Orwell, di nuovo. Questa volta in Serie A, questa volta tocca al calcio italiano.
I problemi all’interno della governance della Lega Calcio continuano a susseguirsi da almeno un anno, evidenziando una lotta intestina che – a parere di molti – sembrerebbe avere un preciso scopo: la destabilizzazione dei vertici in prossimità dell’importante bando sui diritti televisivi. Pare questo il presupposto iniziale che ha alimentato i continui colpi di scena verificatisi negli ultimi mesi.
A partire dall’audio rubato relativo alle presunte irregolarità durante l’assemblea che elesse Gaetano Miccichè a presidente (successivamente dimessosi), per finire con la notizia riguardante una frase pronunciata dall’attuale amministratore delegato Luigi De Siervo in occasione di una riunione con alcuni rappresentanti dei club in merito all’allarme razzismo.
“Ti faccio una confessione, non la mettiamo a verbale: io ho chiesto ai nostri registi di spegnere i microfoni verso la curva. Io l’ho chiesto. Quindi non lo sentirete in TV. Perché io ho chiesto di spegnere i microfoni”.
Quella che plausibilmente rappresenta una bolla mediatica diffusa ad hoc ci ha permesso, tuttavia, di evidenziare alcune criticità palesate dalla Lega nel monopolio gestionale delle riprese televisive. Se da un lato i rappresentanti Lega dichiarano che “chi produce un evento sportivo deve curarne anche quella che è la linea editoriale”, dall’altro il sindacato dei giornalisti RAI rivendica con forza il diritto di cronaca. Quanto è importante il famigerato diritto di cronaca? Ci torneremo a fine articolo.
Quest’ultimo, denunciando ufficialmente presso l’AGICOM il modus operandi della Lega, sollecita l’approfondimento della controversa tematica che vede, dall’ultimo anno, la presenza di una “Regia unica” controllata dall’ente leader del calcio italiano. Quali saranno, quindi, le linee guida all’interno del ‘’Regolamento delle produzioni audiovisive’’?
https://www.youtube.com/watch?v=jpUdMEALkIY
Il diritto di cronaca è libertà dalla cronaca?
Le dichiarazioni di De Siervo sono precise: “Il nostro obiettivo è quello di raccontare un evento sportivo nella sua ARMONICA CREAZIONE, per cui è evidente che se dovessero presentarsi delle situazioni anomale, chi produce un evento, deve far si che il racconto riesca a mantenere il filo conduttore”.
Un esempio emblematico è quanto accaduto in occasione di Sassuolo – Inter di questa stagione, dove un paracadutista è atterrato all’interno del terreno di gioco nel bel mezzo dell’incontro. Perché non si è visto nulla? Perché è in quel momento stato deciso dal regista Lega di non mostrare tale immagine, anche grazie alla complicità delle due squadre, in quel momento impegnate in una zona del campo “meno visibile” dalle inquadrature televisive.
“Per dire, abbiamo ‘squalificato’ per due giornate il regista che a Cagliariaveva indugiato per 40 secondi, durante un controllo Var, sulla curva del Cagliari che in quel lasso di tempo aveva fatto di tutto. Allo stesso modo abbiamo fermato un altro regista che aveva inquadrato per troppo tempo un omaggio dei tifosi interisti a Diabolik”.
Iniziativa tutta italiana? Nient’affatto. Anche la UEFA, infatti, stabilisce la CENSURA di audio o video non attinenti al “contesto” o “politicamente scorretti”. Proprio la Uefa, in occasione dei propri tornei, sta da tempo sperimentando questo sistema di “tutela del proprio prodotto”. Si tratta quindi di questione etica o finanziaria?
Secondo i giornalisti RAI, in prima fila nel denunciare il sistema, il vero problema è di carattere informativo. Il diritto di cronaca è costituzionalmente garantito e, così facendo, verrebbe drasticamente limitato. Il nocciolo della questione è il rischio nel quale si incorre permettendo ad un unico soggetto di decidere cosa può andare in onda e cosa non può essere trasmesso, violando il diritto dei telespettatori di sapere cosa avviene all’interno di un evento pubblico.
Difficile accettare che la Lega si arroghi questo privilegio, ma è comprensibile il fatto che, sempre di più, ci si diriga verso un importante accentramento del potere, una sorta di MinCulPop calcistico dove siedono soprattutto le pay tv. I rischi che si corrono sono reali e concreti. I giornalisti hanno, nei limiti del corretto, il dovere di raccontare una visione diversa dell’evento. Il soggetto che detiene le immagini può imporre la sua idea del racconto, venendo meno al diritto degli altri telegiornalisti di evidenziare particolari rilevanti all’interno della partita che, magari, non combaciano necessariamente con le direttive Lega.
Ricordate quello che successe nei minuti conclusivi dell’incontro tra Lecce e Carpi, partita che decretò la retrocessione dei Salentini? Siamo sicuri che oggi, con le direttive vigenti, le stesse immagini sarebbero trasmesse? Ma soprattutto, in base a quale criterio un unico soggetto decide o meno cosa mostrare? Sono chiari i binari sui quali viaggia il calcio oggi. Come se non bastasse la trasformazione in atto degli stadi che, nell’arco di pochi anni, diventeranno teatri iper-video-sorvegliati.
“Dal punto di vista tecnico il tentativo che è stato fatto è quello di evitare di trasformare in eroi determinati ragazzi. Esiste un rischio emulazione, come è accaduto nel lancio delle pietre dai cavalcavia”.
Una logica inquietante e paradossale, specie se inquadrata nel contesto post-moderno in cui la violenza è visibile praticamente ovunque. Il razzismo, in quanto violenza, non è accettabile all’interno degli stadi. Non indugiare ulteriormente sull’infortunio di un giocatore o – Dio volesse – sulle wags dei calciatori sarebbe cosa buona e giusta. Imporre una ripresa unica, però, equivale ad imporre un pensiero unico. Roba da Orwell, insomma. Quasi non ci sorprende più.
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