Simone Mastorino
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Tifo
Simone Mastorino
13 Giugno 2024
Hansa Rostock, se il tifo insegna la storia
Un viaggio tra le ceneri ancora calde della DDR.
“Ah! è necessario soffrire eternamente o eternamente fuggire il bello? Natura, incantatrice spietata, rivale sempre vittoriosa, lasciami! Non tentare più i miei desideri e il mio orgoglio!”. Così scriveva Charles Baudelaire nel suo Spleen di Parigi per esplicitare il proprio malessere, intrappolato in una condizione esistenziale di costante insoddisfazione.
Ecco, se il tifoso del Torino fosse un letterato come il poeta maledetto, i pensieri della mente verrebbero espressi con le medesime parole su carta; l’opera si chiamerebbe Spleen di Torino o Spleen granata ma poco cambierebbe. Ogni frase sembra scritta ad hoc, specialmente la prima, angosciante, domanda: perché soffrire così tanto e non poter gioire mai, condita da un inevitabile dio fa’.
Un’esclamazione di questo tipo l’avranno detta spesso i tifosi del Torino quest’anno, intrappolati in una lunga crisi che partendo da Cairo e sfociando in Juric passa pure per episodi a dir poco discutibili. Un esempio recentissimo? I commenti non richiesti di alcuni tesserati sul pullman in direzione Superga, o il palleggio in mezzo al campo di Uros Kabic (poverino, non sapeva nulla: ma perché nessuno lo ha informato?) durante la dedica dei Sensounico al Grande Torino sulle note di Quel giorno di pioggia, nell’intervallo di Torino-Bologna.
Tutto questo mentre siamo già entrati nel mese di maggio, quello nel quale, come ogni anno, il campionato dà i suoi verdetti con le giornate decisive per decretare campioni, retrocessi e qualificati alle coppe europee. Lo stesso maggio in cui, in un piovoso pomeriggio di 75 anni fa, iniziò la maledizione granata con la tristemente celebre tragedia di Superga. Anche quest’anno, il 4 maggio, il tifoso del Toro è salito sul colle per ricordare i propri campioni trascinando con sé tutte le sofferenze dell’ennesima stagione dove desideri e orgoglio sono stati tentati e poi spietatamente vinti.
Mentre in piazze come Bologna ci si appresta a festeggiare un impronosticabile quanto meritato accesso in Champions e a Bergamo si ambisce a trofei nazionali e addirittura europei, la Torino granata si sarebbe accontentata di una qualificazione in Conference, un’Europa di terza classe dove poter fare quelle indimenticabili trasferte in pullmino in Lettonia o nella provincia ungherese del caso, da ricordare poi tra venti o più anni con i compagni di avventura.
Le chances e le tentazioni per raggiungere l’obiettivo sembravano essere davvero concrete, in virtù di casistiche quasi irripetibili: la squadra con lo scudetto cucito sul petto che cambia tre allenatori in una stagione e oscilla tra il 7° e il 9° posto, una Fiorentina che, giusto o sbagliato che sia, concentra i suoi obiettivi più sulle partite del giovedì che su quelle del weekend (lo si è visto bene ieri a Verona) ma soprattutto uno slot europeo extra in classifica grazie ai punti ottenuti nel ranking UEFA dalle italiane in corsa nelle competizioni europee; un’ottava posizione che si va ad aggiungere allo scontatissimo 7° posto liberato dalla noiosissima Coppa Italia, dove le finaliste rientrano quasi sempre tra le prime sei della classe e di conseguenza non hanno bisogno di vincere la Coppa per giocare in campo europeo la stagione seguente.
Anche con queste condizioni favorevoli la formazione di Juric non riuscirà a regalare, anzi a consegnare meritatamente alla tifoseria, il tanto desiderato orizzonte europeo. Già, Juric, il tecnico croato che mai come quest’anno ha avuto un rapporto burrascoso con i tifosi. Una stagione in cui, alla Curva Maratona in protesta con società e squadra durante un Toro-Sassuolo di novembre, ha rivolto un dito medio al triplice fischio, incontenibile dal box dell’Olimpico Grande Torino da cui aveva assistito alla partita, squalificato. Il tutto è stato chiarito giorni dopo, incontrando una delegazione di ultras al Filadelfia, con Juric che ha affermato come il gestaccio non fosse rivolto a loro, bensì semplice frutto di uno scarico di
tensione generale. Rapporto ricucito, almeno a parole.
Arriva poi il 4 febbraio, la squadra arriva da un promettente inizio d’anno con la travolgente vittoria casalinga per 3-0 contro il Napoli, un pareggio a reti bianche in quel di Genova, con il settore ospiti di Marassi riempito da oltre duemila granata, e tre punti di carattere conquistati a Cagliari. Ospite del Torino è la Salernitana, ultimissima e addirittura in emergenza difensiva, costretta a schierare un Jérôme Boateng che non metteva ufficialmente piede in un rettangolo verde da otto mesi. Tutti si aspettano una grande prova, e invece uno 0-0 con un solo, timido, tiro in porta alla peggior difesa del campionato fa ripiombare i tifosi nello spleen baudelairiano di cui sopra.
Juric si presenta in conferenza stampa e spiazza tutti, lamentandosi di una parte di tifoseria da cui vorrebbe vedere più attaccamento verso la squadra, dopo un match che aveva visto accorrere oltre 24 mila spettatori in uno stadio che ne contiene 28 mila scarsi. Le dichiarazioni destano subbuglio e toccano nuovamente l’orgoglio del popolo granata, tanto che viene indetta dal mister una conferenza stampa straordinaria il giorno dopo, in cui si scusa per aver espresso male il concetto e per essere stato impulsivo, tanto da essere sgridato dalla moglie. Tra le domande poste sull’obiettivo europeo e sul suo futuro, il tecnico sbotta e dice chiaramente che se non sarà Europa lascerà Torino.
Il Toro riprende la sua marcia con prestazioni che lo fanno rimanere agganciato al treno europeo ma, puntualmente, nelle partite della verità, in cui deve capire chi vuole essere da grande, arriva il passo falso: l’ultimo, definitivo, arriva contro il Frosinone in casa, in cui colleziona l’ottavo 0-0 stagionale, triste primato tra i top 5 campionati europei. Non a caso lo 0-0 è il risultato simbolo della stagione dei torinesi, certificato di un’invidiabile solidità difensiva grazie all’efficace assetto a tre che ne fa la quarta difesa della Serie A ma al contempo espressione di una frustrante sterilità offensiva.
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Quest’altalena di risultati, a cui si aggiunge il nono anno (il terzo per Juric) senza successi in un derby, altra triste costante per il popolo granata, è stata il fil rouge del travagliato rapporto tra Juric e i tifosi, un odi et amo destinato, probabilmente, a consumarsi con l’addio dell’allenatore di Spalato alla fine di questo mese. Un uomo a cui, nonostante tutto, va riconosciuto il merito di essere stato sempre schietto nella comunicazione, con stampa, tifosi e organi societari (è nota la lite con il ds Vagnati durante il ritiro estivo o i messaggi diretti all’immobilismo sul mercato del presidente Urbano Cairo).
Juric, pur con tutti i difetti del caso, ha preso in mano un Torino reduce da due anni orribili con tanto di retrocessione sfiorata e varie umiliazioni (vedi gli 0-7 contro Atalanta e Milan, o i poker subiti a Lecce o a La Spezia), lo ha riassestato e ne ha valorizzato alcuni elementi, su tutti Bremer venduto a peso d’oro ai vicini di casa e Alessandro Buongiorno, torinese e torinista per cui i tifosi granata dovranno patire quest’estate gli assalti delle big italiane e non solo. Dell’operato di Juric, tirando le somme, rimangono però i numeri ed i piazzamenti in classifica, i quali potrebbero recitare per il terzo anno di fila “decimo posto”, sinonimo di un elettrocardiogramma piatto dove la sensazione è che non compaiano picchi negativi né positivi.
Dulcis in fundo, sono giunte le difficoltà per il tifo organizzato granata che da inizio marzo ha deciso di non esporre più striscioni e bandiere nella mitica Curva Maratona, a seguito di una pioggia di Daspo (surreali per le cause della condanna) che ha ulteriormente mutilato una curva già ferita nel profondo dalla gestione Cairo.
Eccola, allora, l’ennesima stagione “da Toro” (quello targato Cairo, naturalmente), l’ennesimo anno angusto in cui lo spleen l’ha fatta da leit-motiv. Probabilmente Baudelaire era del Toro prima che il Toro nascesse, o comunque sarebbe stato granata se fosse stato un nostro contemporaneo. Una magra consolazione in un mare di tristezza senza fine.