Calcio
17 Novembre 2017

Cuoio giallo, pt. 2

Chi ha ucciso Dino Fiorini?

Il 25 maggio 1930, Giuseppe Della Valle ha ormai intrapreso il viale del suo tramonto calcistico. Cresciuto in una famiglia di pionieri del pallone, ha esordito nel Bologna nella stagione 1919/20, andando a comporre con Schiavio, Perin e Muzzioli il poker d’assi offensivi, che consentirà di portare sotto le due Torri i campionati ’24/25 e ’28/29. In particolare, in maglia rossoblu, la sola ed unica della sua vita, è sceso in campo più di duecento volte mettendo a segno 115 reti. Per lui, anche diciassette presenze e sei gol in azzurro tra il ’23 ed il ’29. Insomma una carriera invidiabile, che però sta volgendo al termine. Ora, la laurea in ingegneria gli assicura un sicuro futuro professionale, ma il destino e soprattutto il presidente Bonaveri delineano per lui un ruolo dirigenziale, in seno alla società petroniana. Così, mentre cerca di ritardare l’addio al campo, nel tempo libero “Geppe” comincia a fare l’osservatore, per prendere dimestichezza con la nuova mansione. Quel pomeriggio, mentre si domanda come dividersi tra le pratiche da ingegnere e la scrivania del club, sta percorrendo la trentina di chilometri che separano Bologna da San Giorgio di Piano, antico centro situato nel lembo di pianura padana tra il capoluogo emiliano e Ferrara.

 

Infatti sul campetto locale si gioca il “derby” tra i ragazzini della Sangiorgese e del San Pietro in Casale e tra i padroni di casa c’è un giovanissimo, che gli interessa particolarmente: è il terzino Dino Fiorini, che per tutta la partita domina incontrastato la fascia destra, percorrendola ripetutamente da un’area all’altra. Forza fisica, intraprendenza e buona tecnica in rapporto al ruolo sono doti che, per Della Valle, dovranno essere affinate ulteriormente nel vivaio rossoblu. Così, dopo il triplice fischio, convinti i genitori Argentina e Cesare, formalizza l’accordo con la Sangiorgese, a cui spetteranno 2000 lire e cinquanta palloni in vero cuoio. Ovviamente non è necessario vincere alcuna resistenza da parte di Dino, che freme dalla voglia di cimentarsi con la nuova realtà. La sua nuova vita prevede ora due allenamenti settimanali con le giovanili, sessioni individuali per migliorare i fondamentali e qualche “sgambata” con la prima squadra. In più, si dedica a saltuari lavori per rimpinguare il bilancio familiare, già alimentato dal rimborso riconosciutogli dal club.

 

Panoramica del Littoriale dal Colle della Guardia
Panoramica del Littoriale dal Colle della Guardia

Vissute un paio di stagioni di “praticantato”, nell’estate del ’32 partecipa alla preparazione e viene aggregato stabilmente alla prima squadra, con cui esordisce all’ultima giornata di campionato. Infatti è negli undici scelti da Achille Gama per affrontare la Pro Patria, a Busto Arsizio. L’allenatore brasiliano è stato tra i giocatori che hanno fondato l’Internazionale Milano e, dopo trascorsi da arbitro, ha intrapreso la via della panchina. “Buona la prima” come si dice, tanto che Dino è proposto nuovamente tra i titolari che inaugurano l’annata ’33/34, superando l’Alessandria al Littoriale. Proprio l’odierno “Renato Dall’Ara”, con il relativo complesso sportivo, è il vanto del podestà di Bologna Leandro Arpinati, che ha attuato un imponente piano edilizio a livello cittadino. L’impianto, costruito con il tipico mattone rosso, è considerato il primo grande stadio d’Italia per via della capienza di 50.000 posti ed è caratterizzato dall’imponente Torre di Maratona, che sormonta i distinti di fronte alla tribuna coperta. Tale costruzione è collegata al porticato che si snoda dal colle del santuario della Madonna di S. Luca e si erge nel punto dove, nel 1849 gli Austriaci fucilarono il prete Ugo Bassi ed altri patrioti, arrestati in seguito ai moti dell’8 agosto dell’anno precedente. Inoltre il partito fascista aveva già colto il potenziale propagandistico del football, tanto che il 29 maggio ’27 l’amichevole d’inaugurazione tra Italia e Spagna si era disputata alla presenza del re Vittorio Emanuele, dopo che lo stesso Mussolini aveva tagliato i nastri del campo ufficialmente ad ottobre.

 

Sotto i ferri..

 

Ritornando ora a Fiorini, il ragazzo di San Giorgio riesce a ritagliarsi un ruolo sempre più ampio, ma dopo la quarta giornata il ginocchio sinistro gli duole terribilmente. I successivi esami evidenziano la rottura del menisco, che costringe il giovane sotto gli abili “ferri” del professor Scaglietti. Nel frattempo la squadra conclude al quarto posto in classifica, dopo l’arrivo dell’allenatore ungherese Kovacs. Durante l’estate, l’attaccante Schiavio ed il terzino Monzeglio sono protagonisti del trionfo azzurro ai Mondiali, mentre la nuova stagione si apre con l’impegno in Coppa dell’Europa Centrale. Il Bologna è stato il primo club italiano a mettere in bacheca questo trofeo nel ’32 ed incredibilmente il successo viene bissato due anni dopo, grazie alla forma straripante dell’ala sinistra Reguzzoni. Intanto durante la competizione, si è rivisto in campo Fiorini, che ha anche siglato il suo primo gol da professionista e può così guardare con ottimismo al nuovo campionato. Però, durante le prime giornate i felsinei pagano le fatiche della coppa ed il gioco latita come la forma fisica. Di giornata in giornata la situazione non sembra migliorare e l’insoddisfazione del neo presidente Renato Dall’Ara si manifesta con l’esonero del tecnico Kovacs. Reggiano di nascita, il nuovo proprietario è uno dei maggiori imprenditori nel campo della maglieria e la nuova carica gli è stata imposta da Arpinati in persona che, tifoso rossoblu, vuole assicurare alla società un futuro radioso almeno quanto la passata gestione del patron Bonaveri.

Il neoallenatore Weisz, in tenuta da allenamento, alla sinistra del presidente Dall’Ara
Il neo allenatore Weisz, in tenuta da allenamento, alla sinistra del presidente Dall’Ara

Si decide quindi di affidare la compagine ad un altro ungherese, Arpad Weisz, che ha precedentemente guidato l’Inter allo scudetto del ’29/30. Il magiaro è una vera e propria enciclopedia di football, grazie ai trascorsi da giocatore nella sua nazionale ed agli studi sulla scuola sudamericana e britannica. Ora, la mano del nuovo mister permette alla squadra di assestarsi e di concludere al sesto piazzamento, mentre Fiorini diventa titolare inamovibile. Terzino in coppia con il grintoso Gasperi, ala, oppure mezzala il giovane è sempre in campo ed il tecnico lo apprezza talmente tanto da acconsentire a cuor leggero la cessione alla Roma del campione del mondo Monzeglio. Inoltre, il terzino è l’istruttore di tennis di Bruno e Vittorio, figli di Mussolini, perciò si vocifera che il cambio di casacca sia stato caldeggiato proprio da “Sua Eccellenza” in persona, per avvicinare l’atleta a Villa Torlonia. Ai nastri di partenza della stagione ’35/36 il Bologna scatta veloce, cogliendo sette vittorie in otto partite, ma a metà campionato una sconfitta sul campo dell’Ambrosiana raffredda gli entusiasmi. Nell’occasione “Fiurein” sfoggia la sua bonaria spavalderia, divenuta ormai celebre all’interno dello spogliatoio rossoblu, nonché cagione di diverse “tirate d’orecchie” da parte dei senatori. Infatti, prima del fischio d’inizio, Dino si avvicina a Meazza e gli mostra il pallone, invitando il campione ad osservarlo bene, perché non lo avrebbe più visto nei seguenti novanta minuti. “Peppin” lo ascolta divertito e si limita a rispondergli con un sorriso sardonico, da divo hollywoodiano. Al termine dell’incontro, il tabellino riporta il 3-1 per i padroni di casa, con il fuoriclasse nerazzurro incontenibile autore del momentaneo raddoppio. All’epoca, i fenomeni come il “Balilla”, antesignani dei moderni numeri “10”, sono solo due in tutta Europa. Il primo è Giorgy Sarosi, funambolico centromediano del Ferencvaros e della nazionale ungherese, mentre l’altro è ovviamente Matthias Sindelar, artista dell’Austria Vienna e del Wunderteam. Le maglie in lana intrecciate sull’immenso prato, i volti imperlati di sudore ed i muscoli tesi nel tentativo di anticipare il diretto avversario: chi scrive è stato fortemente suggestionato, immaginando il duello tra il campione austriaco e Fiorini, due uomini divisi sul terreno di gioco, ma accomunati da un nefasto destino. In seguito, la migliore difesa del campionato permette ai felsinei di cucirsi il terzo tricolore sul petto, ma in Coppa Mitropa proprio “Cartavelina” e compagni interromperanno il cammino dei freschi campioni d’Italia in Coppa Mitropa. Ad ogni modo l’annata è stata senza dubbio un trionfo e, per Dino, le soddisfazioni del rettangolo verde giungono in coppia a quelle private. In particolare, prima riceve la convocazione per vestire la maglia azzurra della Nazionale “B”, poi apprende che diventerà padre da Italia, la ragazza che lo aspetta ogni sera a San Giorgio, da un paio di anni ormai.

Fiorini, il giorno delle nozze, 1° marzo1938. Al centro la moglie Italia, ultimo a destra Renato Dall'Ara (Foto Archivio TIMF)
Fiorini, il giorno delle nozze, 1° marzo 1938 (Foto Archivio TIMF)

 

Lo squadrone che tremare il mondo fa

 

Intanto, mentre l’Europa vacilla di nuovo verso il baratro della guerra, l’esercito regio invade l’Etiopia. Così, la leva obbligatoria coinvolge migliaia di giovani tra cui Fiorini che, arruolato nel VI Reggimento Bersaglieri, tuttavia può godere di innumerevoli privilegi in quanto calciatore. Durante l’estate, i ritiri del portiere Mario Gianni, ribattezzato “Gatto Magico” per le sue doti balistiche, e del monumentale centrattacco Schiavio, autore di 242 reti in massima serie, costringono la società a muoversi sul mercato. Fortunatamente Weisz ha le idee chiare: all’ombra delle Due Torri arrivano Carlo Ceresoli dalla sponda nerazzura di Milano e l’attaccante Giovanni Busoni. Il primo è ormai un ex nazionale, divenuto celebre per averne difeso la porta nella cosiddetta “Battaglia di Highbury”. Infatti, nel novembre del ’34 i campioni del mondo erano saliti nella “Perfida Albione” per affrontare in amichevole la rappresentativa inglese, che non aveva partecipato alla manifestazione iridata, ritraendosi dietro una supponente superiorità. Nonostante avesse respinto un penalty dello specialista Brook dopo appena 2’, Ceresoli non aveva potuto risparmiare un tremendo avvio ai numerosissimi compaesani, accorsi a Londra su treni speciali dal Belpaese. Addirittura al dodicesimo, la nazionale dei tre leoni conduceva per 3-0 ed il parziale sembrava poter assumere proporzioni “tennistiche”. Tuttavia, la doppietta di Meazza ed una seconda frazione di straordinario agonismo riportarono in partita la selezione di Vittorio Pozzo. Alla fine, soltanto il montante respinse in extremis il clamoroso 3-3 di coloro che vennero poi ricordati come i “Leoni di Highbury”. Ritornando alla nostra vicenda invece, il tecnico ungherese ritiene che il secondo acquisto, Busoni, abbia le caratteristiche ideali per esaltare il gioco offensivo del Bologna. In particolare l’ex punta del Napoli può essere definita “centravanti di manovra” ante litteram, perfetta, quindi, per innescare i tre temibili oriundi Andreolo, Sansone e Fedullo. Oggigiorno, sotto i portici del centro storico, c’è ancora chi narra le fantastiche combinazioni aeree compiute da quest’ultimi due, in grado di avanzare in coppia, senza fare cadere la palla. Nonostante lo scetticismo iniziale del presidente Dall’Ara, i frutti del “raccolto” di Weisz sono abbondanti ed a maggio si può festeggiare il secondo tricolore consecutivo. Appena un mese dopo, il BFC è invitato al prestigioso torneo dell’Esposizione Universale di Parigi. La formula ad eliminazione diretta pone sulla strada dei felsinei prima il Sochaux, secondo classificato nel campionato francese e detentore della coppa nazionale, poi lo Slavia Praga, campione di Cecoslovacchia, superate rispettivamente grazie ad un 4-1 e ad un 2-0. Infine il 6 giugno, il Bologna travolge con un perentorio 4-1 il Chelsea ed il capitano Schiavio, rimessosi gli scarpini per l’occasione, solleva il trofeo nel cielo terso dello Stadio di Colombes. Al di là delle esaltazioni della stampa nostrana, si può affermare che nella manifestazione la superiorità dei rossoblu sia stata schiacciante e che l’inequivocabile passivo rifilato ai “Blues” giustifichi ancora di più l’entusiasmo, con cui viene accolta al rientro in città la spedizione, portata in trionfo dalla stazione fino in Piazza Maggiore. In quegli anni di gloria, viene coniato il motto “E’ il Bologna lo squadrone che tremare il mondo fa”, tratto da un motivetto intonato al Littoriale.

L’ undici del trionfo sul Chelsea, Fiorini è il secondo in piedi da destra
L’ undici del trionfo sul Chelsea, Fiorini è il secondo in piedi da destra

Ovviamente anche Dino si è meritato gli stessi encomi riservati ai compagni e può condividere la soddisfazione con Italia e la primogenita Paola, nata a novembre. Sul rettangolo verde, tra campionato e coppa, ha sempre conciliato corsa e tecnica, divenendo uno dei principali interpreti del suo ruolo nel panorama nazionale. Anzi, si potrebbe dire che abbia contribuito all’evoluzione della figura del terzino, nonostante nel “metodo” la posizione fosse leggermente più arretrata rispetto alla contemporanea concezione. Weisz lo considera imprescindibile sia per il temperamento con cui si applica in difesa, sia per l’abilità di trattare la palla in fase di possesso, cioè senza ricorrere a rilanci affrettati, nonché preciso a scaricare al compagno meglio posizionato, riproponendosi poi in avanti. In lui, le doti tecniche e tattiche sono supportate da un atletismo dirompente, tanto che l’allenatore ungherese lo aveva elogiato così: “Fiorini è la sintesi vivente del giovanotto ventenne. Naviga con scrupoli di coscienza tra Scilla e Cariddi, delle quali la prima rappresenta il Dovere e la seconda il Piacere. Ma Fiorini per sette, otto mesi della stagione è sempre in gran forma. Durante questo periodo non si passa e ne sanno qualche cosa i suoi avversari. Copre i 100 metri in 11 secondi, salta in alto e in lungo come uno specialista e quando spicca il volo per prendere un pallone alto pare di vedere una scultura, talmente meraviglioso e perfetto è il suo stile. Fiorini sta per formarsi una famiglia; quando l’avrà, i sette – otto mesi di gran forma diventeranno dieci”. In quella estate del 37’, soltanto gli dei del pallone potevano prevederlo, ma l’annata appena conclusa rappresenta l’apice della carriera di Fiorini, la cui stella comincerà lentamente ad offuscarsi.

 

Il timore di Pozzo

 

La stagione ’37/38 scorre via veloce e, mentre l’Ambrosiana scuce lo scudo dei Savoia addossato al fascio littorio dalle maglie di lanina rossoblu, l’attenzione è catalizzata dalla Nazionale, che ai mondiali di Francia deve difendere il titolo conquistato quattro anni prima. Il Bologna offre un significativo contributo all’organico scelto da Vittorio Pozzo, che infatti seleziona Ceresoli, come secondo portiere, il portentoso centromediano oriundo Andreolo e l’ala Amedeo Biavati. Proprio quest’ultimo è la rivelazione degli ultimi due campionati e disorienta i difensori avversari con una strana finta, che successivamente diverrà universalmente nota come “doppio passo”. Tra i grandi esclusi c’è chiaramente Dino, che apprende la notizia con grande amarezza. Il c.t. non può che apprezzarne le doti in campo, ma teme le sue abitudini fuori dal rettangolo verde. Tenente degli Alpini durante la Grande Guerra, l’allenatore torinese costruisce un gruppo dalla tenuta mentale granitica, le cui gambe non tremino per le pressioni che giungono dal Paese e per la manifesta ostilità, mostrata dai tifosi di casa, sobillati dai numerosi italiani fuggiti dal regime. Sarebbe troppo rischioso aggregare un ragazzo tanto valido, quanto incline a cedere alle dolci tentazioni offerte da una città come la Ville Lumiere. Insomma, nello spogliatoio si sa che il bel viso e lo status di calciatore di Dino lo rendono richiestissimo dal gentil sesso, le cui aspettative sono spesso abbondantemente soddisfatte, anche a fronte di fughe dai ritiri ed imprudenti scappatelle. Inoltre, i suoi “impegni” si caratterizzano per particolare “democraticità”, coinvolgendo dalle tifose più passionali alle nobildonne solo apparentemente algide, le cui frequentazioni lo introducono agli ambienti dei dirigenti fascisti. Dopo la tournée in Algeria, mentre la Nazionale conquista il secondo titolo mondiale, Dino può lenire il dispiacere dell’esclusione in famiglia, ufficializzando il matrimonio con Italia avvenuto in marzo.

Meazza stringe la mano a Sarosy, prima della finale della Coppa Rimet 38’
Meazza stringe la mano a Sarosy, prima della finale della Coppa Rimet del ’38

Così, recuperate le energie, la stagione 38/39 sembra aprirsi sotto i migliori auspici, ma dopo la seconda giornata Fiorini accusa un insolito malessere, che rende necessari ulteriori accertamenti. La seguente diagnosi è un colpo tremendo: si tratta di sifilide avanzata, malattia che mette a serio rischio la sua carriera. Tuttavia, per il Bologna l’ottobre 1938 è ricordato soprattutto come il mese del forzato addio di Weisz, una delle numerose vittime delle leggi razziali, promulgate dall’ormai consolidata asse Roma-Berlino. Infatti con tale provvedimento, i cittadini di confessione ebraica sono allontanati da quasi tutte le professioni, allenatore di calcio incluso. Soltanto un’amara indifferenza da parte del mondo del calcio accompagnerà il viaggio di uno dei tecnici più capaci e vincenti del nostro campionato, costretto a lasciare lo Stivale in direzione Parigi, dopo aver conquistato tre scudetti e svezzato campioni quali Meazza. Successivamente l’invasione della Francia da parte dei nazisti lo costringe a riparare con la famiglia in Olanda, dove si stabilisce a Dordrecht, i cui mulini sono stati raffigurati dalle benedette mani di Vincent Van Gogh. Sulle sponde dell’Oude Maas, allena la squadra locale conquistando prima una miracolosa salvezza, poi un quinto piazzamento nella massima serie olandese, ma purtroppo questa è l’ultima tappa della sua fuga. Infatti la drammatica storia di Weisz e dei suoi familiari, riportata recentemente alla luce grazie allo splendido libro “Dallo scudetto ad Auschwitz” di Matteo Marani, si spegne in una delle camere a gas di quel maledetto campo di sterminio. Ritornando a Dino, la malattia e la partenza dell’allenatore ungherese, con cui aveva maturato 90 presenze da titolare in altrettanti incontri, sanciscono di fatto il declino della sua carriera. Nel frattempo sulla panchina rossoblu torna l’“Umazz” (“Omone”), ovvero Hermann Fellsner, già campione d’Italia con il Bologna nel 28/29. Sfruttando sapientemente il modello di gioco impostato dal conterraneo predecessore, l’allenatore ungherese conduce la squadra alla conquista dei titoli 38/39 e 40/41, che coronano uno dei cicli più vincenti del nostro calcio. Ripresosi intanto dal “male francese”, Dino è tornato nuovamente in campo nella primavera del ’39. Sebbene nei due campionati seguenti il suo apporto sia decisamente limitato, nella stagione 41/42 torna a giocare con buona continuità. Infine, il pareggio sul campo del Liguria nell’annata 42/43 rappresenta sia la sua ultima presenza in maglia rossoblu, sia l’ultima giornata del campionato italiano, che sarà inevitabilmente sospeso fino al 1946.

 

Dalla maglia rossoblu alla camicia nera

 

Infatti il 10 giugno 40’ l’Italia ha compiuto il passo più lungo della gamba entrando in guerra al fianco di Germania e Giappone, le altre due potenze dell’Asse. In tutto il Belpaese svanisce presto l’illusione di una rapida vittoria e la popolazione deve fare i conti con razionamenti di cibo, miseria e morte. Bologna, come tutti i principali centri del Paese, è bersagliata dai bombardieri alleati, che scaricano sulle città tonnellate di munizioni. La ferita più sanguinosa è inferta il 25 settembre 1943, un mese esatto dopo il voto di sfiducia del Gran Consiglio del Fascismo, che costringe Mussolini alle dimissioni da capo del governo. In questa data, ampie zone del centro storico sono rase al suolo ed i bolognesi piangono più di mille caduti.
In seguito, dopo l’armistizio dell’8 settembre, viene istituita la Repubblica Sociale Italiana e Dino Fiorini risulta tra i duecento fondatori del partito fascista repubblicano del capoluogo emiliano. L’ex terzino del Bologna è una delle camicie nere più famose in città e si divide tra operazioni sul territorio e mansioni d’ufficio, adempiute alla scrivania della caserma di via Magarotti (oggi Via dei Bersaglieri), a due passi dalle Due Torri. Nonostante abbiano cercato di sparargli due volte in pieno centro, Dino non ha paura di mostrarsi in divisa, convinto di non dovere temere per la propria vita, non avendo conti in sospeso con nessuno. Anzi, c’è chi sostiene che abbia addirittura sfruttato la sua influenza per proteggere amici di diversa fede politica.

Il bombardamento del 25 settembre 43’
Il bombardamento del 25 settembre 1943

Al suono delle prime sirene anti-aereo aveva trasferito la famiglia dal capoluogo emiliano alla natia San Giorgio ed è proprio da lì che parte per la sua nuova missione, nel settembre 1944. Ufficialmente deve compiere una perlustrazione nella zona di Monterenzio. Così, salito sulla sua motocicletta Guzzi, passa del negozio del barbiere dove carica l’amico Angelo Ferrari e insieme si avviano verso il piccolo centro, posto sulle colline a sud-est di Bologna. Il primo aprile di cinque anni dopo, sua moglie ne denuncia la scomparsa, perché nessuno dei due è mai tornato a casa. Inizialmente la donna non si era particolarmente preoccupata, perché il marito le aveva spiegato che le voci riguardo una sua presunta morte lo avrebbero tutelato dalle accuse di diserzione. Tuttavia, conclusa la guerra, Italia decide di cercare la verità sul destino dell’ex terzino del Bologna. Innanzitutto di fronte al giudice ricorda che, prima di lasciarla, Dino le aveva confessato di voler prendere contatto con il comandante partigiano “Lupo”. Questa intenzione troverebbe fondamento nel “passaggio” verso Monterenzio dato al Ferrari, effettivamente vicino agli ambienti della Resistenza. Perciò, sarebbe stato ucciso dai fascisti una volta scoperto il tentativo di doppio gioco? Allora, perché vestirsi in camicia nera per un’operazione così rischiosa, in una zona così capillarmente presidiata dai partigiani? Un’altra importante testimonianza giunge dal combattente “Zanfo”, presentato alla moglie di Fiorini da un’amica. Egli inizialmente suppone che la scomparsa di Fiorini sia dovuta “banalmente” ad un agguato dei partigiani, ma poi aggiunge che addirittura si sarebbe trattato di un errore. Infatti le sentinelle del comandante “Lupo” non sarebbero state avvertite dell’arrivo dei due e li avrebbero eliminati.

 

Questa ricostruzione appare però inverosimile di fronte alla nota precisione delle azioni organizzate dal suddetto capo partigiano, che morì durante uno scontro qualche tempo dopo. Invece, le parole di un altro membro della Resistenza, il “Monco”, aprono un nuovo scenario, ovvero quello della vendetta amorosa. Secondo lui, Fiorini avrebbe pagato con la vita la relazione con una donna sposata bolognese, da cui sarebbe nato un figlio. Insomma, chiavi di lettura differenti ed altrettante potenziali smentite. Quali certezze quindi? In primis sappiamo che il distretto militare del capoluogo emiliano dichiara Dino “disperso” in seguito ad un fatto d’armi, poi ufficialmente “irreperibile” nel ’46. Mentre riguardo la denuncia presentata dalla moglie, il tribunale di Bologna conclude di “non doversi procedere”, pur tuttavia riconoscendo il fatto avvenuto. Si esclude così la pista dell’incidente stradale, mentre le varie ricerche condotte dai familiari sul territorio non hanno portato alcun indizio nemmeno sulla sorte toccata ai due corpi. Non un fanale, un parafango, oppure un frammento qualsiasi della motocicletta sono venuti alla luce. Infine varie voci individuerebbero diversi luoghi di sepoltura tra il macabro ed il pittoresco, ma l’ipotesi più accreditata risulta essere il fondo di un crepaccio tra i colli. La speranza è che nel cimitero di Monterenzio una delle tante ed ormai logore lapidi, senza nome, custodisca il sonno eterno del terzino titolare di una delle formazioni più forti del nostro campionato, morto per amore, dovere, o forse vendetta.

 

Bibliografia

Dino Fiorini. Chi ha ucciso il terzino del Bologna?” di Piero Stabellini (2009)
Dino Fiorini” da Archivio TIMF.
Dallo scudetto ad Auschwitz” di Matteo Marani (Aliberti Editore, 2009)
Bologna, un secolo d’amore” di Gianni Marchesini (Marchesini Editore, 2009)

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