Calcio
18 Luglio 2023

Declan Rice è nella testa

Un calciatore fisico, ma ancor prima cerebrale.

Declan Rice è uno di quei fenomeni che avrebbe fatto impazzire Phineas Taylor Barnum ed il suo Barnum & Bailey Circus nell’America del XVIII secolo. Un Frankenstein di forza fisica ed abilità tecnica, in cui l’impeto e l’intelligenza (parola dai contorni difficilmente definibili che sancisce però, in maniera netta, la sottile differenza tra il buon calciatore ed il fuoriclasse) viaggiano sempre assieme.

È così che Rice, rifiutando il luogo luogo comune che vuole gli atleti professionisti come esseri non-pensanti – e in quello che Jonathan Wilson del Guardian ha descritto come “il più grande dramma mai scritto”, la Premier League – si è ritagliato un ruolo da protagonista certo con abilità atletiche e tecniche, ma soprattutto in maniera cerebrale, evolvendo sempre più durante la carriera letture e stile di gioco.

“Io faccio il lavoro sporco, al resto ci pensano i miei compagni”,

diceva un paio di anni fa, rivendicando una britishness antica e coriacea in cui “l’attacco e la migliore difesa” e alla fine “vince chi subisce meno” – riassumendo in questo un po’ lo spirito dell’Inghilterra di Southgate. Eppure Rice è cresciuto molto da allora, e se oggi è considerato uno dei migliori interpreti del suo ruolo in Premier è perché parliamo di un calciatore completo a 360 gradi. La sua superiorità è fisica e atletica, in quanto in grado di arrivare dappertutto rimanendo centrale con il corpo, il suo ruolo in campo non è monolitico (può giocare mediano davanti alla difesa ma anche mezz’ala), ma la sua forza è prevalentemente mentale.

Una piacevole eccezione in un calcio (e in un mondo) frenetico, in cui le fonti di distrazione – economiche, tecnologiche, esistenziali, soprattutto per un giovane calciatore in un palcoscenico come la Premier – rischiano di creare e bruciare miti nell’arco di qualche stagione. Il percorso di Declan Rice, al contrario, è stato lineare. Negli anni è riuscito ad affermarsi come uno dei migliori prospetti della Premier League. Affidabile, credibile, solido, un’autentica rarità in un’epoca in cui la poca appariscenza tecnica molto spesso equivale ad una sufficienza risicata nelle pagelle del lunedì mattina. 



Ad inizio 2019, in uno dei primi turning point della sua carriera, Declan Rice viene convocato dal Commissario Tecnico Gareth Southgate per le prime due partite dell’Inghilterra nel percorso di qualificazione a Euro 2020. Il ragazzo, originario del Sud-est di Londra, dopo una lunga riflessione decide quindi di rinunciare alla maglia irlandese (i suoi nonni sono originari di Cork), dopo aver disputato tre presenze, nel 2018, in altrettante amichevoli con la maglia dei Boys in Green.

Sfruttando la regola per cui un calciatore che ha disputato solo partite amichevoli con una selezione maggiore può decidere, se non ha mai preso parte ad incontri ufficiali, di accettare la convocazione per un altro Paese di cui possiede il passaporto, Rice chiede ufficialmente alla FIFA di poter modificare la sua eleggibilità per la Nazionale, “passando” di fatto dall’Irlanda all’Inghilterra.

Ultimately, it is a personal decision that I have made with my heart and my head, based on what I believe is best for my future”.

In Irlanda, ovviamente, si è parlato di decisione disonorevole, di tradimento, di posto rubato a colleghi che alla Nazionale ci tengono davvero. Come se non bastasse, il popolo dei social ha poi ripescato dei post di qualche anno prima nei quali Rice, all’epoca 16enne, aveva espresso il suo supporto all’operato dell’IRA (sigla per Irish Republican Army, organizzazione militare clandestina sorta agli inizi del Novecento per liberare l’Irlanda dal dominio inglese); un ‘sostegno’ social per cui Rice, passato dall’altra parte della barricata, si è poi naturalmente scusato.

Ma non sono state queste le uniche polemiche che hanno coinvolto il 24enne inglese. La scelta di lasciare il West Ham dopo sei stagioni giocate da protagonista, nonché da capitano una volta finita la carriera di Mark Noble, non è stato infatti accolto positivamente da un popolo che si era illuso di aver trovato una nuova bandiera. Lasciare la piazza da campioni, con una medaglia europea al collo, certamente ha reso l’addio meno amaro, eppure non ha risparmiato una pioggia di critiche piovute sulla sua testa e su quelle del suo entourage (è il papà a curare gli interessi del ragazzo fuori dal rettangolo di gioco).



Legare il proprio destino sportivo all’Arsenal, una società in cui, come mai prima d’ora, la retorica del gruppo alla base dei successi viene superata dalla sostanza, si coniuga perfettamente con la frase attribuita dall’immortale Woody Allen a Jack Rollins, suo leggendario produttore morto a 100 anni e 3 mesi. “Non scegliere i progetti per denaro, ragiona sul piano artistico”. Una scelta estetica ma anche intellettuale, e che forse si può spiegare con il concetto di football che esprimeva Rice lo scorso anno sulle colonne del Telegraph:

Mio padre me lo dice sempre, quando entro in campo: ‘Cosa hai da perdere?’ E io ho questa mentalità. Come dire: ‘ho 90 minuti qui, perché trattenermi? Perché limitarmi?’ Se vuoi essere un top player devi essere sempre nel gioco. Sono costantemente osservato e devo cercare di essere il miglior giocatore in campo ogni volta che vado là fuori. Questa è la mia mentalità”. In un’ottica allora in cui Rice ha poco da perdere e tutto da conquistare, e in cui per giunta ha l’intenzione di farlo da protagonista, l’Arsenal di Arteta è probabilmente la scelta migliore.

E a chi poco sensibilmente gli ricorda dichiarazioni di poco tempo fa, nelle quali confessava di sognare la qualificazione in Champions League con la maglia dei Claret and Blue, possiamo rispondere limitandoci ad un sorriso sornione; ricordando che, in fondo, i sogni cambiano, crescono, si misurano esclusivamente con l’esperienza e le aspettative di chi li coltiva. Anche preferendo coraggiosamente Londra – città dove sono in eccedenza sia la richiesta sia l’offerta di amore – e la guida Mikel Arteta a Manchester e Pep Guardiola. Perché, molto spesso, i migliori futuri prendono la rincorsa da presenti incerti.

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