L’allenatore della Roma sta subendo un attacco di beatificazione senza precedenti
Daniele De Rossi non va ogni mattina a comprare il pane. Ovvio, ha altro da fare. Ma se per caso domani andasse dal suo fornaio di fiducia, cosa succederebbe? Proviamo a immaginare. De Rossi esce dal negozio con il sacchetto in mano. Alcuni tifosi lo riconoscono. Lo fermano. Lo acclamano. Chiedono selfie. Daniele, gentile, acconsente. I fan postano le foto sui propri social.
L’Unione Panettieri non perde tempo ed esprime subito «grande apprezzamento per il gesto di Daniele De Rossi. In una fase delicata per l’economia italiana, l’allenatore della Roma dimostra in concreto di sostenere il commercio al dettaglio, i piccoli imprenditori e gli esercenti». Tre minuti dopo scende in campo l’Associazione Pedagogisti del Centro Italia attraverso una nota:
«De Rossi ha inviato un messaggio chiaro alle nuove generazioni: il pane si guadagna con il duro lavoro. Tu, da genitore, lo sai bene. Bravo Daniele!».
Non manca neppure la dichiarazione di un cardinale (siamo pur sempre a Roma), intercettato da un’emittente privata: «Daniele De Rossi ha indicato a tutti, nello stile umile che lo contraddistingue, l’efficacia di un’affermazione cara ad ogni credente: ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’ è infatti una preghiera ricca di santità, equilibrio e moderazione». Poi, nel giro di poche ore, piovono altri elogi da giornalisti, cantanti, attori, politici, presentatori, opinionisti, musicisti, ecologisti, influencer, colleghi, rivali, pensionati, magistrati e magari pure da qualche tifoso laziale in incognito.
Fantacronaca? Fino a un certo punto. Reduce da tre mesi di ottimi risultati e fresco di conferma per la prossima stagione, il buon Daniele si trova ora alle prese con un’avversaria che nessuno poteva immaginare: la beatificazione costante di ogni sua parola e di ogni sua azione.
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L’inizio di questo processo è stato graduale e pure prevedibile. De Rossi aveva trovato una squadra sull’orlo di una crisi di nervi, plasmata da Mourinho in una riedizione degli Inglorious Bastards di Tarantino. Non passava giorno, o giornata di campionato, senza polemiche, accuse, ripicche, rivalse, provocazioni e aggressioni verbali, un catalogo già esibito da José a Madrid dove lo stregone di Setubal era riuscito a far litigare tutti con tutti. In più c’era stata la ciliegina finale della conclusione del rapporto con lo Special One, consumata in maniera traumatica.
La scelta di De Rossi, ragazzo intelligente, aveva dunque un obiettivo ambientale prima ancora che tecnico: riportare un minimo di pacificazione e di serenità in una piazza in fiamme. Tipico, quando si esce da regimi autoritari. Infatti nei primissimi giorni ogni aspetto veniva inevitabilmente analizzato secondo la logica “cosa avrebbe detto/fatto José” vs “cosa dice/fa Daniele”. Da subito però sono arrivati risultati positivi. E la sagoma di Mourinho, seppur salda nel cuore di alcuni irriducibili, ha cominciato a rimpicciolirsi nello specchietto retrovisore. Sembrava che una nuova normalità si fosse finalmente instaurata. Invece no.
A sorpresa, e quasi inconsapevolmente, l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori hanno fatto scattare una specie di love bombingdagli effetti paradossali. Una gigantesca valanga di melassa si è abbattuta su Trigoria. E non accenna a diminuire.
Dichiarazioni ordinarie post partita come “nel primo tempo abbiamo giocato male e mi sono arrabbiato” sono diventate «la rigorosa autocritica di un allenatore che, malgrado la poca esperienza, non esita ad assumersi subito le proprie responsabilità». Frasi tipo “se uno è ‘na pippa resta ‘na pippa …non è che dicendogli che è bravo diventa bravo” sono verità che i comuni mortali conoscono da sempre, basta guardarsi intorno in un qualsiasi luogo di lavoro. Ma pronunciate da Daniele si sono trasformate in «uno stile di comunicazione coinvolgente, finalizzato a creare empatia».
Perfino nei gruppi social dei tifosi romanisti, fucine inesauribili di battute strepitose, sarcastiche ma soprattutto dissacratorie, affiora ogni tanto un certo disorientamento. «Daniè… e sbagliala ‘na conferenza stampa ogni tanto…Daniè, te prego…dilla ‘na cazzata!». Insomma, siamo passati dal “Dì qualcosa di sinistra” di morettiana memoria al “Dì qualcosa di sbagliato” di derossiana attualità.
Tutto stupendo e memorabile
Ma il problema non è Daniè. E ormai non è più nemmeno José. E qual è? Mah. Resta il fatto che il soldato De Rossi va salvato. Perché neppure lui, così equilibrato e modesto, può resistere a questo assedio tanto dolce quanto appiccicoso. Mettiamoci nei suoi panni. Non è semplice essere rappresentati quotidianamente come una sintesi contemporanea fra Einstein, Kennedy, Socrate e il Dalai Lama.
Anche sul piano strettamente professionale, il copione non cambia. Dopo aver inflitto una dura punizione a De Zerbi (agevolata dallo spettacolare autolesionismo del profeta bresciano), la Roma ha trovato sul cammino europeo il Milan. Una squadra che, al 90%, dipende dalla propria fascia sinistra affidata a Leao e Theo Hernandez. E cosa fa De Rossi? Studia una mossa per limitare la forza della fascia sinistra avversaria! Roba da far impallidire Napoleone e Giulio Cesare insieme.
Da un giorno all’altro El Shaarawy, uomo prescelto per arginare il fronte pericoloso, è stato elevato a simbolo mitologico di una strategia superiore. Tutti eroi con Daniele.
Nella narrazione odierna (storytelling direbbero quelli bravi), De Rossi ormai è, sa, fa e risolve tutto. È il genitore comprensivo che perdona le ingenuità di Huijsen “perché ha l’età di mia figlia”. È il figlio modello che dopo aver vinto il derby rivolge un pensiero al proprio papà “seduto sul divano con la copertina”. È il marito premuroso. È il compagno di reparto con il quale vorresti giocare. È l’amico che chiami alle 3 di notte se la fidanzata ti ha mollato. È l’allenatore del futuro (del resto quando giocava era capitan futuro), abile a interpretare ogni modulo. È il sogno proibito per tutti quei reporter costretti da un destino malvagio ad intervistare Juric.
È maschio ma sensibile. È severo ma giusto. È impermeabile anche sotto temporali epici, che sfida in giacca senza neppure indossare un cappellino. È entusiasta ma prudente. È più aggiornato degli arbitri su alcuni dettagli del regolamento. È locale e globale: passa con disinvoltura dal tipico “daje” alla lettura in buon inglese degli appelli Uefa, senza contare la padronanza dello spagnolo imparato a Buenos Aires e perfezionato con Paredes, Dybala, Llorente e Giacomazzi.
È un primus inter pares: non manca mai di citare la competenza dei suoi collaboratori.
Diciamolo una volta per tutte: in questo momento, De Rossi è il politico che tutti voterebbero. Stupisce come Joe Biden non l’abbia ancora invitato nel suo staff per risolvere la crisi mediorientale. E sorprende come l’ONU continui ad ignorare l’unico uomo al mondo in grado, oggi, di mettere allo stesso tavolo Putin e Zelensky.
Ma non è detta l’ultima parola per vedere Daniele protagonista della Storia con la s maiuscola. Dalla Germania filtrano alcune indiscrezioni che, se confermate, creerebbero un notevole impatto a livello europeo. L’Ostalgie, movimento di opinione nato dalla nostalgia per il modello tedesco orientale, si sta evolvendo in un progetto politico ambizioso. Obiettivo: ricostituire la Germania Est. Ma la capitale non sarà a Berlino. Sarà a Roma. E il Presidente è già stato individuato: Daniele De Rossi. DDR a capo della nuova DDR. Chi, se non lui?