E con loro, sulla scia di Agnelli e compagnia, il tifo popolare.
Prima di iniziare con le accuse, rendiamo a De Laurentiis un merito inestimabile: quello di aver unito due tifoserie storicamente nemiche (Milan e Napoli) sotto l’effige dell’antico e mai tramontato movimento Ultras. Questo fatto, per così dire epocale, va però ricompreso in quello che ci ha spinto a muovere il nostro J’accuse al presidente del Napoli. Non è affatto un caso, infatti, se De Laurentiis sia tornato a parlare di ‘modello inglese’, peggio ‘modello Thatcher’, proprio nel momento più difficile e delicato del suo rapporto con la tifoseria organizzata partenopea (ne ha parlato l’edizione napoletana di Repubblica). Così, mentre il Napoli di Spalletti si gioca la storia settimana dopo settimana, il clima al Maradona è più simile alla fotografia di Sin City che a quella di Benvenuti al Sud.
Tutto è (ri)cominciato dopo l’azzuffata tra tifosi del Napoli in Curva B durante Napoli-Milan di campionato. Il motivo del ‘dibattito’, pare, la dissonanza tra gli Ultras – che dopo i divieti di De Laurentiis di introdurre bandiere, striscioni, tamburi all’interno del Maradona, hanno deciso di disertare il tifo in casa – e semplici tifosi del Napoli, incapaci di comprendere che l’amore per i propri colori e il rispetto per la propria dignità va ben al di là dei risultati del campo. Tradotto: De Laurentiis non può fare come vuole solo perché a livello sportivo le cose vanno molto bene.
Da uomo di spettacolo, De Laurentiis ha intravisto nella ‘guerra civile’ l’occasione più unica che rara per ribadire la propria idea di stadio: uno spazio a misura di bimbi e famiglie, possibilmente silenziosi e accondiscendenti, non il luogo sacro dove ogni domenica migliaia di aficionados riversano la propria fede e – per così dire – condensano la propria esistenza. Questa ‘idea’ di stadio, ça va sans dire, si basa sul ‘modello Thatcher’. Ovviamente De Laurentiis non sa di cosa parla, o almeno ce lo auguriamo. Se davvero lo conoscesse, infatti, saprebbe che il suddetto modello ha causato centinaia di morti anziché risolvere il problema della violenza negli stadi.
«Richiamarsi alla Thatcher è scorretto. Hillsborough fu causato non dalla violenza dei tifosi, ma dall’inefficienza della polizia, dalle gabbie e dalle recinzioni che il modello Thatcher aveva invocato negli stadi. All’epoca il principio madre era rinchiudere gli hooligans nelle gabbie, trattarli come animali per renderli innocui.
Questa narrazione non ha fatto che instaurare un rapporto di sempre maggiore tensione, nervosismo e sofferenza. A Hillsborough il sovraffollamento dei tifosi fu scambiato dalla polizia per invasione di campo, con le conseguenze che conosciamo tutti».
In realtà l’attuale ‘modello inglese’ – quello degli stadi a misura d’uomo, bellissimi eppure così silenziosi, così lontani dalla veracità di un tifo autenticamente vissuto – nasce proprio in seguito ad Hillsborough, quando la Commissione d’inchiesta capitanata da Peter Taylor appurò la vera causa della strage: le recinzioni volute appunto dalla Thatcher, presto abolite in tutti gli stadi d’Inghilterra (da lì in avanti, solo posti numerati). Nonostante questi fatti siano noti anche a chi ha una minima conoscenza della Storia del movimento Hooligans in Inghilterra e nel Regno Unito, De Laurentiis si è dimostrato dunque ancora una volta ignorante in materia. Anche perché nel riferimento al Primo Ministro inglese il patron partenopeo è evidentemente recidivo.
Ne ha scritto in modo approfondito Pierluigi Spagnolo sulla Gazzetta dello Sport, sottolineando come «quasi ovunque negli stadi della Premier League si sta seduti e si apprezza il gioco, mentre un tempo si “viveva” la partita in piedi, ammassati nelle terraces, facendo il tifo. Senza ovviamente rimpiangere gli hooligans, possiamo ammettere che gli inglesi ci hanno guadagnano in sicurezza, ma forse hanno perso un po’ della magia del calcio di una volta». Così ad esempio Liam Gallagher, storico tifoso citizens, ha dichiarato come ora (soprattutto) in Premier «sembri di essere a teatro, tutti seduti. Il calcio è passione e io non ci vado più per questo, non puoi godertela. È come se avessero tirato via la vita dagli stadi». In questo senso, ci ha rivelato in un’intervista l’autore di I ribelli degli stadi,
«De Laurentiis interpreta perfettamente il calcio di oggi. Almeno a partire dalla ristrutturazione dello stadio per i Giochi Mediterranei, sta trasformando il San Paolo in uno stadio teatro, con prezzi altissimi (sopra la media) e regole stringenti che non vanno bene agli Ultras del Napoli – soprattutto in un anno come questo. De Laurentiis sta facendo al Maradona e ai tifosi del Napoli quello che Agnelli ha fatto con lo Stadium e i tifosi della Juventus».
Pierluigi Spagnolo a Contrasti, 11.04.2023
Che cosa significa, tutto questo, sul piano pratico? Che «i moderni stadi del “modello inglese” sono sicuri ma “gentrificati”, è stato sottolineato da più parti. […] La relativa tranquillità degli stadi inglesi non è un effetto dell’efficacia delle norme più restrittive. Non solo di quello. Piuttosto è il risultato di una scrematura, di una selezione del pubblico attuata attraverso la leva del prezzo del biglietto, diventato progressivamente più costoso».
È molto semplice, e insieme molto inquietante chiaramente. De Laurentiis parlando della Thatcher forse sbaglia il riferimento, ma ha bene in testa a quale tipo di modello puntare da qui ai prossimi anni.
«Temo che il modello che tutti i presidenti hanno in testa è quello dello Stadium, ma anche degli stadi inglesi. Uno stadio teatro per spettatori da teatro, non tifosi ma appassionati benestanti, che secondo l’immaginazione dei presidenti si comportano meglio appunto in quanto benestanti. Avere un pubblico con sempre meno identità, avere più turisti allo stadio, per i presidenti, è un grande vantaggio dal punto di vista economico».
Pierluigi Spagnolo a Rivista Contrasti, 11.04.2023
Il che, tra l’altro, non elimina di per sé il problema della violenza – anche perché in Inghilterra continuano a darsele di santa ragione – ma lo sposta al di fuori degli impianti. È un’immagine se volete inquietante, ma concreta: al grande pubblico si vende un prodotto immacolato, privo di errori e debolezze, che oscura ogni forma di violenza (se qualcuno invade il campo, ad esempio, la telecamera è costretta ad inquadrare il ciccione in tribuna che si mangia tre hot dog bevendosi otto birre in contemporanea, o peggio il calciatore che si aggiusta i lacci degli scarpini) per dare all’esterno un’immagine pura e casta del Football. Ma è davvero questo il calcio?
Per approfondire la Storia del movimento Ultras in Italia consigliamo la lettura di questa piccola perla editoriale: I ribelli degli stadi, di Pierluigi Spagnolo (Odoya 2017).
Come si è giustamente chiesto Spagnolo, «avremo mai un pubblico liberato da ogni aggressività, un calcio senza eccessi? Probabilmente no, perché il mondo del pallone e gli stadi di calcio non sono altro che una rappresentazione della società che c’è fuori dai cancelli».
E infatti non è un caso che sia proprio la nostra società a nascondere la violenza, l’errore e la ferita mascherandoli sotto le false spoglie della bontà, della retta morale (o moralismo social) e della chirurgia plastica. «L’ossessione dilagante sulla violenza degli ultras che ucciderebbero ‘il gioco più bello del mondo’ mi sembra, oggi come ieri, più che altro retorica. Ogni rito di massa ha dei costi umani, sociali ed economici inevitabili», scriveva Alessandro Dal Lago nel 1990 (Descrizione di una battaglia). Aveva ragione ieri, ha ragione oggi. Ma ieri come oggi il suo ammonimento è rimasto inascoltato.