25 anni fa l'unico titolo mondiale di un pilota che ha reso pop i motori.
Grazie al suo essere a metà tra il ragazzo di campagna e l’eroe impavido, Colin McRae ha contribuito fortemente ad accrescere il prestigio dello sport motoristico più popolare. Le sue gesta sono diventate epica moderna e rimangono oggi impresse nella memoria di chi l’ha visto derapare nelle strade di tutto il mondo su ogni superficie; rimangono nelle foto, nei libri e nei video i suoi autentici manifesti di bellezza estetica e di catarsi applicata alla guida.
McRae nasce nel 1968 in Scozia in un paesino a mezz’ora da Glasgow, città che in quel periodo ospita la partita di calcio più vista nella storia dei campionati europei: ad Hampden Park 130.000 spettatori si ritrovano per Scozia-Inghilterra, valevole per le qualificazione a Euro’68. Sono gli anni in cui la cultura pop sta esplodendo, in quei mesi vede la luce il White Album dei Beatles mentre i Rolling Stones “simpatizzano per il diavolo”; Londra è ancora legata allo swinging ma sta emergendo la novità del folk rock.
Il concetto di rally invece, in quegli anni, è vago e vive il suo periodo pionieristico: chiunque abbia un’auto può disputare e vincere una di queste corse, basate principalmente sulla resistenza delle vetture. Il livello tecnico delle auto e le condizioni della viabilità sono tali che il solo fatto di completare percorsi di centinaia di chilometri rappresenta un’impresa. Si alternano al vertice le più disparate auto diventate con gli anni “mitiche”, dalla Mini Cooper S alla Porsche 911T, la Alpine-Renault A110, la Lancia Fulvia coupè HF, Saab 96 V4 e la Citroen DS.
Colin, crescendo negli anni ’70, si innamora della specialità perché è l’hobby del padre Jimmy, il quale conquista in carriera cinque titoli nazionali. Inizia ad esprimere il proprio talento sin dagli esordi, nei primi anni di gare affrontate tra fine ’80 e inizi ’90: il genio scozzese approda nel Mondiale finita l’era folle e sregolata della categoria Gruppo B, quando il rallysmo trova una dimensione più matura con le auto di Gruppo A: ne diventerà il più grande interprete, a bordo della sua Subaru Impreza blu e oro.
Nel 1995 a 27 anni si laurea campione del Mondo, il più giovane della storia, un primato che detiene tuttora. È l’unico record che detiene ancora, assieme al numero delle auto demolite in altrettanti incidenti spettacolari, superato in tutte le statistiche da molti suoi colleghi. Ma “i numeri”, come spesso accade, non definiscono il valore assoluto del talento e in particolare della sua presenza nella storia dello sport.
Colin McRae rappresenta oggi molto di più dell’unico titolo mondiale che ha vinto. Ha ispirato diverse generazioni con il suo stile – di vita prima che di guida – flat out, come lo definiva lui. È stato interprete straordinario in prima persona della condizione tipica del pilota da corsa, al limite tra vivere e morire. Ha fatto emozionare come fa un’artista, ha fatto vivere un sogno a chi semplicemente lo andava a vedere per qualche secondo, sulle strade di Chiusdino o sugli sterrati in Nuova Zelanda, in Kenya o in Grecia all’Acropoli. Mito e modernità, tanto che il videogioco a lui intitolato è cultura pop di tutto il mondo. È stato in grado con il proprio talento di unire arte e tecnica, riuscendo così a dare un’anima a degli oggetti a motore.
Nel 2007, a 39 anni, un incidente in elicottero vicino alla sua casa di Lanark l’ha portato via assieme al figlio Johnny e altri due amici. Se n’è andato all’improvviso lasciando ai posteri il suo stesso mito.
“Che cos’è in fondo la pazzia? La gioia di vivere” (Erasmo da Rotterdam)
Perché in fondo Colin McRae è stato questo: un elogio della pazzia vivente, pura gioia di vivere al volante di un’auto da rally.