Da leggenda vivente a fardello il passo è in un click.
Sembra ormai una consuetudine. Da hapax siamo ormai alla regola: la (ex) squadra più forte del calcio italiano è uscita dall’Europa prematuramente. Tra le possibili cause della disfatta, il giornalismo sportivo ha scelto il suo bersaglio. La frustrazione e la rabbia si sono vestite con empito livoroso di un abito facile, quasi irrispettoso. Il colpevole per tutti è lui: Cristiano Ronaldo.
Il fuoriclasse portoghese è tutto a un tratto vecchio, superato. È macchinoso, lento. È un accentratore di gioco, è egoista. È incapace di mettersi al servizio della squadra. È sopravvalutato e sazio. È innamorato della sua immagine, un solipsista della peggior specie. L’analisi più spietata giunge dalle parole del vate Cassano. Uno che – purtroppo – non ha peli sulla lingua, che può e deve dire tutto. Cristiano Ronaldo, per Fantantonio, è dannoso. Prima di ogni altra cosa, per il calcio di Pirlo. Ronaldo è un peso. È un lusso che non ci si può più permettere. Peggio ancora: è parte di un ingranaggio che senza di lui funzionerebbe meglio.
Primo: vorremmo davvero che qualcuno ci spiegasse cos’è il calcio di Pirlo. La Juventus, da due anni a questa parte, è confusa, sbiadita. La dirigenza ha accelerato un processo di trasformazione che era ben lungi dall’essere pronto. Si è voltato pagina in maniera brusca. La squadra è divisa tra il suo passato di bruttezza taumaturgica e il suo presente di bellezza irraggiungibile. L’esigenza frettolosa di una palingenesi verso il moderno ha minato le certezze dei giorni perduti, ormai soltanto un nugolo di ricordi. A tenere in piedi il tutto è stato Cristiano Ronaldo.
In un anno dilaniato dalle incertezze, il portoghese ha segnato più di chiunque altro. I gol con la Juve sono 92 in 121 presenze. CR7 detiene il 64 per cento delle reti segnate dalla Vecchia Signora nella fase a eliminazione diretta della Champions League (7 su 11, e prima del Porto erano 7 su 7). Ha infranto il record di reti segnate da un singolo giocatore della Juventus in una stagione di Serie A e in questa stagione è già a quota 20 in 22 presenze. Cristiano Ronaldo è un campione, è indiscutibile.
Discutere Ronaldo da un punto di vista tecnico è hybris, pura follia. Affermare che la sua centralità è eccessiva vuol dire fare un errore di memoria, prima ancora che di valutazione. Significa degradare il lavoro di alcuni dei più grandi allenatori della storia del calcio, accomunati dall’aver costruito alcuni dei loro cicli vincenti attorno alle gesta di Cristiano Ronaldo.
Significa produrre elucubrazioni fallaci su Ferguson, Ancelotti, Zidane, Scolari o Mourinho (per citarne alcuni). Stupirsi della sua mancanza di generosità o altruismo significa non conoscerlo fino a fondo. CR7 non ha mai giocato per i compagni. Il suo obiettivo, contrariamente a ciò che ci dice nelle sue interviste, è lo stesso di Achille. A Ronaldo interessa il suo nome, la sua gloria imperitura. I successi delle sue squadre sono sempre stati conseguenze dei suoi. Davanti al collettivo, ha sempre messo se stesso. È il prezzo da pagare per averlo in squadra.
Chi gli sta di fianco, deve sapere che significa partire da uno a zero. Ma non solo: serve sacrificio per colmare la sua negligenza atletico-difensiva. E del resto c’è poco da stupirsi. È il meccanismo che sta alla base di qualsiasi squadra di calcio, a partire dalla Terza Categoria. I più forti segnano, i più scarsi corrono. Platini insegna: a lui spettava la gloria, a Bonini la corsa.
Ciò che davvero può essere criticato non è Ronaldo ma il contorno. Il suo acquisto ha comportato un esborso eccessivo, probabilmente non sostenibile e reso ancora più gravoso dalle laceranti conseguenze che la pandemia ha avuto sul mondo del pallone. La Juventus si è dovuta adeguare, costruendo una squadra con evidenti lacune e mettendo sotto contratto giocatori lontani anni luce dal DNA bianconero. Il mercato dirigenziale, vero punto di forza delle passate stagioni, è passato da una maniacale programmazione a un continuo e trafelato rabberciamento.
L’analisi da fare sarebbe più profonda e analitica. Ciò che si deve evitare, però, è seguire il flusso impetuoso, bieco e inelegante della stampa acchiappa-click degli ultimi giorni. Cristiano Ronaldo ha giocato con il Porto una delle sue peggiori partite di sempre. È apparso assente, avulso e stanco. È mancato in quella che Fabrizio Gabrielli definisce forse come la più grande delle sue qualità: la capacità di essere focalizzato interamente sul presente.
Ronaldo era altrove. O forse per la prima volta era vicino, qui accanto a noi mortali. Insicuro come noi e come noi vittima talvolta di un destino perdente. Tutto ciò non ci deve far perdere però il senso della misura. Ronaldo è soltanto la punta di un iceberg, l’uomo in grado di coprire le contraddizioni più recenti della Juventus e ora il capro espiatorio di una stampa feroce nei suoi confronti. D’altronde si sa, lo sciocco guarda il dito che indica la luna e non la luna. Basterebbe ampliare lo sguardo.