Interviste
15 Marzo 2021

Clemente Russo, una vita sul ring

Intervista con il pugile campano, pronto per la sua quinta Olimpiade.

L’appuntamento dei Giochi Olimpici Estivi di Tokyo, dopo un’insolita attesa dovuta al rinvio causa pandemia, si sta avvicinando. Siamo riusciti ad avvicinare un alfiere dei colori azzurri, Clemente Russo, pugile per due volte medagliato olimpico (argento a Pechino 2008 e Londra 2012 nella categoria dei pesi massimi), per una riflessione di ampio respiro sul presente e l’immediato futuro, con uno sguardo a 360° sulla sua carriera.

 

Clemente Russo pronto per il combattimento (Ph Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

 

In caso di qualificazione a Tokyo diventeresti il primo pugile della storia a partecipare a cinque Giochi Olimpici. In un’intervista dello scorso anno a Fanpage hai parlato di “passerella”, invece in una dichiarazione più recente hai detto: “L’obiettivo è partecipare, il sogno è l’oro”. Ti senti in condizioni psicofisiche da medaglia?

 

Assolutamente sì! Io mi conosco e so che, come tanti atleti, quando ho la pressione sul collo rischio di fare delle gare brutte, mentre invece andando a Tokyo rilassato, con l’obiettivo della quinta Olimpiade già raggiunto, penso di poter fare una grande manifestazione. È solo un fattore psicologico.

 

Parlando dei tornei di qualificazione, in un’intervista a Ultimo Uomo Irma Testa ha spiegato che “[Con la pandemia, nda] Ogni volta che c’è stato un torneo c’è stata anche l’incertezza sulla partecipazione. […] Psicologicamente mi sono un po’ allontanata. […] Adesso è un anno che non combatto quindi è un po’ come ricominciare da capo”. Hai percepito le stesse difficoltà sul piano mentale o l’esperienza ti ha aiutato ad assorbire questa situazione?

 

No, devo dire che non mi ha aiutato. Ma è un disastro per tutti, siamo sulla stessa barca: così come sono fermo io lo sono i miei avversari. A un certo livello non salire sul ring per un anno non è poco.

 

Arrivato alla fine della tua carriera, è tempo di bilanci. Ti sarebbe piaciuto misurarti con il professionismo o sei soddisfatto di essere rimasto sempre tra i dilettanti?

 

Sono super-soddisfatto e se potessi rinascere rifarei la stessa identica carriera, ma smettere con la boxe senza aver fatto un match di grande prestigio è l’unica cosa che un po’ mi fa mangiare le mani. Nonostante ciò, mi sono divertito comunque disputando match in altre competizioni come l’APB (Aipa Pro Boxing, nda) e la WSB (World Series of Boxing) senza mai perdere il diritto ai Giochi Olimpici.

 

Clemente Russo contro Oleksandr Usyk nella finale dei pesi massimi durante i Giochi Olimpici di Londra 2012 (Ph Scott Heavey/Getty Images)

 

A livello personale, c’è un’esperienza olimpica o mondiale al quale sei particolarmente legato?

 

No, tutte le esperienze importanti come Mondiali e Olimpiadi sono state a modo loro belle, ognuna dal sapore diverso. Se ne devo scegliere una dico Chicago 2007, perché mi ha lanciato tra i giganti del pugilato.

 

Sei stato ad Atene, Pechino, Londra e Rio. Qual è stata la Nazione che più ti ha impressionato per partecipazione e spirito olimpico, sia in generale che nello specifico per la tua disciplina?

 

Pechino. La Cina è dieci anni avanti! [ride] Londra è venuta quattro anni dopo Pechino; loro avrebbero dovuto fare meglio invece hanno fatto peggio.

 

In che stato vedi il movimento pugilistico italiano? L’anno scorso Patrizio Oliva ci aveva detto “[Lo vedo] male, molto male. Mancano le competenze ed una precisa strategia di crescita […] in ogni caso meglio il comparto femminile”. Come commenti queste dichiarazioni?

 

Se devo valutare la nazionale attuale, la squadra c’è. Quest’anno ho anche partecipato ai campionati italiani e ho visto tante giovani leve, tutti ragazzi bravissimi: gli uomini ci sono. Ora bisogno lavorare per arrivare a raccogliere risultati a Parigi, però ci sono atleti su cui si può puntare.

 

Clemente Russo, Mauro Sarmiento, Vincenzo Mangiacapre e Carlo Molfetta: l’Italia combattente che ci ha fatto sognare a Londra 2012 (Ph Claudio Villa/Getty Images)

 

Sei stato uno degli atleti olimpici più esposti mediaticamente e, sempre a Fanpage, hai reclamato la tua volontà di essere riconosciuto per lo sportivo che sei stato e non per le apparizioni televisive. Alla luce di ciò ti sei pentito di questa sovraesposizione mediatica, o pensi ne sia valsa la pena per la vetrina che hai dato al tuo sport?

 

Assolutamente no, tant’è che ancora ci lavoro in televisione. Lo sport tutto (dal calcio al motociclismo e così via) prende una larghissima fetta di popolazione. Io ho cercato di intercettare la fetta restante con la televisione e lo showbiz, provando a far conoscere me e la boxe. Mi dispiace per coloro che mi ricordano solo per “La Talpa” o il “Grande Fratello”, ma è anche merito di quei programmi se in molti hanno cominciato a conoscere me e la mia disciplina.

 

Spesso ci sono scarsi investimenti negli sport cosiddetti minori, sia da parte dello Stato che da parte degli sponsor. Nella maggior parte dei casi il destino di queste discipline è affidato a veri e propri “santi” che dedicano la propria vita alla comunità, come il tuo maestro Mimmo Brillantino. Ritieni che si possa invertire questa tendenza? Se sì, come?

 

Il discorso è fondamentalmente legato al denaro, con le TV e la pubblicità. Quando abbiamo fatto le World Series of Boxing per 5-6 anni con Dolce&Gabbana (con la squadra D&G Milano Thunder, nda) ed eravamo entrati nelle case della gente, le palestre si sono riempite e le cose sembravano girare davvero bene. Quando non hai più la vetrina della televisione ritorni nella tua nicchia, funziona così. Se l’informazione gioca il suo ruolo, tutto è più semplice. Se questo non avviene, rimani nella tua cerchia.

 

Nel 2008 confidandoti con Roberto Saviano avevi detto “Prima di un match non riesco a pensare a niente. Prima di un match non faccio l’amore per una settimana. Niente. Sto concentrato e vedo solo in testa i miei colpi”. Oggi provi gli stessi brividi o sei diventato più zen?

 

No, adesso è tutto diverso. Alla mia età l’approccio va oltre il pugilato e l’allenamento, ma è fatto di tanta esperienza. Nel 2008 avevo 26 anni, oggi ne ho 38 e mezzo: sono passati quasi 13 anni, tante cose sono cambiate. Oggi penso tanto sia prima di entrare sul ring che quando sono sul ring, ovviamente senza distogliere sguardo e cervello dai cazzotti dell’avversario. Le cose cambiano, ma come in tutti gli aspetti della vita. La pressione non è più la stessa di prima.

 

I pugni di Clemente Russo sono nella storia della boxe italiana (Ph Scott Heavey/Getty Images)

 

Se è vero che gli atleti olimpionici ragionano per quadrienni, dove ti vedi a Parigi 2024? Speri di poter essere a bordo ring?

 

Spero di poter essere con le mie bambine a casa per vedere la boxe in TV! [ride] Io ho dato tutta la mia vita a questo sport. Mia moglie e le mie figlie, una di 10 e due gemelle di 8 anni, mi hanno vissuto a spizzichi e bocconi, quindi non vedo l’ora di terminare l’esperienza olimpica e dedicarmi a loro a tempo pieno. Se arriverà qualche proposta a livello lavorativo nel pugilato la valuterò di certo, ma se mi chiedi se mi vedo più a casa o a Parigi, di sicuro ti dirò la prima opzione.

 

Continuerai quindi a dedicarti alla boxe nella formazione di giovani?

 

Assolutamente sì, difatti voglio dedicarmi alle mie bambine anche allenandole. Ora hanno l’età giusta per dedicarsi allo sport. Una è interessata alla boxe, una fa judo mentre un’altra danza. Dovrò fare i kilometri in macchina tra una palestra e l’altra! [ride].

 

 

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