Interviste
06 Novembre 2016

Confessioni di un allenatore mancato

A passeggio con Massimo Fini nella bella e grigia Milano alla ricerca del calcio nazional-popolare detestato dagli str*** in tribuna d'onore.

“Se vogliamo andare in un posto tradizionale, quelli col biliardo per intenderci, dobbiamo camminare per un bel po’, in compenso qui vicino c’è un bar con un cameriere che si chiama Ramiro, tifa Barça, andiamo a prenderlo in giro per la sconfitta col City di Guardiola”. Sono circa le sette di sera, Massimo Fini mi ha invitato a bere una cosa per poi andare a mangiare insieme in un ristorante di pugliesi trapiantati a Milano ma che fanno delle ottime orecchiette. Ci sediamo fuori, ordiniamo una birra, io, e il solito mirto, lui. E come al solito mastica tabacco. “Chiamaci Ramiro per favore, o si è nascosto appena mi ha visto?”, dice Massimo al ragazzo che ci serve da bere. Improvvisamente spunta Ramiro, è un giovane sudamericano sorridente, scuro di pelle coi denti bianchissimi. “Eccolo!”, grida.

“Ora non mi raccontare la storia che mancava mezza squadra, direi che quei tre davanti c’erano”. “Ha ragione Signor Massimo, però il primo tempo abbiamo dominato, poi il City ha ripreso in mano la partita”, risponde lui timidamente. “Lo so io perché avete perso, mancava Don Andres” conclude MF. Chissà chi è stato il genio ad avergli dato questo soprannome. “Iniesta è un vero gentiluomo dentro e fuori dal campo, come lo era Ruud Van Nistelrooy, è il mio giocatore preferito, è vero che Xavi era Xavi, del resto l’ascesa e il declino della nazionale spagnola segue la parabola dell’ex capitano del Barça, però Don Andrés ha una eleganza infinita”.

E aggiunge: “la Liga è il campionato che apprezzo di più, il calcio è tutto anche lì però non viene mai preso troppo sul serio, olé olé, esiste una certa autoironia che fa solo bene al pallone, questo è uno dei motivi per cui preferisco il derby di Roma rispetto a quello di Milano, da queste parti si prendono troppo sul serio e si lamentano in continuazione, mentre nella capitale c’è più genuinità, sfottò e divertimento”.

Don Andrès il gentiluomo
Don Andrès il gentiluomo

Non avevo dubbi che si sarebbe parlato di calcio, era già successo altre volte, e non mi dispiace perché come nei suoi libri che trattano la filosofia e la politica, riesce a raccontarlo come nessun altro. Massimo oltre ad essere è un amico, molto più grande di me, è prima di tutto un modello di coerenza che ha vissuto come la pensava. “Qualche anno fa, caro Sebastiano, il calcio era ancora uno sport nazional-popolare, i giocatori li incrociavi per strada, e poi leva quegli stronzi che andavano in tribuna d’onore, negli spalti vedevi l’imprenditore seduto accanto al suo operaio, ora leva i miliardi che ci girano intorno a questo disciplina, si stanno inventando robe incredibili come la discriminazione territoriale e altre sciocchezze varie.

Ascoltare Massimo in separata sede, davanti ad un bicchiere di mirto, è un privilegio per pochi. “Non è perché se io urlo da tifoso ‘devi morire!’ vuol dire che il mio avversario lo voglio davvero morto”. Ci incamminiamo verso il ristorante pugliese. “Questo tuo Toro invece? Come lo vedi quest’anno?” domando io. “Beh Miha mi piace e non mi piace, da un lato ha ridato il cuore Toro alla squadra dall’altro è un serbo e come tutti i serbi è un pazzo scatenato, mi è piaciuta una delle sue ultime dichiarazioni che hanno fatto indignare la stampa: alcuni calciatori fanno gli uomini a casa ma poi in campo sono delle femmine”.

Continua: “sai Sebastiano che avete fatto proprio bene a vendere Higuaìn, non solo avete allungato la rosa con ottimi giocatori, ma in più gli avete rifilato uno che secondo me non farà bene come si pensa”. Io annuisco come un cretino e le poche cose che riesco a dire sono: “la Juve starà pure giocando male ma per adesso il Pipita sembrerebbe smentirci, vedremo tra qualche giornata”.

Elogio della violenza

Poi aggiunge: “di Francesco Totti non ce ne sono più purtroppo, il Pupone come lo chiamate a Roma è l’ultimo di una generazione, è per questo che fa unanimità, lo amano tutti anche i non romanisti. Non solo è una bandiera, per lui la maglia è sacra, inoltre gioca a pallone fino ai quarant’anni così come facevano tutti qualche decennio fa, oggi è il calcio è diventato molto più fisico”. Saliamo a casa sua prima di salutarci.

Su una delle pareti c’è una finta prima pagina stampata della Gazzetta dello Sport – la “gazza” mi corregge – con un articolo firmato Massimo Fini”. E questo cosa sarebbe? “Mah scrissi tanto tempo fa per gioco un commento ad una partita dove giocava la squadra allenata da mio figlio, vinsero 5 a 0”. Il pezzo si concludeva così: “ricordatevi, ragazzi, che nel calcio, nello sport e nella vita, la concentrazione è tutto o quasi. Mi ha detto una volta Rudi Nureyev, il più grande ballerino di tutti i tempi: il 10 per cento è talento, il resto è costanza”.

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