Calcio
19 Ottobre 2018

Cittadella, un modello italiano

Uno dei pochi esempi rimasti di progetto serio e a lungo termine, con un'idea e una struttura importanti alla base.

Sabato 22 maggio 2015. Il Perugia ha appena liquidato il Cittadella per due reti a zero. Ayres e Parigini hanno sancito la retrocessione in Lega Pro dei veneti. I pensieri dello stadio Piercesare Tombolato, però, sono tutti rivolti verso il centro del campo. Dopo aver giocato la sua ultima partita, Andrea Pierobon ha deciso di ritirarsi dal calcio giocato. Il classe ‘69 è partito tra i professionisti nel 1987 proprio con la maglia granata, per fare poi ritorno nel 2005. Con sulle spalle ventotto anni di carriera e centoundici partite in Serie B, è divenuto un simbolo del club essendo riuscito a far entrare la città stessa nell’almanacco di questo sport. A due settimane dal quarantaseiesimo compleanno, infatti, è diventato il più anziano giocatore nell’intera storia del calcio italiano ad aver mai calcato un campo di calcio.

La commozione di Andrea Pierobon: 646 presenze, 28 campionati giocati, debutto e addio con la maglia del Cittadella

 

Lo scenario

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Cittadella ha un’origine assai antica, e la sua fondazione risale addirittura al 1220. Situata in una posizione strategica, esattamente al centro della pianura veneta, si rivelò nevralgica per gli equilibri dei comuni limitrofi. Treviso, infatti, aveva mandato un segnale alle potenze avversarie già qualche decennio prima dando origine a Castelfranco Veneto, piccolo avamposto militare situato sul torrente Muson. Padova dal canto suo, per non perdere la propria influenza, decise di contrattaccare sulla sponda opposta con un piccolo borgo adibito a funzione sia belliche sia economiche, che prese il nome dall’imponente cinta muraria costruitagli attorno: dalla forma di ellisse irregolare, conserva ancora oggi il cosiddetto “cammino a ronda” (un camminamento rialzato nascosto dietro alla merlatura, che permetteva ai soldati di controllare in maniera vantaggiosa il circondario, protetti dagli eventuali attacchi esterni). Priva di fondamenta, poggiando su di una base fatta di sabbia-ghiaia, il segreto sta nei terrapieni, che riescono a sostenerla.

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Questa peculiarità urbanistica, come detto, caratterizzò il paese che nel corso della storia ha dovuto fare i conti con la dominazione Veneziana, con quella del Regno Lombardo-Veneto passando anche per la Corona Austriaca. Attualmente Cittadella si è assestata sui 20mila abitanti ed è caratterizzata da una buona produzione industriale, principalmente quella siderurgica. Cosa c’entra? – direte voi. Ebbene è stata proprio un’azienda di quel settore che ha permesso la realizzazione di questa fiaba di periferia: Angelo Gabrielli infatti, fondatore della Gabrielli S.p.a, secondo gruppo nazionale per importanza nel settore, nel 1973 ha proceduto con la fusione fra l’Olimpia Cittadella e l’Unione Sportiva Cittadellese, divenendo presidente dell’Associazione Sportiva Cittadella.

Una vista di Cittadella dall’alto, in tutta la sua medievale bellezza

 

Il protagonista

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Nel 2005, considerabile come l’anno zero per il club, Stefano Marchetti fece la sua comparsa nella storia, prendendo le redini dell’area manageriale e sportiva. Un “deus ex machina” che ha avuto il merito di dare un’impronta riconoscibile al proprio lavoro tramite idee sostenibili e lungimiranti. Nato cinquantacinque anni fa a Fontaniva, in provincia di Padova, dopo una carriera da seconda punta di qualità, decise di rimettersi in gioco da dirigente con i granata. In prima battuta si accontentò di un posto nella segreteria del settore giovanile, sapendo già che il suo momento non sarebbe tardato ad arrivare. Si rivelerà una delle figure fondamentali per plasmare questa realtà, grazie ad un metodo di lavoro che si basa su concetti etici che esulano dalle mode più recenti. Innanzitutto vige il divieto assoluto di trattare con qualunque procuratore o mediatore; si privilegia, invece, il rapporto con il diretto interessato.

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Dato il budget risicato ci si orienta su di un giocatore che deve incarnare delle caratteristiche ben precise. Preferibilmente giovane ed italiano, ma soprattutto deve essere reduce da un’annata al di sotto delle aspettative. Dei profili che necessitano di essere rigenerati, non avendo potuto giocare con continuità. Scommesse dal basso rischio ma dall’alto potenziale futuro. Infine, una grande considerazione verso i valori da trasmettere ai calciatori ed ai membri dello staff. In ogni intervista viene ribadito il concetto di quanto sia affiatato lo spogliatoio e dell’ottimo rapporto che lega i propri componenti: una vera famiglia, solidale e guidata da un saggio pater familias. Una politica che ha fatto sì che in tutti questi anni la società abbia potuto lanciare su grandi palcoscenici numerosi calciatori. Solo per citarne alcuni, possiamo annoverare nomi del calibro di Gabbiadini, Biraghi, Baselli, Ardemagni, Meggiorini ed i più recenti Varnier e Kouame, approdati questa stagione nella massima serie.

Stefano Marchetti, fondamentale per il consolidamento del Cittadella

 

I personaggi chiave

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Sempre nel cosiddetto anno zero dei granata, Marchetti affidò la panchina a Claudio Foscarini, allora tecnico della Primavera. Il “Ferguson della Provincia italiana” ha dato vita ad un ciclo lungo addirittura dieci anni, e in questo lasso di tempo si sono riusciti a vedere risultati di una gestione oculata; portando con sé le doti camaleontiche propedeutiche alla categoria, Foscarini è stato determinante per il definitivo ambientamento del Cittadella ai ritmi ed alle dinamiche della Serie B. Per provare a sognare in grande, però, si è dovuti ricorrere addirittura ad un tecnico australiano. Non si tratta di un improbabile profilo esotico, ma solo dell’ennesima sfumatura magica di questa storia. Dopo la retrocessione in Lega Pro ed il conseguente addio di Foscarini, la dirigenza, infatti, virò su Roberto Venturato.

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Nato ad Atherton da emigranti veneti, trascorse i primi tredici anni della sua vita nell’emisfero Boreale per poi fare ritorno nel Belpaese e tentare di sfondare come mezz’ala. La sua carriera in panchina gli attribuisce un’ulteriore particolarità. In una forte assonanza con gli inizi di Maurizio Sarri, l’allenatore si è alternato solo fino a due anni fa anche nelle vesti di promotore finanziario. Partito dal Pizzighettone, con cui compì una scalata dalla D fino alla C1, guadagnò la chiamata per una stagione come vice di Mondonico alla Cremonese. Dopo quell’esperienza cominciò una parabola discendente, considerate le successive avventure tra i dilettanti.

Roberto Venturato indirizza i suoi (sullo sfondo Leonardo Semplici, a proposito di cavalcate, Serie B e ottimi allenatori)

 

Nella società veneta, tuttavia, riuscì immediatamente a calarsi nella parte. Devoto al 4-4-2 convertibile in un 4-3-1-2, ha saputo crescere un bel gruppo di giovani sbarazzini. Predicando umiltà e pragmatismo ha condotto la compagine a risultati insperati. Promozione in Serie B centrata al primo colpo avendo dominato il campionato, quindi due qualificazioni ai Play Off in due anni, di cui l’ultima eguagliando il record storico di 66 punti (del 2009/10) grazie ad un filotto di 11 vittorie consecutive fuori casa. Ogni stagione, tra l’altro, la rosa veniva puntualmente smantellata per ragioni di bilancio – dovendo portare a casa le necessarie plusvalenze – e urgeva, quindi, ripartire da capo. La bravura del mister si è palesata proprio in questo aspetto: lo spartito tattico continuava ad essere sempre lo stesso, pur cambiando quasi tutti gli interpreti.

 

La chiave di questi successi venne esposta in un’intervista concessa a Repubblica. Alla specifica domanda su come “si mette in piedi a questi livelli un’idea di calcio avendo per le mani 20-25 perfetti sconosciuti?”, il veneto replicò così:

“È il calcio di base, quello in cui devi far rendere al meglio ogni singolo giocatore guardandolo in allenamento, cercando di capire. Il nostro è un calcio votato al dominio del gioco, al controllo della partita, non a caso tiriamo in porta come nessuno in B. Giochiamo di squadra, collettivamente, difendiamo in undici, corriamo bene, sappiamo sempre cosa fare. Merito dei ragazzi che ho, molti dei quali mi conoscono dallo scorso anno e sanno cosa voglio”.

La festa per la promozione in Serie B, centrata al primo tentativo

 

Il lieto fine

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Anche questa stagione, in effetti, sembra essere ripartita nel verso giusto. La truppa di Venturato occupa stabilmente le zone nobili della classifica, essendo divenuta ormai un’icona del sano calcio di provincia ed un modello di riferimento per tutto il sistema. Una squadra che durante ogni partita casalinga si può permettere di proporre sempre lo stesso copione da film neorealistico. Gruppi di tifosi accorrono allo stadio muniti di bicicletta per seguire una team composto da soli talenti italiani selezionati accuratamente, in un catino da 7000 anime che diventa una vera e propria macchina del tempo, con il potere di riportarci a un calcio dimenticato. Questo è il Cittadella, una nobilissima eccezione nel panorama di uno sport che sta imboccando inesorabilmente la via del business più spietato.

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