Interviste
29 Marzo 2020

Il Coronavirus sta facendo implodere il calcio

Abbiamo intervistato Pippo Russo sulle possibili ripercussioni dell'emergenza nel calcio.

Molte cassandre in questi anni hanno profetizzato la fine del calcio europeo per fenomeni endogeni, ma nessuno mai si era immaginato che potesse fermarsi per fenomeni esogeni. Il Coronavirus ha prima messo in ginocchio l’industria calcistica, che ha dovuto interrompere la sua corsa sfrenata o addirittura drogata, e poi ne ha evidenziato i limiti strutturali e il malfermo stato di salute. Le mancate entrate dai diritti televisivi e dai botteghini hanno iniziato a far tremare le casse dei club, mentre gli stipendi dei tesserati, soprattutto per le big europee, rappresentano il capitolo di spesa più difficile da sostenere.

 

D’altronde il contratto collettivo firmato tra Aic (Associazione Italiana Calciatori) e la Figc, in ottemperanza alle disposizioni europee firmate del 2012 dall’Uefa, non ha mai tenuto conto della possibile sospensione dei pagamenti per calamità naturale. Al contrario della NBA, in Europa (Uefa) non esiste la possibilità di una temporanea interruzione degli emolumenti. Al tempo stesso i sindacati dei calciatori – FifPro in primis (Fédération Internationale des Associations de Footballeurs Professionnels) – non sembrano voler percorrere questa strada.

 

Ma il calcio, italiano ed europeo, non è solo quello delle leghe maggiori: moltissimi club delle divisioni minori rischiano di uscire con le ossa rotta da questa tempesta, e bisogna preservare anche questo immenso patrimonio comune. Ecco perché, tra le varie proposte, ha riscosso successo l’idea di istituire una “cassa integrazione” per i calciatori con uno stipendio annuo pari a 50mila euro lordi: una soluzione che andrebbe incontro alle società di Serie B e soprattutto di Serie C, in estrema difficoltà per la mancanza delle entrate derivanti dalle biglietterie.

 

Su tutti questi aspetti, e anche sul dibattito circa la conclusione del campionato, abbiamo intervistato Pippo Russo: tra i più noti giornalisti d’inchiesta sportiva in Italia, “maestro del sospetto” e storico critico dell’attuale e bulimico modello calcistico, ci ha detto la sua sulle possibili ripercussioni sportive dell’emergenza.

 

In un’intervista di alcuni anni fa per la nostra testata, ci parlavi di una bolla speculativa del calcio destinata prima o poi ad esplodere. La pandemia attuale rischia di far emergere le reali condizioni dei club?

Un evento simile come la pandemia è normale che stia sollecitando l’esplosione di questa bolla. Finora il calcio è andato avanti, gonfiando ulteriormente la bolla speculativa. Rispetto a questa profezia i tempi sono andati avanti, la bolla cresceva ma non esplodeva. Sottoposta a questo stress è molto facile scoppi ma aggiungo che a questo stress rischiano di esplodere anche economie sane: il calcio è particolarmente a rischio perché vive basandosi su un’economia fortemente speculativa. Si è già mangiato buona parte del futuro con la dipendenza dai diritti televisivi che è diventata una droga mortale, così come anche la dipendenza da plusvalenze. Ci sono tutte le condizioni per cui questa bolla esploda.

 

Sul Corriere dello Sport hai scritto dell’impatto nelle serie inglesi, dalla Premier a scendere: una situazione che ci riporta anche al calcio italiano. Ma quali saranno i rischi economici per le singole categorie?

Le conseguenze saranno molto pesanti per i campionati di vertice e rischiano di esser mortali per i campionati inferiori, come la Serie B o la Serie C. I campionati di vertice quando ripartiranno, tirando la cinghia, potranno contare sulle risorse televisive che a parer mio verrà decurtata. Penso che un effetto del virus sarà un economia a ribasso. La Serie A può però contare su alcune risorse come tutti i campionati maggiori in Europa.

 

Tutte le seconde serie e da lì a scendere, che hanno visto poche entrate provenire dai diritti televisivi, ne risentiranno: queste società hanno bisogno di ripartire con le porte aperte degli stadi, sennò sarà una situazione drammatica. In queste categorie il botteghino è infatti fondamentale per le entrare dei club. Diventa una trappola economica dalla quale non si viene fuori.

 

Juventus e Inter a centrocampo prima del fischio d’inizio del Derby d’Italia (Foto Filippo Alfero – Juventus FC/Juventus FC via Getty Images)

 

Quale campionato europeo ne uscirà meglio economicamente?

Non credo che esista un campionato più forte. Credo che ne risentirà un po’ meno la Bundesliga. Proprio oggi, sull’Equipe, c’è un articolo interessante che analizza lo stato economico delle squadre tedesche: anche in Germania, nonostante ci siano società sane, alcune potrebbero portare i libri in tribunale se non dovesse ripartire il campionato. Si nominano il Mainz e il Werder Brema. Quindi come vedi non credo che possa esserci un campionato che ne uscirà integro. Può esserci che ci sarà qualcuno che ne risentirà meno, ma la botta riguarda tutti.

 

In Italia e Spagna si discute molto sulla possibilità della cassa integrazione per i calciatori, abbassando i costi di gestione delle singole società. Il Barcelona sembra determinato ad applicare l’ERTE, mentre in Italia le Leghe di Serie B e C spingono per questa soluzione con la formula dei 50mila euro annui. Pensi che sia una strada percorribile?

Io sono favorevole nel caso dei calciatori delle categorie inferiori. Ci tengo molto a questo argomento. Si parla sempre di professionisti del calcio, come se fossero tutti dei privilegiati, dimenticandosi che in Serie C ci sono calciatori che guadagno bene, altri invece che guadagnano come un impiegato, e non sempre percepiscono lo stipendio. Intanto bisogna sottolineare che questi calciatori hanno anche una carriera molto contratta in termini di durata, e per loro l’impatto sarà maggiore. Bisogna imporre nel dibattito il diritto di questi lavoratori a forme di tutela del salario. Ovvio che man mano che guardiamo in alto, guardando gli stipendi di Serie A, parlare di cassa integrazione comporta qualche problema morale, non di poco conto.

Forse una soluzione a questa disparità potrà essere colmata dal semiprofessionismo?

 

Il tema del semiprofessionismo andava pensato prima, non adesso. C’è un dislivello tale da far risultare difficile la comparazione. Fanno lo stesso lavoro in dimensioni diverse. Talmente diverse da non renderle omogenee. Il semiprofessionismo è un reperto archeologico degli anni ’70 che va studiato per bene. Se dev’esser solo un modo per sgravare le proprietà da alcuni obblighi verso i professionismi, creando maggiori rischi per i calciatori, allora no. Va ripensato il concetto stesso. Ci vuole un tavolo di lavoro in ambito federale. È una soluzione sulla quale bisognava lavorarci tanto in passato, adesso risulta difficile immaginare una rivoluzione simile, soprattutto in questo momento. 

 

Un tifoso del Napoli durante il match di Champions contro il Barcelona (Foto Francesco Pecoraro/Getty Images)

 

In Nba gli stipendi si pagano ogni 15 giorni e adesso le società avranno la possibilità, prevista dal contratto collettivo, di sospendere i pagamenti nei casi di “epidemia/pandemia”. Perché in Europa non sono mai state introdotte tali possibilità contrattuali?

La realtà americana è completamente diversa da quella europea. Proprio come impostazioni societarie. Lì si parla di franchigie e non di club sportivi. Si parla di soggetti di proprietà dell’impresario e non sono espressione del territorio. A partire da questo si capisce che c’è un’altra cultura e tutta un’altra formulazione sugli equilibri contrattuali. È molto difficile guardare ad una simile esperienza.

 

Tutte le volte che il calcio europeo ha provato a scimmiottare la Nba o altre leghe nord americane ha prodotto solo degli ibridi indigeribili, a partire dalla superlega. Una lega dei ricchi che non ha il principio un principio di redistribuzione delle leghe professionistiche americane. Quelle soluzioni le lascerei lì, ai nordamericani. Bisogna trovare delle soluzioni più consone alla nostra cultura europea.

 

Conclusione campionato, qual è la migliore tra le tante proposte per la Serie A?

Su calciomercato.com ho fatto una proposta. Le stagioni vanno portate a termine in qualsiasi momento, anche a costo di portarle a termine a dicembre. Questo comporterebbe una taratura diversa del campionato basata sull’anno solare: non avere più la stagione 2020/21 ma solo la stagione 2021. Il mondiale del Qatar offre questa possibilità, dato che si giocherà in inverno. Già questo avrebbe costretto alla ridiscussione dei calendari.

 

Questa cosa può diventare un’opportunità per riprogrammare il calendario partendo dall’anno solare piuttosto che sul ciclo delle stagioni. Alla fine del 2022 si ritorna alla normalità con i calendari tradizionali. Io sono dell’avviso che le stagioni vadano portate a termine; se è possibile concludere il campionato, anche a porte chiuse, va fatto. Se invece non si può proprio concludere, credo che assegnare lo scudetto a chi è prima ora in classifica, basandosi sull’interruzione del campionato, possa esser antisportivo, preferisco che non venga assegnato.

Ipotizzando una ripresa dei campionati, come possono le società prolungare i contratti oltre il 30 giugno senza altri esborsi economici?

La Fifa pare stia lavorando alla proposta di far durare la degenza dei contratti fino alla fine della stagione, poi dipende dalle possibilità economiche dei club. Al momento è tutto aleatorio.

 

Gruppo MAGOG

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