DC
Uno striscione insolito, in una curva di quegli anni

Certo è che la forza della DC nel capoluogo irpino investiva ogni settore, dall’industria passando anche per il tifo organizzato. Celebre fu lo striscione dedicato a Lorenzo De Vitto, primo eurodeputato irpino dello scudo crociato, esibito in Curva Sud in piena campagna elettorale: un gesto particolare, insolito, dato che in quegli anni, in curva, era sicuramente più facile vedere una falce e un martello o qualche fascio.

Il legame tra De Mita e l’Us Avellino, in tutto ciò, è stato molto particolare: un rapporto di assenza e presenza. Il tutto in una parabola per entrambi simile: dall’apice degli anni ’80 al lento declino degli anni ’90. Ma De Mita non era solo Us Avellino. Ci sarebbe un altro capitolo, più recente, che collegherebbe l’ex leader della DC anche alla squadra di basket cittadina, ovvero la Scandone: un fil rouge dalla palla a spicchi agli interessi sul gas in Irpinia, in particolare con la Sidigas di Giannandrea De Cesare. Ma questa è un’altra storia.

Certo è che Ciriaco De Mita, nel bene o nel male, è sempre stato vicino alla sua Provincia. L’ha sempre vissuta senza mai dimenticare le proprie radici, e divenendo il protagonista indiscusso di una stagione che in Irpinia viene ricordata, al di là di tutto, con nostalgia. Nostalgia della prima repubblica, quando l’Us Avellino, Avellino e l’Italia stessa avevano tutto un altro peso; e magari nostalgia anche dei suoi rappresentanti, soprattutto se confrontati con alcuni esponenti politici di oggi. Ad Avellino, e non solo.

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