Di fronte a un'ingiustizia che sa di sconfitta, Nibali ci insegna a perseverare nella pazienza. Invece della burrasca, il mare calmo, prima che il sole sorga.
Al subire un’ingiustizia, normale reazione è la rabbia. Ha molte forme: furia incontrollata, minaccia di vendetta, sarcasmo truce. È quello che ci si sarebbe aspettato da Vincenzo Nibali, atterrato mentre saliva l’Alpe d’Huez nella XII tappa del Tour de France. Una gran confusione, nessuna immagine del momento: un garbuglio di “tifosi”, fumogeni, moto, bandiere. I migliori sono tutti lì, con Spalloni Kruiswijk in testa, a pochi secondi. Aveva tentato il colpaccio, a 60km dall’Alpe, sulla Croix de fer: verrà recuperato nell’ultimo tratto, per la vittoria di Thomas. La Giuria ha stabilito che si è trattato di un normale incidente di gara, quindi niente restituzione del tempo, come accaduto invece a Froome per la sua corsetta sul Mont Ventoux. Sarebbe stata una magra consolazione, ma ancor meglio sarebbe stato se la fase di studio in barrage tra Dumoulin, Thomas, Froome e Bardet, avesse permesso il rientro di Nibali, che si trovava già a pochi metri. Il francese del gruppetto spezza l’incantesimo dopo pochi secondi, obbligando gli altri alla bagarre.
Niente da fare, non rientra, ma il siciliano riesce a staccarsi di soli 13″. Merito dell’adrenalina e della grinta, perché il dolore è tanto. Il bollettino medico dopo qualche ora parla di un infortunio a una vertebra occorso nel cadere – poi si saprà – per l’aggancio ad una tracolla di un tifoso. Incidente di gara, ha detto la giuria. Un incidente che non dovrebbe succedere, in una competizione come il Tour, con un giro d’affari miliardario, con tutti quegli interessi in ballo. Moto del servizio d’ordine e dell’organizzazione che non fanno altro che confusione, tifosi che si permettono di spingere – chi per incitare, chi per schernire, chi per insultare – i corridori, mentre cercano un autoscatto suicida o mentre reggono un fumogeno, arma ormai fondamentale quanto inutile e dannosa. Una disorganizzazione totale: nessun gendarme ad arginare gli squilibrati, e un tratto transennato troppo breve, vista l’assenza del personale. Proudhomme può anche scusarsi, ma quando i francesi decidono di insegnare qualcosa al mondo finisce sempre male, vedi la pasta asciutta, l’igiene intima o l’integrazione.
Nibali, alla fine, si deve ritirare. Rischia anche di non partecipare al Mondiale di Innsbruck. Dovrebbe, potrebbe arrabbiarsi come nessun altro in questo momento, inveire contro tutto e tutti o chiudersi in se stesso. E invece lascia su Facebook un comunicato di quattro righe, e nelle dichiarazioni si limita rassegnato a costatare il fatto dell’infortunio, del ritiro, del dolore.
“Ciao ragazzi sono di ritorno in hotel, purtroppo l’esito del referto medico non è buono, mi è stata confermata la frattura alla vertebra, domani tornerò a casa per un periodo di recupero. Grazie per tutto il vostro affetto dimostrato nei miei confronti! Alla prossima”
Di fronte a una calma così estrema, stiamo attoniti. Una calma che è espressione del massimo sentimento di pazienza possibile, la capacità di accettare la realtà meschina con la tranquillità di chi persevera nelle proprie azioni. C’è anche un grado estetico di bellezza, in tutto ciò. Perché pazienza nasce da fortezza, fiducia in sé, coscienza in pace: fede e speranza.
È una pazienza da pescatore, quella dello Squalo. Sembra Santiago, il vecchio di Hemigway, con le cicatrici sulle mani e i segni del sole sulla faccia. Più di ottanta giorni senza una preda degna, ma continua ad uscire a caccia del suo martin, in quel mare che i pescatori chiamano al femminile la mar, perché non è un uomo e quindi rivale o nemico, ma un’amante da amare. Di cui parlar male, a volte, e con cui arrabbiarsi, spesso. Ma, alla fine, quella distesa che tanto ti uccide quanto ti dà da vivere, è il tuo amore.
“L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non può essere sconfitto.”
Ernest Hemingway, “Il vecchio e il mare”.
Quella pazienza che accoglie ciò che accade e la coltiva come un fiore è l’immagine di Dio sul tempo che passa, perché “un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo”. Con le parole del papa emerito, “Noi soffriamo per la pazienza di Dio, e nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza“. Il ciclista è un mondo intero che vive di attimi, preparazione e tempismo, un mondo che in questa paziente speranza si redime, mentre si distrugge nell’impazienza degli uomini. Solo ora ce ne accorgiamo, davanti a questa calma, quando dalla notte si sente arrivare il giorno, poco prima dell’alba. È stato detto: “Non guardare il mare, che ti vengono i pensieri”. Ma oggi, di fronte a un’ingiustizia che ha il colore della sconfitta, davanti a quel Vincenzo Nibali che potrebbe vedere davanti a lui il mare della burrasca, c’è fortezza e perseveranza: come il mare, all’alba. Vincenzo ci indica l’orizzonte, e ci insegna solo che dobbiamo portare pazienza.
“La sapienza del cuore contempla anche la pazienza. Il tempo non scorre invano.”
Siamo pazienti: lo aspettiamo.
Immagine copertina ©AFP