La battaglia per i diritti tv ha più vinti che vincitori.
Mentre in campo l’Inter si appresta a vincere il suo 19esimo scudetto, negli uffici della Lega si sta disputando una partita molto più importante, perlomeno sul piano economico: quella dell’assegnazione dei diritti televisivi relativi al triennio 2021-2024, che sembra ormai ad un passo dalla sua ultima puntata.
Dopo aver dovuto ricorrere al Tribunale di Milano per il mancato pagamento dell’ultima rata dei diritti televisivi della stagione 2019-2020 da parte di Sky (vicenda che deve ancora trovare una conclusione definitiva), la Lega di Serie A è chiamata nuovamente a prendere una decisione, gesto che dalle parti di Via Rosellini non sembrerebbe essere troppo pacifico a giudicare dai numerosi rinvii sulla questione.
Sul tavolo, dopo le varie scremature iniziali (Amazon su tutte) sono rimaste solamente due offerte per il pacchetto principale: quella di Dazn, che ha messo sul piatto 840 milioni (a cui bisognerebbe aggiungerne altri 70 per il pacchetto di tre match che andrebbe a Sky) e quella di Sky, che si è fermata a 750. A questi numeri vanno poi ulteriormente aggiunti altri 55 milioni, risparmiati rinunciando alla mediazione di Infront, compito che sta svolgendo l’amministratore delegato della Lega Luigi De Siervo.
Le cifre proposte da Sky, che “dirige” la Serie A ormai da tempo immemore, sono molto lontane dai 973 milioni a cui sono stati assegnati i diritti tv del triennio 2018-2021. Tra le due parti si è registrata dunque una differenza di ben 100 milioni.
Ma allora perché Dal Pino e i presidenti di Serie A ci stanno mettendo così tanto ad assegnare la vittoria alla società di Simon Denyer?
Arrivato in Italia nel 2019, dopo essersi accaparrato i diritti di tre partite di Serie A a settimana, Dazn ha fin da subito generato una marea di polemiche. Polemiche nella maggior parte giustificate dai continui disservizi che hanno segnato l’anno d’esordio, e che oggi, a due anni di distanza, seppur in maniera molto più sporadica, continuano a ripetersi. Ultimo caso quello di Juventus-Cagliari del 21 novembre scorso, quando moltissimi utenti riscontrarono più di qualche problema nell’accedere al sito della piattaforma di streaming in occasione del match dei bianconeri.
Nascono proprio qui le perplessità del “fronte Sky“, che trova nei suoi maggiori sostenitori i presidenti di Sassuolo, Verona, Bologna e Cagliari: alla luce dei numerosi problemi riscontrati da Dazn negli ultimi anni, sarebbe davvero una mossa conveniente affidare il 70% della Serie A nelle sue mani? E se cominciassero a insorgere problemi di natura tecnica dovuta ai troppi spettatori sui server Dazn?
Una cosa è “gestire” l’afflusso di spettatori per tre match a settimana, un’altra è gestire quello di ben 7 partite. Domande a cui il “fronte Dazn”, sostenuto da tutti i pezzi grossi del campionato (Juventus, Inter, Milan, Napoli, Roma, Torino, Fiorentina, Atalanta e Lazio) avrebbe trovato una risposta grazie all’appoggio di Tim: qualora a “vincere” il pacchetto principale sia Dazn, la società del servizio di streaming sarebbe appoggiata da Tim nel ruolo di Telco, per supportarne la distribuzione.
In tutto ciò, comunque, a rimetterci davvero è il tifoso. Perché in pieno coronafootball, quindi in un contesto nel quale gli stadi sono chiusi e l’unico modo per vedere una partita è di pagare un abbonamento tv/streaming, non c’è scelta. Il tutto per la modica cifra di 60€ al mese, a voler essere ottimisti (30€ per Dazn, fonte Calcio e Finanza, 30€ per Sky Sport, allo stato attuale delle cose).
C’è un ultimo problema. Secondo l’Eurostat, nel 2020 il 21% degli italiani ha fatto a meno di internet, mentre il report World Broadband Speed League 2020, che si occupa di stilare di anno in anno una classifica delle nazioni basata sulla relativa velocità di navigazione internet, ci colloca tra i peggiori paesi europei: con una media di 23 Mbps, nel 2020 l’Italia si è vista letteralmente doppiare da paesi come Spagna e Francia.
Nel frattempo, grazie a una nota ufficiale pubblicata sul proprio sito, Dazn ha voluto precisare che “il 99% delle famiglie italiane è già in grado di dotarsi di una connessione a banda larga, necessaria tra le – tante – altre cose, a seguire in streaming la propria squadra del cuore”. Dichiarazioni molto discordanti da quelle rilasciate proprio qualche giorno fa da Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale al quotidiano Repubblica: secondo Colao infatti, circa il 45% delle famiglie italiane non dispone al momento della banda larga tanto decantata da Dazn e Tim.
A conti fatti rimane dunque la morale: il calcio non è di chi lo ama, ma di chi lo paga. E tra connessioni lente, stadi chiusi e nuove frammentazioni delle offerte (Champions League, Europa League e l’esordiente Conference League sono state già assegnate a Sky), moltissimi tifosi si perderanno per strada.
Dopo cinque giorni di ricatti, il fine settimana diventa una terra selvaggia in cui il singolo può finalmente rifugiarsi. Insomma per Junger era il bosco, per noi il calcio del sabato e della domenica