Il destino ed il tempo scandiscono la storia del derby dello stretto.
Le sfide tra Reggio Calabria e Messina non sono mai state uno dei tanti derby della geografia del pallone: nonostante il verdetto del campo abbia rivestito un ruolo di notevole importanza soprattutto in massima serie, ciò che anima realmente l’incontro è l’ideale dominio dello stretto. Giallorosso o amaranto, il tratto di mare che bagna le due regioni cambia colore e padrone ogni qual volta il triplice fischio arbitrale sancisce la fine delle ostilità tra le due squadre, rappresentazioni sportive di una rivalità che ha profonde radici storico-culturali, come spesso accade in Italia.
Tra Calabria e Trinacria il Tirreno si fonde allo Ionio, bagnando le due città che qui sembrano guardarsi e sfiorarsi. Superando questo limes cobalto, il vento trasporta da una riva all’altra gli odori e le fragranze delle piante arboree che si arrampicano sulle verdi colline, alle spalle delle spiagge. Sin dalla loro fondazione sono stati molti i tratti in comune tra Reggio Calabria e Messina, dalle origini storiche ai tragici risvolti di inizio Novecento: intorno al 700 a.C. Reghion rappresentò l’unica terra calabrese colonizzata dalla polis ellenica Calcide, che in breve tempo avrebbe occupato anche la sponda opposta dello stretto; qui sorse Messàna, divenuta Messina in epoca romana.
“È il mare a dividere noi da loro, non una barriera artificiale, non una nostra scelta”
Nell’VIII secolo a.C, infatti, la Grecia aveva attraversato una profonda crisi di carattere economico e sociale: la sterilità dei terreni, il notevole aumento demografico ed una società destabilizzata dalle lotte per il potere politico, sono alcune delle ragioni che spinsero un’ampia parte della popolazione a fare rotta verso Occidente, confidando nelle profetiche indicazioni dell’oracolo di Delfi. Approdati sulle coste joniche della Calabria, i coloni greci si innamorarono della bellezza di questa terra meravigliosa.
Reggio Calabria e Messina sono stati due territori un tempo complementari, con un destino comune anche nella tragedia. Come in occasione della frattura che esplose nel sottosuolo marittimo dello stretto nel lontano 1908, scatenando quella che resta ad oggi la più imponente catastrofe nel territorio italiano; il terremotodimezzò le popolazioni delle due città e cancellò definitivamente buona parte del loro patrimonio architettonico.
In quello sfortunato contesto, il Messina Calcio esisteva già da otto anni, mentre i nemici amaranto nacquero soltanto nel 1914. Per molti, la rivalità tra le due città non risale nemmeno ad una questione di campanilismo: Il problema è il mare, dicono. Quando c’è di mezzo Poseidone le distanze raddoppiano e le diversità diventano più evidenti; così la rivalità per il predominio di questo mitologico lembo d’acqua, secondo Omero agitato dai mostri Scilla e Cariddi, è diventata un’eterna lotta che ha riconosciuto nel rettangolo di gioco la sua naturale trasposizione.
A partire dagli anni Venti le sfide tra le due squadre si fecero sempre più frequenti e fu proprio questa contrapposizione sportiva a rinverdirel’astio tra le realtà. Che fossero disputate nelle categorie inferiori e tornei regionali, oppure in Serie B negli anni Novanta, fino ad arrivare alle leggendarie sfide di Serie A nei primi duemila, nessuna delle due tifoserie ha mai ammesso la sconfitta come esito di questo partite.
Da quel giorno, per i tifosi amaranto, aprile non fu più il mese dedicato soltanto alla festa di San Giorgio, patrono della città, ma anche al dolce ricordo di un evento ugualmente mistico e trascinante.
Il concetto omerico di “civiltà della vergogna”, concezione di vita fortemente radicata nell’antica Grecia e riconducibile alle definizioni di virtù e prestigio nell’etica guerriera, ha conosciuto una nuova declinazione nella realtà del ‘900: quando si perde contro i rivali di semprenon si rinuncia solo ai tre punti, ma alla gloria ed alla stima degli abitanti della proprio terra.
Nella secolare storia di questa partita raramente il destino si è limitato al ruolo di semplice spettatore; infatti spesso il fato ha scelto di sorridere apertamente ad una sponda dello stretto, voltando le spalle all’altra ed imprimendo gioie e dolori eterni nella memoria dei tifosi. Per i Reggini il 30 aprile del 2006 ha rappresentato una di quelle date indimenticabili: da quel giorno, aprile non è stato più il mese dedicato soltanto alla festa di San Giorgio, patrono della città, ma anche al dolce ricordo di un evento ugualmente mistico e trascinante.
In quella celebre data le due compagini si affrontarono nella fase finale del campionato di serie A, entrambe invischiate nella dura corsa verso la conquista della salvezza. Sin dall’uscita del calendario, era chiaro che la sfida avrebbe rappresentato un crocevia determinante per il cammino delle due squadre, così la tensione nelle tifoserie era palpabile da tempo. Dall’intera provincia di Reggio Calabria si mosse un turbinio di veicoli in direzione dello ”Stadio Oreste Granillo”, che già prima del match si presentava come una pentola a pressione, pronta ad esplodere all’arrivo dei dirimpettai giallorossi.
Intanto, dal molo Rizzo il traghetto prendeva il largo stracolmo di tifosi siciliani. La traversata di mezz’ora concedeva il lasso di tempo utile per celebrare il rito della rivalità, alzando al cieloil catartico canto d’odio. La preparazione tattica di quei cruciali 90′ sembrava non avere alcuna rilevanza, sebbene le assenze dei titolari Antonelli, Nocerino, Aronica e Sculli, facessero pendere la bilancia dei pronostici verso i padroni di casa. Inoltre gli amaranto potevano contare sul temibile tridente offensivo, composto da Cozza, Amoruso e Bianchi. Dopo un primo tempo giocato all’insegna dell’agonismo e conclusosi a reti inviolate, proprio i tre attaccanti siglavano un gol a testa, firmando un sonoro tre a zero.
Un risultato che non aveva generato scalpore per le modalità con cui era maturato, piuttosto per le sue conseguenze. In seguito alla sconfitta il Messina si era trovato a -6 punti dal Siena, con gli scontri diretti a sfavore, a due giornate dal termine del campionato; classifica alla mano, la debacle nel derby era costata la retrocessione nel modo più amaro possibile. Nella curva di casa, al triplice fischio gli sfottò rivolti agli ospiti fecero da colonna sonora ad un’imperiosa coreografia, una spietata estrema unzione elargita agli eterni nemici.
Sequenze indelebili nelle menti dei tifosi, nel bene e nel male
La città si apprestava alla rievocazione profana della festa di San Giorgio, celebrata appena sette giorni prima, mentre in Curva Sud veniva dispiegato un enorme telo raffigurante la lettera B, seguita poi da numerosi striscioni che riportavano la parola “buddace”; così la partita si concludeva con un goliardico riferimento alla folcloristica ironia, che da sempre condisce gli scambi di battute tra le due città. Infatti ilbuddace è una particolare specie di pesce che abita i fondali dello stretto, riconoscibile dalla bizzarra forma allungata del muso, che lo costringe a tenere la bocca perennemente spalancata.
Proprio in virtù di questa caratteristica fisica, gli abitanti di Reggio Calabria sono soliti riferirsi ai vicini con tale soprannome, prendendosi gioco della loro presunta propensione al chiacchiericcio inconcludente. Inoltre, data la sua natura di divoratore seriale di qualsiasi cosa trovi, il buddace non è considerato un piatto particolarmente prelibato e viene utilizzato quasi esclusivamente nelle zuppe. Viceversa, sulla sponda siciliana, è abitudine rivolgersi ai dirimpettai con il nomignolo di “Sciacquatrippa”, uno dei piatti tipici della città, nonché personaggio di un racconto della tradizione popolare messinese, che descrive i Reggini come goffi ed impacciati.
Tuttavia gli eventi che rappresentarono una catastrofe sportiva per il nostro paese, ovvero Calciopoli, offrirono un’occasione di riscatto ai giallorossi, che vennero ripescati da terzultimi ai danni della Juventus. Secondo il calendario 2006/07, il derby di ritorno si sarebbe dovuto giocare ad inizio febbraio, ma la tragica morte dell’ispettore Filippo Raciti fece slittare la data dell’incontro. Così, il recupero venne fissato per il 18 aprile, a sei giornate dal termine del campionato, quando l’incontro sarebbe stato nuovamente decisivo, stavolta più per il Messina che per la Reggina.
Infatti gli amaranto si erano presentati ai nastri di partenza della stagione con una pesante penalizzazione di undici punti, ma, dopo un sofferto girone d’andata, avevano risalito miracolosamente la classifica; il prodigioso cammino era stato indirizzato dalla guida di Walter Mazzarri e dalle reti di Nicola Amoruso e Rolando Bianchi, autentici trascinatori. Durante la prima frazione di gioco, un gol del giallorosso Cristian Riganò rispose proprio a quest’ultimo, un pareggio che sanciva un punto fondamentale per il Messina. Nella ripresa, però, il destino divenne nuovamente protagonista nell’infinita saga di questa rivalità.
Nicola Amoruso, ex di turno, non portava rancore nei confronti della squadra siciliana, nonostante il suo vecchio presidente si fosse vantato di aver rifilato “un bidone” come lui agli odiati vicini. Beffardamente fu proprio il bomber amaranto a siglare una doppietta nel secondo tempo, spedendo i siciliani in serie B, questa volta definitivamente. Sulle gradinate stipate dello StadioGranillo, tra i tifosi di casa si diffuse un sentimento di beata incredulità: la volontà del fato non sarebbe potuta essere più chiara. Alla fine di quella stagione, la Reggina potè festeggiare doppiamente: oltre ad aver mandato i rivali in cadetteria di nuovo, sul campo raccolse 51 punti (40 al netto della penalizzazione), record assolutamente inimmaginabile ad inizio campionato.
Così, per diversi anni a Messina si continuò a ricordare la sconfitta e la seguente retrocessione, credendo che solo il tempo avrebbe potuto cancellare l’onta della sconfitta. Tuttavia il campionato di Lega Pro 2014-2015 offrì l’occasione del riscatto ai messinesi, mettendo di fronte le due squadre nella finale dei play out. Questa volta il vincitore avrebbe conquistato la permanenza nel professionismo, mentre gli sconfitti sarebbero rovinati nell’oblio delle serie dilettantistiche.
Dopo un’estenuante attesa, l’andata si concluse sul risultato di uno a zero per gli amaranto padroni di casa. Nei giorni successivi uno spettro già noto aleggiava nei bar, nelle piazze e nei rioni di Messina, dove il silenzio e la tensione riempivano le ore precedenti all’incontro di ritorno. La mattina del 30 maggio 2015 però anche in casa amarantola tensione era alla stelle, perché da ben ventisei anni i calabresi non conquistavano un risultato utile sul campo ostile dello Stadio San Filippo.
Da quel giorno, come in una maledizione, il Messina non è più riuscito a riemergere dalle profonde acque del dilettantismo.
Eppure nel cuore dei tanti sostenitori che si apprestavano a compiere la traversata ardeva la speranza, alimentata non solo dal minimo vantaggio maturato una settimana prima, ma dalla sensazione che anche questa volta le possibilità di prevalere nella battaglia fossero concrete. Al termine degli ultimi 90′ in cui le due squadre si sono fronteggiate, la Reggina si è imposta zero ad uno, costringendo gli avversari a bere l’amaro calice ancora una volta.
Da quel giorno, come in una maledizione, il Messina non è più riuscito a riemergere dalle profonde acque del dilettantismo, dopo aver conosciuto anche fallimento, l’ennesimo, ed aver dovuto confrontarsi con la nemesi cittadina del Messina FC. Sulla sponda opposta dello stretto invece la sorte sembra sorridere alla Reggina, che, dopo un fallimento ed una parentesi nei dilettanti – al di là della sospensione della Lega Pro – sembra marciare spedita su un binario diretto verso la serie cadetta.