Dai Blur ai Gorillaz, nell'eclettismo di Albarn c'è un solo punto fermo.
Che anno incredibile fu il 2012 per Londra. La capitale inglese tornò infatti prepotentemente alla ribalta a livello sportivo: nel giro di un paio di mesi, prima la vittoria della Champions League da parte del Chelsea, infrangendo finalmente la maledizione che pendeva sulle squadre della capitale, e poi, in luglio, nientedimeno che i XXXesimi Giochi Olimpici. La cerimonia di chiusura tenutasi ad Hyde Park la sera del 12 agosto, quindi, doveva rappresentare la degna celebrazione di una città che da sempre è punto di riferimento culturale, artistico, sportivo. Una responsabilità da affidare a cerimonieri all’altezza della situazione.
E in effetti chi meglio di un gruppo formatosi tra le vie della città, e da sempre fiero portatore dei suoi valori? Sì, sono abbastanza attempati, ma i Blur ci sono tutti: gli occhialoni e la Fender di Graham Coxon, la timida presenza di Dave Rowentree, il ciuffo di Alex James, e ovviamente la polo d’ordinanza e il volto dai lineamenti perfetti quanto beffardi di Damon Albarn. Il frontman della band oltretutto, essendo uno sfegatato tifoso dei Blues, è il filo rosso che lega i due avvenimenti estivi.
Un viaggio quasi onirico attraverso la loro prestigiosa discografia: dall’ironica Girls and Boys, alle gemme come Coffee and Tv o Tender, fino all’inno generazionale di Parklife. Immaginiamocelo Damon, intento a chiudere la serata sulle note della suggestiva The Universal, di fronte ad una folla oceanica che pende dalle sue labbra. Il tutto mentre la sua squadra sta assaporando l’appagante sensazione del trionfo, la definitiva consacrazione capace di porre fine a quel sentimento di rivalsa che lacerava da un lato il cantante, dall’altro i supporters Blues.
La coolness degli anni ’90
Se c’è un decennio che meglio di ogni altro può descrivere le vite di Albarn e della sua squadra è sicuramente quello dei Novanta. Un lasso di tempo che vide l’Inghilterra uscire dall’era Thatcher come una farfalla dal bozzolo, riprendendo in mano le redini del panorama musicale mondiale e dando vita all’attuale Premier League. Le gesta di squadre leggendarie come il Manchester United di Ferguson e dei ragazzi del ’92, l’Arsenal di Bergkamp o lo stesso Chelsea di Vialli furono accompagnate dalle note di alcune fra le band più importanti della storia musicale rock e pop.
A partire dagli Stones Roses, prese vita il Britpop: genere che riportò i fans inglesi a strepitare durante i concerti, e a sgomitare davanti ai negozi di dischi.
Su tutte si affermarono in modo perentorio due band che, nel più classico gioco delle parti, avrebbero ricoperto i ruoli opposti. Da Manchester si presentavano gli Oasis, trascinati dall’enorme carisma dei fratelli Gallagher e portatori dei valori della working class dura e pura che non teme niente, nemmeno augurare l’Aids ad una persona in diretta televisiva; dalla borghesissima Londra provenivano invece i Blur ed il suo cantante Damon Albarn: colui che, negli auspici dei rivali, precisamente di Noel, avrebbe dovuto contrarre la terribile malattia sessuale.
Formatisi all’interno della prestigiosa Goldsmith University e partiti sotto il nome di Seymour, fecero il loro esordio nel 1991 con l’album Leisure, tentativo ancora assai acerbo e che non portò da nessuna parte – se non a quella di fare il verso alla tradizione beatlesiana. Ciò fu tuttavia propedeutico per il cambio di rotta, seguito al disastroso tour in Usa che devastò la fragile autostima del gruppo in una terra che all’epoca si alimentava a pane e grunge.
La frustrazione scaturita da quel viaggio sfociò in una rassicurante lode a Londra e alle abitudini dei suoi abitanti: Modern Life Is Rubbish del ’93 fu la prima pietra della trilogia in salsa Britpop del gruppo, capace di sfornare le prime hit come For Tomorrow o Sunday Sunday. Ciò rappresentò il preludio al loro capolavoro, quel Parklife che l’anno seguente ebbe il merito di lanciare la band nella stratosfera: Damon era diventato un sex symbol dal volto angelico ma con una vena satirica fuori dal comune, capace inoltre di scrivere testi che scavavano nel profondo dello spirito inglese, dei suoi eccessi e dei suoi tabù.
Quello stesso volto angelico invase le prime pagine dei tabloid anche a causa della ultramediatica relazione con Justine Frischmann, cantante degli Elastica, finendo inevitabilmente nelle grinfie della famelica stampa inglese. Fu in questo periodo che iniziò il suo tracollo psicologico, condito dall’uso e abuso di eroina assieme alla compagna, ma soprattutto causato dalla snervante rivalità con i fratelli di Manchester e dal cruccio della mancata affermazione in America che lo tormenterà per anni. The Great Escape del ’95 risentì di tutte queste problematiche e, nonostante avesse in serbo varie hit da classifica, si rivelò uno sbiadito tentativo di ripercorrere le orme del disco precedente.
Il 1997 è considerabile l’anno della rinascita: dopo una ventina d’anni, infatti, Damon e tutti i tifosi del Chelsea tornarono a sollevare un trofeo, mentre i Blur scioccarono il panorama musicale con l’uscita dell’album omonimo. Il club londinese, grazie alla prestigiosa FA Cup griffata Di Matteo e Newton, rimise un trofeo nella propria bacheca sigillata sin dai tempi della Coppa delle Coppe del 1971.
Il Chelsea non era mai stata una società di stirpe, una di quelle, per intenderci, dal background storico alla Liverpool o alla United: ebbe un primo sussulto negli anni ’60, all’interno della Swinging London e nelle vesti di squadra più glamour del paese, ma solo dalla seconda metà degli anni novanta si propose con forza ai vertici del panorama calcistico nazionale.
Ergendosi a vero club di culto, fu capace di portare dalle parti di Stamford Bridge stelle del calibro di Zola, Vialli o Gullit.
Proprio il fantasista sardo, contribuendo a scrivere la storia recente della società e macinando record su record, conquistò le simpatie dei tifosi: fra loro figurava anche Damon, che lo indicò come suo giocatore preferito, lodandone la sterminata tecnica che distribuiva sul rettangolo di gioco. La versione del frontman di quell’anno, però, fu totalmente diversa da quella sbarazzina che aveva imperversato nei periodi precedenti tra stadi e salotti televisivi.
Dopo un litigio sulla piega artistica da prendere con il chitarrista e migliore amico Graham Coxon, la band era fuggita in esilio in Islanda, tornando con in mano un disco che si posizionò il più lontano possibile dalle sonorità Britpop – Song 2 dice niente? Un deciso cambio di rotta che mostrò al mondo il loro eclettismo, e che seppellì una volta per tutte il vecchio sound sotto potenti riff.
L’anno successivo il Chelsea portò a casa un altro trofeo, una Coppa di Lega che fece da apripista al nuovo millennio sulla cresta dell’onda, mentre il gruppo di Albarn segnò il proprio canto del cigno con l’album 13: il fragile chitarrista era finito nella spirale dell’alcolismo mentre il cantante, scaricato dalla Frischmann, trovò nuova linfa riversando la propria malinconia all’interno della toccante No Distance Left To Run.
L’affermazione nel nuovo millennio
The End Of a Century fece la fortuna di Damon e la sua squadra. Il Chelsea, guadagnandosi lo status di top club, cominciò ad occupare stabilmente le prime posizioni in classifica e a scalzare quelle squadre che fino ad allora avevano dettato legge in Premier League. Allo stesso tempo, se la porta dei Blur pareva essersi definitivamente chiusa a causa della rottura con Coxon, la carriera artistica del cantante si arricchì di un capitolo imprescindibile.
Un paio d’anni prima infatti, finita la sua storica relazione d’amore, il giovane decise di dividere un appartamento nei pressi di Notting Hill con il fumettista Jamie Hewlett: quest’ultimo, dopo il loro primo incontro, definì Albarn “an arsey, a wanker” – un altezzoso e segaiolo – per poi divenire invece suo partner artistico nel fortunato progetto dei Gorillaz.
I due diedero vita ad un connubio mai visto prima nel mondo della musica, un geniale accostamento tra parti animate e eclettiche sonorità in grado di rappresentare a tutti gli effetti un fenomeno di costume tra i giovani dell’epoca. Se da un lato Damon e la sua band finirono per essere rinchiusi all’interno di personaggi dei fumetti, dall’altro fu l’espediente perfetto affinché il londinese potesse dare libero sfogo alla propria smodata creatività e alle mille sfaccettature del suo talento. Grazie a una solida base di elettronica, la band spaziò da un genere all’altro lanciandosi anche in numerosi featuring con rappers, una rarità per i primi anni del duemila.
Una ventata d’aria fresca che inondò le televisioni di tutto il mondo grazie agli innovativi videoclip, ma anche per il fatto che numerosi loro brani, come ad esempio Clint Eastwood, vennero adottati dalle pubblicità dell’epoca: la traccia in questione, risalente al 2001 (sì, proprio quella del Conto Arancio) finì per vendere ben 7 milioni di copie, permettendo a Damon di farsi apprezzare finalmente anche dal pubblico a stelle e strisce. Una rampa di lancio verso il successo planetario, proprio come fu per il Chelsea l’avvento di Roman Abramovich.
Se ne sono dette tante sull’oligarca russo, ma gli va riconosciuto l’indiscusso merito di aver portato il club nell’olimpo delle grandi europee: dal suo arrivo nel 2003, la polverosa bacheca dei Blues si è arricchita infatti di 18 trofei. Come un meteorite, il Chelsea si abbatté sulla Premier League, portando in dote allenatori carismatici come Mourinho e facendo emergere calciatori del calibro di Lampard, Terry o Drogba. Fu proprio il portoghese, considerato alla stregua di un Dio dal nostro Damon, a riportare il Chelsea sul tetto del calcio inglese dopo un’astinenza lunga 50 anni.
Da qui in avanti le strade del cantante e della sua squadra andranno di pari passo: una ineluttabile ascesa verso la gloria. I Blues, liberatisi della fastidiosa etichetta di squadra naif e includente, faranno incetta di trofei fino alla storica quanto incredibile conquista della Champions League (arrivata proprio grazie a quel Di Matteo che aveva inaugurato la stagione vincente del club). L’illustre tifoso, in parallelo, darà vita a svariati progetti sempre all’insegna di un abbacinante eclettismo, che sia un gruppo a tema musica africana o uno che arruola nomi del calibro di Paul Simonon, ex bassista dei The Clash, e Simon Tong, ex chitarrista dei The Verve.
Si deve proprio al suo caro amico Coxon, con cui si riappacificherà nel 2008, la definizione che meglio riesce a descrivere l’indole del frontman: sostanzialmente «un moto perpetuo di talento (…) che vorrà essere sempre ricordato per ciò che sta facendo o che farà, e non per ciò che ha prodotto in passato».
Il deprezzamento del Pipita nella percezione calcistica collettiva segue quello sul piano economico. L'approdo al Chelsea come ultima spiaggia per tornare a sorridere.