Tra Napoli e Madrid si combatterà una battaglia che ricorda quella di Salamina (480 a.C.), tramandataci nella sua epicità dolorosa e gloriosa da Eschilo nella tragedia "I Persiani".
La storia bussa alla porta almeno due volte. Quella del calcio non fa eccezione. L’incontro/scontro tra il Napoli ed il Real Madrid non è un “classico” del football, ma potrebbe diventarlo. E’ comunque un evento “storico”, a suo modo, perché eccita le fantasie e le proietta in uno scenario epico nel quale, manco a dirlo, tutto può accadere, come nella leggendaria sfida tra Davide e Golia. Ecco, tra il Santiago Bernabeu ed il San Paolo, il 15 febbraio ed il 7 marzo del 2017 non si disputerà la solita partita di calcio, ma si celebrerà un rito officiato da ventidue giocatori, con la partecipazione, in collegamento televisivo, oltre a coloro che affolleranno le gradinate del vecchio e malmesso stadio, di milioni di appassionati sicuri di assistere ad una sorta di ordalia (beninteso incruenta) tra chi si propone come favorito e protetto dagli dèi del calcio e chi agli stessi dèi vorrebbe strappare la promessa di una vittoria meritata e a lungo attesa. Tra Napoli e Madrid, per parlarci chiaro, si combatterà una battaglia che ricorda, a qualcuno vagamente, quella di Salamina, nel 480 a.C., tramandataci nella sua epicità dolorosa e gloriosa da Eschilo nella tragedia I Persiani. La Lega Panellenica, svantaggiata sotto molti punti di vista, nel secondo e decisivo scontro con la flotta avversaria, fu costretta dal generale ateniese che la comandava, Temistocle, a tentare il tutto per tutto pur sapendo di avere poche possibilità di riuscire a domare il nemico, sperando soltanto che la vittoria allontanasse il pericolo di un attacco dal mare del Peloponneso. Temistocle attirò le navi di Serse nello stretto di Salamina dove i persiani immaginavano che avrebbero bloccato in quell’angusto spazio di mare i greci. Lo stretto, inadatto al combattimento di un gran numero di imbarcazioni, impedì ai persiani di compiere le manovre necessarie per attuare la loro strategia. La flotta greca, agile ed agguerrita, intelligentemente predisposta, colse l’opportunità favorita dall’idea di Temistocle ed ottenne una vittoria che nessuno alla vigilia pronosticava.
Ritornano le similitudini. Lo sfavorito Napoli di fronte alla corazzata dei Blancos, riuscirà ad attirare nella sua rete i campioni d’Europa che, seppure digiuni di storia mediterranea, comprenderanno che farsi imprigionare nel dedalo delle trame partenopee potrà rivelarsi esiziale per le loro fortune? E’ questo l’interrogativo che intriga il mondo del football consapevole della reale disparità di forze in campo. A Salamina tutto era perduto, ma l’intelligenza di un generale e dei suoi comandanti non era stata buttata a mare né vinta definitivamente, dopo aver subito la prima sconfitta, da un grande re. E se gli dèi assisterono i temerari, non si vede perché lo stesso non debba accadere ai tenaci frombolieri di Sarri i quali, a differenza degli avversari, hanno solo da guadagnare da una sfida che resterà comunque negli annali del calcio, a condizione che venga preparata, gestita e giocata al meglio. Soldati di Salamina al Bernabeu e al San Paolo trent’anni dopo. Era la fine dell’estate, il 16 settembre 1987, primo turno di Coppa dei Campioni, partita secca. A Madrid tornava, dopo tre anni, Diego Armando Maradona. I tempi del Barcellona erano lontani. Ma il sogno di battere antichi rivali non s’era spento. In panchina Ottavio Bianchi, grande allenatore e grande signore, che aveva portato il Napoli ad appuntarsi il primo scudetto sulla maglia azzurra, comandava le operazioni. La partita venne giocata bene, in uno stadio deserto, surreale, per squalifica. La sorte tuttavia non fu amica dei partenopei. Il gol di Michel su rigore poteva essere rimontato al ritorno, ma tutto si complicò con l’autorete di De Napoli. Quattordici giorni dopo, a Napoli, davanti ad oltre 83.000 spettatori, sembrava che nell’Olimpo calcistico si fossero mischiate le carte: Giovanni Francini andò subito in gol. La speranza durò meno di quaranta minuti. Emilio Butragueno, uno dei più grandi attaccanti del calcio spagnolo, mise in rete un pallone imparabile. La squadra si spense, i madridisti si limitarono a contenere i tentativi modesti del Napoli di ribaltare il risultato.
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Un riassunto di Napoli – Real Madrid, Coppa dei Campioni 1987
Siamo abituati a vedere sui palcoscenici che contano grandi squadre contendersi titoli ambitissimi. A Napoli sembra che lo stesso copione, tranne poche eccezioni, dall’invariabile titolo si ripeta tanto per non smentire una tradizione, anche quando nelle sue file ha militato il più grande calciatore di tutti i tempi. Assisteremo anche questa volta ad una rappresentazione di Miseria e nobiltà. Ma c’è nell’aria qualcosa di diverso rispetto al passato che potrebbe far trionfare la prima sulla seconda. E’ lo spirito di una squadra che quando sembra attaccata si butta a corpo morto nell’impresa e riesce talvolta a farla sua. Cosa volete che sia un Pallone d’Oro (ottenuto per la quarta volta) contro tenaci e coriacei opliti della pedata, legionari d’Africa e di Spagna, napoletani d’Illiria e di Tracia, discendenti di barbari rami perduti nelle selve calcistiche d’Europa ammaliati dal Golfo più bello dove, se si ha orecchio, è possibile sentir cantare le sirene perfino nelle sere di febbraio e di marzo… E se l’armata composita dovesse portare il sogno per una volta a restare tale e non a tramutarsi in incubo, non sarebbe male che immaginasse di strafare. Nel solo modo possibile. Incontrandosi, oltre le strettoie di Salamina, in mare aperto, nel quarti di finale, ai bordi dell’Atlantico. Il Porto resti in attesa e dia il meglio di sé, sperando nell’evento.