Cristiano Lucarelli non è ciò che è stato descritto. «Jeder Mensch hat ein eigenes Maß»: ciascuna persona ha la sua misura, ci fa sapere Herder, in un contesto in cui la “ragione strumentale” non aveva né teorizzazioni né definizioni, ben prima della contemporanea banalizzazione di qualsiasi forma di individualismo. Come se pensare a se stessi sia un crimine. Ciononostante, potremmo dire che Lucarelli sia autentico: nel senso che, a prescindere dalle sue esperienze, si è consegnato al popolo con la sua misura, spogliato anche dei pregiudizi ideologici che hanno segnato il suo stare nel mondo del calcio. A volte, persino ingiustamente.
Il capitano di tutti
Se il comunismo fosse solo un precetto spirituale, non servirebbe il cristianesimo. E viceversa: se il cristianesimo fosse anche il fondamento di un’ideologia politica, non servirebbe il comunismo. Ciò che non traspare in un doppio piano di discussione sul filo della blasfemia è che, al di là degli orizzonti comunitari, persino un comunista e insieme un cristiano possono sentirsi soli. A questo va aggiunto un dato di fatto incontrovertibile: oltre ad essere stato disegnato a lungo come un uomo solo, Cristiano Lucarelli si è fatto da solo.
Nulla che l’epica calcistica non possa collegare a quel pizzico di retorica che da sempre gioca a guastare l’atmosfera, per puro sollazzo artistico. E invece no: la storia di Cristiano da Livorno è un po’ più complessa e articolata, personalmente e ideologicamente, di quanto si pensi e di quanto la favoletta del “primo e unico comunista nel mondo del calcio” faccia trasparire.
Il 9 luglio 2018, tornato nella sua Livorno come allenatore dopo la prima esperienza al Catania, ad accoglierlo al Picchi c’erano tremila tifosi con fumogeni e cori: poco meno di metà di quelli che il 4 novembre più avanti travolsero di fischi la sua squadra, dopo una sanguinosa sconfitta contro il Perugia. Quello che per molti era l’ennesimo lieto fine ad una storia di giri immensi si è trasformato in un mezzo incubo calcistico con 5 punti in 10 partite in Serie B e l’esonero: a ribadire la teatralità di un normalissimo caso di progetto mai partito, non il primo né l’ultimo in questo sport, il comunicato ufficiale della società amaranto:
“La società A.S. Livorno Calcio, con grande rammarico e dispiacere della società e degli azionisti tutti, come purtroppo accade in questi casi in cui l’unico a pagare è l’allenatore, annuncia il cambio di mister Lucarelli alla guida tecnica”.
Senza retorica, e senza le premesse malintese e strumentalizzate, l’epilogo dell’avventura di Cristiano Lucarelli da allenatore del suo Livorno sarebbe potuto essere diverso. Rivolgendo lo sguardo ad orizzonti comunitari e non atomistici si può anche dire che Lucarelli non sia venuto al mondo per se stesso: durante la presentazione da allenatore al Picchi, dietro al velo di emozione, ammise pure il rischio di implosione che un contesto come Livorno porta con sé, calcisticamente, giorno dopo giorno.
“Questa piazza, purtroppo o per fortuna, è schiava di un rapporto carnale con la squadra. Deve essere in simbiosi con la squadra, e per far questo bisogna cercare di mettere su una rosa che abbia un senso di appartenenza notevole verso questi colori. Dobbiamo essere bravi a scegliere non tanto i calciatori, quanto gli uomini”.
Sciolto dai partiti e dalle ideologie, quel che resta è l’autenticità. Un omone che non ha perso il suo temperamento, tonificato da un calcio andato. Stancato probabilmente dalle delusioni, ma affamato di rivalsa: sarebbe uno spot perfetto persino per i più alti brand d’abbigliamento sportivo, figuriamoci per piazze ridicolizzate da gestioni societarie assurde. Se vogliamo tracciare un punto di partenza alla vera storia di Cristiano Lucarelli, quella post ritiro e ben lontana dalle favolette, è qui che possiamo farlo: perché è qui che Lucarelli è diventato il capitano di tutti.
Tenetevi il miliardo… e anche i pregiudizi
Chi ne ha fatto strumento di propaganda politica rimarrà deluso: oggi Cristiano Lucarelli non ha colore. Non calcisticamente: che poi è quanto ci importa e quanto ci consegna la divisione finalmente ammessa e operata tra pubblico e privato, in termini sportivi, dalla morte di Diego Armando Maradona. Forse è questo che Charles Taylor, uno dei più importanti pensatori del nostro tempo, vuole comunicarci discutendo del “disagio della Modernità”, rivalutando quest’ultima: possiamo pure discutere della perdita di orizzonti morali a scapito di un sempre più perfezionato individualismo, ma senza quelli quale dignità avrebbe l’uomo? Quale libero arbitrio? Quale realizzazione?
In un certo senso, il termine più adatto a definire Cristiano Lucarelli è “populista”, ma non nelle accezioni esasperatamente sfiancate dalla società contemporanea. Se populista significa “appartenente al movimento del popolo”, il livornese ne è un valido rappresentante: senza però demagogia. Che ne sarebbe stato di Aristotele e della sua definizione di uomo come zoon politikon, animale politico come abitante della polis, al giorno d’oggi? Populista, comunista, fascista: a tratti illuminista. Forse anche terrorista, viste le idee sovversive.
In effetti per questo, o anche per questo, Tenetevi il miliardo (libro scritto dall’ex attaccante del Livorno con il suo procuratore, Carlo Pallavicino) rimane uno dei testi più ambigui e inesatti nella letteratura sportiva moderna: Lucarelli non ne parla praticamente mai. Il fatto è che, dopo un’attenta rilettura in chiave contemporanea, ci si accorge facilmente che di quel disegno non vi è che una traccia sbiadita nel presente: che al di là dell’amore per Livorno e della scelta di rifiutare il miliardo di lire del Torino, radici, tutto il resto è ciò che si è voluto raccontare, tralasciando l’uomo per il calciatore. Mischiando l’ordine e i contesti.
Per tutta la sua carriera, persino parte di quella che sta proseguendo, Lucarelli è stato segnato e accompagnato dalla premessa di “comunista” ad ogni genere di percorso sportivo (e non), anche quando non necessaria. Nel febbraio del 2017 il Fatto Quotidiano racconta il triste epilogo della vicenda che ha legato, per un periodo di tempo, il Corriere di Livorno, una schiera di giornalisti e Cristiano Lucarelli, allora principale azionista del quotidiano: una delle più classiche, terminata con il licenziamento dei dipendenti.
Voleva solo fare l’imprenditore in un mondo infame come il nostro: nel titolo del pezzo sul Fatto viene definito, appunto, “comunista”, come fosse il presupposto sempre vero di una corretta redistribuzione di risorse in un sistema e di storie a lieto fine. Ma la realtà è ben più complessa delle teorie ideologiche.
Verso l’autenticità
Sta di fatto che Lucarelli è diventato il capitano di piazze notoriamente di destra, oltre che di sinistra: Catania è una di queste. Reduce da una stagione folle al Messina, che verrà ricordata come quella della protesta al cantiere navale dell’allora ex presidente Natale Stracuzzi per il mancato pagamento degli stipendi ai suoi calciatori, nel luglio del 2017 l’allenatore livornese viene presentato a Torre del Grifo, casa del club rossazzurro, dopo ore di dibattiti social sul colore politico.
Il siparietto che viene fuori ad un certo punto della conferenza nasconde un messaggio destinato a tracciare un divisorio: Lucarelli mostra un orologio, raccontando di averlo vinto a pranzo da Pietro Lo Monaco, allora direttore generale etneo. Un Audemars Piguet, che non è proprio il simbolo della classe operaia: se fosse possibile, e soprattutto se ci fossero garanzie di lettura, qualcuno ci scriverebbe un libro. Il beffardo disegno che si cela dietro all’episodio si compie due stagioni più tardi, quando Lucarelli torna al Catania, ma questa volta tra le macerie: la società sta fallendo, ad un certo punto smetterà anche di pagare gli stipendi ai calciatori e parte della squadra verrà liquidata su WhatsApp.
L’orologio vinto grazie ad una scommessa ad uno dei principali artefici del quasi fallimento del club rossazzurro segna simbolicamente la realizzazione dell’ideale anticonformistico di Lucarelli a Catania, in un periodo in cui chiamava i suoi giocatori, non pagati e trattati come stracci, “kamikaze”, e in cui un intero popolo alle pendici dell’Etna aveva trovato una nuova guida spirituale.
Per intenderci e finalmente dare una direzione a quanto finora scritto: qui siamo oltre il “comunismo”. Far sì che l’affermazione della dignità dell’individuo e della sua realizzazione prevalga su un certo tipo di antropocentrismo, abbracciando ideali comunitari, è quanto di più vicino ci possa essere ad una forma liberamente espressa di cristianesimo. Non ha chiesto lui di farsi portavoce dei giocatori del Messina, come del resto di quelli del Catania: lo ha fatto perché, autenticamente populista, ha seguito il popolo, non rinunciando alla propria individualità.
Nel febbraio del 2018 il Catania, allora in lotta con Lecce e Trapani per la promozione in Serie B, riesce a pareggiare una partita recuperando dallo 0-2, in casa contro il Cosenza: a fine gara i fischi del Massimino fanno innervosire Lucarelli, ancora alla sua prima esperienza in rossazzurro.
“Io ci crederò fino all’ultimo minuto del campionato, se qualcuno non ci crede, e non mi riferisco a squadra o società, vada a fare altro, qui c’è una bella sala bingo per esempio”
In città non si è parlato d’altro fino alla fine della stagione e oltre, tanto da rinfacciargli la storia del bingo ad ogni gara al di sotto delle aspettative, seguita dalla definizione di “comunista”. Attualmente lo ricordano tutti come uno dei migliori allenatori e uomini professionisti passati in città, perché è riuscito ad incarnare gli ideali di un popolo. «Cos’è cambiato? Il modo in cui la gente mi ha accolto questa volta». E la politica no, non c’entra nulla.
Al di là del bene e del male
C’è un passo di Nietzsche (in Al di là del bene e del male) che può aiutarci ulteriormente a comprendere il Cristiano Lucarelli contemporaneo. «Noi, che abbiamo un’altra fede – noi, per i quali il movimento democratico non è solo una forma di decadenza dell’organizzazione politica ma una forma di decadenza e cioè di riduzione dell’uomo, un suo diventare mediocre e perdere di valore: dove dobbiamo rivolgerci noi, con le nostre speranze? Verso nuovi filosofi, non rimane altra scelta».
Poco democraticamente (nel calcio può esserci democrazia?), Lucarelli si è fatto guida senza bisogno di mettere davanti la filosofia di comunista. Tornando a Taylor, il disagio della modernità nasce dalla necessità di ridar dignità all’individuo come tale senza perdere di vista la comunità: il cristianesimo, come accennato, vive lo stesso disagio da sempre. O, almeno, da quanto si è deciso di diffonderne il verbo e i precetti, resi in pratica.
Lasciata Catania, piazza di destra, da filosofo-profeta su una nave che stava affondando (ma che miracolosamente è stata tenuta a galla, ceduta e restaurata), Cristiano Lucarelli si è trasferito alla Ternana, piazza di sinistra: la sua idea calcistica, però, è rimasta di centro. «Se devo scegliere tra Allegri e Sarri, tra risultati e bel gioco? Io sono in mezzo ai due», ha affermato in un’intervista ad una testata catanese, chiudendo con una rinnovata presa di posizione politica. «Chi butto giù tra Renzi o Salvini? Tutt’e due, così salvo uno tra Allegri e Sarri». La sua Ternana, però, è per adesso il progetto calcistico che gli è riuscito meglio.
Le fere attualmente guidano il Girone C di Serie C con 40 punti (+6 dal Bari dei De Laurentiis e a +13 dal terzo posto), vantando il miglior attacco (41 reti) e la migliore difesa (11 gol subiti), senza sconfitte (unica squadra) e con 11 vittorie consecutive tra la quinta e la quindicesima giornata. A differenza del Catania che lottò per la promozione nella stagione 2017/18 con numeri comunque molto positivi (6 vittorie consecutive dalla terza giornata in poi e miglior attacco del torneo con 65 gol), la Ternana gioca bene in maniera costante, superando anche le difficoltà propositive che alcune (non tutte) squadre di Lucarelli hanno mostrato negli ultimi anni, a scapito del concetto di “lotta”.
“Se mi piace trovarmi in situazioni societarie difficili? Se dovessi scegliere direi di no: forse in queste situazioni riesco ad essere più responsabilizzato”.
Contrariamente al recente passato, Lucarelli si trova finalmente in una società che non vive ai confini della realtà. La Ternana è un club solido ed economicamente forte, con un proprietario, Stefano Bandecchi, ambizioso a tal punto da acquistare i diritti di trasmissione in chiaro di ogni singola partita della sua squadra (con un impegno economico di 230mila euro) come rimedio alle oggettive difficoltà di diffusione di Eleven Sports, società che detiene i diritti della Serie C.
Ha messo da parte le sfide da suicidio calcistico maturando come allenatore e pensando almeno una volta a se stesso e alla sua carriera: perché in questo sport le belle storie rimangono tali. Nel 1997, dopo il gol alla Moldavia al Picchi di Livorno con la Nazionale Under 21, esulta sfilando la maglia e mostrando Che Guevara: c’è chi ha impegnato inchiostro e occupato pagine intere da quel momento provando a farlo diventare un simbolo. Per i livornesi lo sarà sempre, giustamente.
La verità, forse, è che Cristiano Lucarelli è un uomo, prima che una bandiera da sventolare e strumentalizzare a seconda dell’occasione: che sia comunista o meno, non importa. Ai tifosi importa che sia ciò che è: l’incarnazione perfetta del messaggio contenuto nel suo nome, in chiave calcistica. Cristiano e capitano di tutti, contro ogni pregiudizio.