Calcio
02 Febbraio 2020

Cristiano Ronaldo non è l'uomo che credete di conoscere

Chi si cela dietro alla maschera da egocentrico del fuoriclasse portoghese?

Insegnava un Carmelo Bene soggetto ai riflettori del Maurizio Costanzo Show: «Sono un capolavoro» (risate). «Attenzione, che qui la vanità è finita. Non c’è più vanità». I numeri di Cristiano Ronaldo sono noti pure ai marziani. I suoi successi personali, i trofei vinti con le maglie di Sporting Lisbona, Manchester United, Real Madrid, Juventus e Portogallo, oltre ad arricchirsi anno dopo anno – se non mese dopo mese – sono così prestigiosi da non lasciare più spazio, ormai da qualche tempo, all’opinione.

Cristiano Ronaldo sta al calcio come un carrarmato sta alla guerra. Nonostante l’età avanzi anche per uno come lui (classe 1985), il fuoriclasse portoghese continua a sentirsi tale e quale al ragazzo cresciuto tra le strade di Funchal. Il suo obiettivo, dopo aver visto e saggiato il pallone per la prima volta, è sempre stato lo stesso: diventare il più grande di tutti. Ci è riuscito, per la giuria di France Football, almeno cinque volte (per il palmares completo vedi qui).

Per la madre, invece, i riconoscimenti non sono che l’ovvia conseguenza di un lavoro durato una vita. Quando è costretto a lasciare casa per andare allo Sporting Lisbona, alla soglia dei 13 anni, mostra il petto di fronte alle lacrime della famiglia, del padre Denis, che morirà nel 2005 dopo una lunga lotta all’alcolismo, del fratello Hugo, che con Cristiano uscirà vincitore da una terribile battaglia con la dipendenza da droghe pesanti. È l’orgoglio di un ragazzino sulle cui spalle – meglio, sui cui piedi – c’è il peso di un’intera famiglia.

“Lo accompagnarono dei dirigenti dello Sporting. Mentre era con noi in aeroporto si faceva forza, ma poi in aereo pianse per tutto il viaggio”, racconta la sorella di Cristiano, Elma.

Cristiano Ronaldo percepisce, oggi, un ingaggio pari a 31 milioni di €. Da questa cifra sono ovviamente escluse le partnership con Herbalife, EA, Nike e le svariate vendite legate al marchio CR7 – equivalente, per immagine, solo a quello di Michael Jordan. Che Ronaldo abbia una montagna di soldi, d’altra parte, è risaputo. Quello che non si sa è come Ronaldo utilizzi questa ricchezza.

Quando nel 2011 vince la Scarpa d’Oro segnando 40 reti, ritira il premio affiancato da due mostri sacri come Di Stefano (leggenda del Real Madrid) ed Eusebio (idolo del Benfica e della nazionale portoghese). Saluti, abbracci, risate e ringraziamenti. Ma anche l’inizio di un’attenzione particolare ai meno fortunati. CR7 decide infatti di vendere il proprio premio ad un’asta di beneficenza. I soldi della vendita, ben 1.2 milioni di sterline, vengono utilizzati per costruire alcune scuole di Gaza rase al suolo dalla guerra. Con questa porzione di mondo, Cristiano intratterrà sempre un rapporto solidale.

Il conflitto arabo-israeliano è sì una questione delicatissima, ma essa non esula dall’argomento del nostro articolo. Se del tutto infondato è il presunto anti-sionismo di Cristiano Ronaldo (dato in pasto ai media mondiali dalla temibile Al Jazeera), è però vero che in più di un’occasione – e non solamente in quella sopra riportata – il fuoriclasse portoghese si è avvicinato (almeno economicamente) alla Palestina. Niente di strano, o di sospetto, d’altronde. La fondazione del Real Madrid è da sempre molto vicina alla popolazione palestinese, e da qui probabilmente deriva l’attenzione del fuoriclasse portoghese. La società madridista d’altronde ha contribuito alla costruzione di 167 scuole in 66 Paesi, tra i quali figura anche Israele.

La donazione alla Croce Rossa nel 2013 (Photo by Jasper Juinen/Getty Images)

Nel 2013, Ronaldo vende il suo Pallone d’Oro a un’asta di beneficenza tenutasi a Londra. I soldi del guadagno – 530.000 sterline – sono stati donati alla fondazione Make-A-Wish, il cui obiettivo è quello di garantire cure e sollievo ai bambini con malattie terminali o potenzialmente tali. Ronaldo è d’altra parte ambasciatore di tre tra le maggiori organizzazioni di beneficenza mondiali: Save the Children, Unicef e World Vision. Nel discorso di premiazione per il Pallone d’Oro del 2014, il suo appello non a caso è rivolto ai bambini malati di leucemia.

Lui, abituato da piccolo a mangiare un hamburger in tutta la giornata, o uno yoghurt – «per tornarsi ad allenare in fretta», racconta la madre –, quel ragazzo coi denti storti e il pianto facile, preso in giro da tutti per l’accento un po’ contadino, orfano di padre a vent’anni e lontano dalla propria famiglia a tredici, è quasi ossessionato dall’idea di far sorridere un bambino. Forse riesce ad immedesimarsi in un’età difficile in cui le cose non dipendono da noi e neanche dalla nostra volontà, per quanto granitica; sente vicina la sofferenza (soprattutto quella molto più pressante di quanto sia stata la sua) di chi è davvero, e totalmente, innocente.

Nel 2016 ad esempio ha registrato un messaggio rivolto ai bambini coinvolti nel conflitto siriano, chiamandoli true heroes (veri eroi), e mostrando loro la sua vicinanza (non solo emotiva, ma economica); non solo parole ma anche un impegno sincero e consapevole. La donazione è accertata ma non quantificabile, per stessa volontà del portoghese che ha esplicitamente chiesto a Save the Children di non rivelarne la cifra. Strano, per uno che ha fatto dell’immagine e della vendita mediatica di sé la cifra della propria carriera.

Il messaggio di Cristiano Ronaldo ai bambini siriani

Il suo aiuto coi piccoli porta a raccontare almeno altri due episodi (ce ne sono molti altri). Nel 2009 Nuhuzet Guillen, un ragazzo malato di cancro, arriva a contattare Cristiano Ronaldo, appena passato al Real Madrid, con la speranza di poterlo conoscere di persona prima di abbandonare questa terra. Ronaldo vola dal ragazzo, passa con lui un’intera giornata e paga tutte le cure necessarie a donare almeno una speranza alla famiglia. Nonostante le condizioni di Nuhuzet siano proibitive, Ronaldo decide ugualmente di prendersi carico della spesa. Nuhuzet morirà dopo pochi mesi.

Nel dicembre del 2015 invece, allo Stadio Bernabeu, Ronaldo incontra il piccolo Haidar, bimbo libanese rimasto orfano di entrambi i genitori dopo un attacco kamikaze a Beirut, nella capitale. È vero, il calcio in confronto a certe tragedie non è che un gioco. Ma il video dell’incontro parla da sé: il bimbo piange di gioia, mentre il suo idolo lo tiene abbracciato e al sicuro. Il calcio può dove la vita manca, e Ronaldo questo lo sa bene.

CR7 è poi un grande donatore di sangue, e negli ultimi anni è stato anche testimonial dell’AVIS. Questo è il principale motivo per il quale ha scelto di non tatuare neanche un centimetro del proprio corpo, per poter donare con regolarità e senza mesi di attesa (l’inchiostro dei tatuaggi, per rischio infezione, impedisce infatti per un periodo di poter donare il sangue). Per concludere, il portoghese è donatore di midollo osseo. Ciò, ha dichiarato, è un gesto

«ritenuto da molte persone un gesto delicato e complesso, ma non si tratta d’altro che d’un prelievo di sangue. Non fa male e può salvare molte vite».

Questo, al di là di ogni milionaria donazione, ci sembra essere l’aspetto più straordinario nella persona di Cristiano Ronaldo. Il contrasto con il CR7 personaggio, con la maschera infallibile e quasi disumana nei suoi eccessi di vanità. Colpisce allora pensare ad un ragazzo cresciuto in un ambiente ostile, portato prima ad abbandonare la propria famiglia, poi a vivere un sogno – diventare il giocatore più forte del mondo – come fosse un obbligo. Da qui la sua ossessione feroce per la vittoria. Ma da qui la sua, insospettabile, umanità.

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