Qualcuno in Europa inizia a svegliarsi. Di non solo (fanta)mercato vive l’uomo, ma anche di dribbling mortiferi, di tocchi meravigliosi, di stop e finte per mandare al bar il diretto marcatore. Javier Marcet è direttore della Fondazione spagnola Marcet, specializzata nella formazione di giocatori e portieri dai quattro anni in su, e ha parlato ai microfoni di Abc, giornale spagnolo, dichiarando: “L’asfalto è il grande nemico del calciatore di oggi. Il calcio sta diventando molto tecnico ma diventa sempre più difficile dribblare. Prima era più libero, più naturale. I grandi campioni sono giocatori nati con il pallone tra i piedi e sono andati a scuola con il pallone, nelle zone dove non c’era l’asfalto. Se vai per le favelas, tra i sacchi della spazzatura, le pietre, le radici degli alberi, la gente… impari a contrattare su tutto quello che ti capita”.
Ecco perché la comparsa di giocatori come Kvaratskhelia, Vinicius, Yamal, Zaragoza, Nico Williams, scrive il giornale spagnolo, «è stata una boccata d’aria fresca in un calcio ristretto in cui i rigori tattici stanno consumando la spontaneità dei giocatori. Il gioco di posizione e il possesso palla che hanno elevato le migliori squadre degli ultimi anni, come il Barça o il City di Guardiola, rivoluzionando il modo di difendere e anche di attaccare, hanno causato danni collaterali alla creatività e hanno riaperto un vecchio dibattito da bar: è meglio il calcio di strada o quello accademico?».
È un problema antico, del quale sulle nostre colonne abbiamo trattato innumerevoli volte. Come dice Jorge Valdano, “abbiamo esasperato gli allenamenti a uno o due tocchi, anche senza gol. Il risultato è una moltitudine di giocatori in tutta Europa che controllano e passano perfettamente, ma non troverete palleggiatori”. L’articolo su Abc è interessante oltre che per l’intervista per le letture che dà sul tema: la tesi di fondo è che i calciatori di oggi sono bravi cento volte tanto quelli degli anni Ottanta e Novanta a livello tattico, ma cento volte meno di loro nelle giocate individuali – che significa dribbling sì ma anche tiro da fuori, passaggio filtrante, in generale la giocata estemporanea.
Secondo Salva Garcia Puig, ex nazionale e Barcellona anni Ottanta, “in tutte le squadre c’erano calciatori di questo tipo. Anche le piccole squadre avevano giocatori di grande talento. Adesso il calcio è diventato molto prevedibile e anche i giocatori che affrontano e dribblano molto sono malvisti. I giocatori del mio tempo erano cresciuti per strada, con quello che comporta. Adesso tutto è sempre più studiato, il sistema, le posizioni, tutto è molto più ristretto. Prima era lasciato alla fantasia e al talento dei giocatori”. Persino uno come Yamal, fortissimo individualmente, “se guardi bene è all’interno di un sistema in cui, per le sue qualità, ci prova raramente, con il grande talento che ha. Quando ha la palla succedono sempre delle cose, ma dentro uno schema e con un lavoro segnato da un allenatore”.
Leggi, approfondisci, rifletti. Non perderti in un click, abbonati a ULTRA per ricevere il
meglio di Contrasti.
Proprio un allenatore, José Luis Mendilibar, aveva detto a Relevo che “noi allenatori abbiamo una grande colpa se non ci sono più i palleggiatori. Insegniamo ai bambini solo a fare schemi. Sembra che il calcio sia questo: combinare, passare… Tutto il resto sembra smettere di essere calcio. Il dribbling è l’azione tecnica più innata del gioco per il giocatore”. Miguel Hernandez infine, ex giocatore del Rayo e dell’Espanyol e insegnante di calcio nelle Scuole federali, ha aggiunto sempre ad Abc un concetto importantissimo: la mancanza di naturalezza nell’apprendimento del gioco dei ragazzi.
“La mancanza di questi calciatori è l’eredità di anni di lavoro su una metodologia. Ora si usano molto le figure di passaggio, i piccoli giochi, i possessi. Tutto è molto strutturato, ma manca la naturalezza. Prima potevi giocare ovunque nel tuo quartiere, accanto alle macchine…
Oggi no, oggi devi giocare nel centro sportivo della scuola, gli sport sono equiparati per età, non c’è progressione”. Ecco perché chi sa dribblare è non solo merce rara, ma da tenersi stretta: “Il modo migliore per rompere un sistema tattico è l’uno contro uno perché si crea già una superiorità numerica. Andrebbe incentivato molto di più nelle scuole, utilizzato molto di più”, ha concluso Hernandez. Il problema è stato finalmente posto, ora sta a noi tutti approfondirlo.