Perché, nella costruzione del mito, c'è già la sua distruzione.
Con il cuore aperto, prima che ancora tutto avvenga. Scusaci, perché succederà. Hai deciso di seguire il tuo sogno, hai deciso di incarnare il mito, di diventare simbolo. Ulteriormente, dopo la leggenda. Tu lo sai bene, noi (la moltitudine di tifosi, ultras e occasionali da divano e da pub) lo sappiamo ancor meglio. La costruzione del mito porta in sé la possibilità della sua stessa distruzione. Lo diceva lo storico dell’arte David Freedberg nel suo The Fear of Art: How Censorship Becomes Iconoclasm a proposito dell’iconoclastia, non come forma di distruzione ma come invevitabilità.
Freedberg scriveva questo testo nel 2016, a dieci anni esatti da quando avevi alzato una Coppa del Mondo dopo aver piazzato un rigore all’incrocio. Noi popolo, popolino, mezzo borghese, wannabe popolari, non siamo iconici. Moriamo dalla necessità e dalla voglia di icona solo per poi ridurla a pezzi. Sputarci sopra. Ecco, Daniele, capitano di un futuro sempre in attesa e che ora si concretezza con l’immanenza di uno schiaffo in faccia, scusaci.
Scusaci perché alla prima partita che perderai storceremo il naso e diremo che non eri pronto. Scusaci perché alla prima partita che vincerai diremo che noi l’abbiamo sempre saputo, che questa era la tua strada.
Scusaci per le volte che storpieremo le tue parole in conferenza stampa leggendole come i peggiori freudiani della storia, andando a vedere nell’uccisione o nella sostituzione del padre (Totti) la tua colpa originale. È un mea culpa infinito così come infiniti sono i cicli storici. Potrai vincere come un’impronosticabile Brian Clough o perdere come un banalissimo Inzaghi (Filippo), arriverà comunque il momento in cui ti calpesteremo. Non esiste un finale diverso.
E allora prima che la tempesta arrivi e si prenda anche me, voglio dirti che non volevo. Sono stato costretto da quel vortice di emozioni che compongono la nostra stupida e stupita vita da tifosi. Saliremo sul tuo carro t-max e allo stesso tempo scaveremo la tua fossa. Saremo ardenti e poi all’improvviso freddi a glaciali. Conteremo i cambi che farai, annoteremo ogni singola variazione tattica. Perché tu hai scelto di incarnarti e noi non possiamo che impazzire di fronte a questa scelta. Ti giochi la carriera, la reputazione. Per cosa? Fede, amore, dedizione. Follia. Noi siamo popolani di sangue e sterco, ad un certo punto non capiremo più il valore del sacrificio.
Come se non bastasse, De Rossi arriva dopo un mostro sacro (e un romanista acquisito) come Mourinho, e dopo un esonero che non è andato giù ad una gran parte del mondo giallorosso
Tu sei Tele Tubbies e pericolo di scivolata tatuato, Borghi in Suburra se fossi stato una serie, sei Barcellona autogol e goal, sei l’1 su 7 di Manchester, sei le Ceres e le radio. Alcune squadre alle quali hai segnato sono scomparse o sono molto, molto, lontane dai riflettori come Chievo, Reggina, Catania e Siena. I goal con la numero 4 prima di farci innamorare di un numero come il 16, che solo il tuo alter-ego irlandese Roy Keane aveva innalzato a numero speciale. Mi ricordo, quando giocavo negli esordienti del Primavalle e mi davano la 16, che pensavo sempre “Cazzo, pure sta volta in panchina”.
Poi sei arrivato tu e mi sono anacronisticamente riappropriato della mia adolescenza numerica dicendo con fierezza infantile – per l’appunto – “Io giocavo con la 16 di De Rossi”.
Oggi (è un oggi relativo, ovviamente) che le esultanze sono diventate schemi, gif e modelli di FIFA, il “GOOL” è detto senza far rumore perché tanto c’è la scritta sovra impressa e poi perché ci sono mille altre cose che catturano la nostra attenzione. Per questo – e altri motivi sotterranei – si vedono molti giocatori esultare in silenzio, in playback. Chi non si mette la mano davanti alla bocca esulta con la LIS (lingua dei segni italiana). Tu invece ti facevi esplodere la vena del collo, ti mangiavi la lupa sul petto, ti strappavi la maglia o te la strappavano (Cassano) perché esplodevi. Perché esplodeva tutto e tu eri la miccia.
Non so perché sono così malinconico. Forse ho paura che, con un tuo eventuale fallimento, muoia una parte di me, quella che si faceva coraggio delle esclusioni adolescenziali rileggendo tutto alla luce della tua forza. Forse sarebbe più sano e adulto accettare la realtà dei fatti. Accettare il lutto. Daniele è cresciuto, adesso allena. Non dico “magari non accadrà” perché accadrà. Magari non ora, questo è certo quello che ti auguro, ma comunque avverrà. Allora Daniele, mio santo patrono, patrono della giugulare ribollente di rabbia, perdona noi peccatori perché non abbiamo creduto abbastanza.